Mese: Aprile 2018

Ciüme amarèlle

Ciüme amarèlle s.f. = Cime amarognole

Scusatemi, ma non so il nome corrispondente in lingua italiana. Aspetto qualche suggerimento da esperti botanici.
Cliccate sull’immagine per ingrandirla.

Pianta spontanea (Brassica campestris) apprezzata dai nostri nonni, che le raccoglievano per farne un piatto gustoso, le famose “fogghje meškéte” = verdure miste.

L’occhio esperto le distingue dalle cime dolci (i sìnepe). Il palato anche se inesperto, perché evidentemente queste erbe hanno un retrogusto po’ di amaro, come le cicorie.

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Ciüma dòlce

Ciüma dòlce s.f. = Senape campestre

Pianta annua (Sinapis arvensis‘a sìnepe è conosciuta meglio come ‘a ciüma dolce [femm. plurale ciüme dólce]= la cima dolce, può considerarsi una vera e propria verdura campestre. Si chiamano le “cime dolci” per differenziarle dalle simil “cime amare”, le ciüme amarèlle o ciümamarèlle) (Brassica incana o fruticulosa) = cime amarognole.

Nasce spontanea nei prati, dall’aspetto filiforme e dal gusto simile alle cime di rapa, e cresce in zone a clima temperato/caldo.

Nella nostra zona era apprezzata proprio per il suo sapore dolce, simile alle bietoline di campo. Ora non ne vediamo più, forse per effetto di pesticidi.

Qualche vecchietta oltre al più familiare ciüme dólce li chiama un po’ storpiandone il nome, ‘i sìlepe invece del più corretto sìnepe.

In Sicilia adoperano i piccoli semi tritati per farne una salsa, la famosa senape dal sapore piccante.

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Ciucculatöre 

Ciucculatöre s.f. = Cuccuma

Bricco di rame o di altro metallo usato per contenere il caffè o sim.

Quella in uso da mia nonna era di ferro smaltato, blu all’esterno e bianca all’interno. Aveva un lungo beccuccio e il coperchio incernierato. Capacità mezzo litro.

Si poneva colma di acqua sul fuoco fino all’ebollizione. Poi si mettevano nell’acqua bollente, udite udite, due – dico due – cucchiaini di caffé macinato, e si toglieva dal fuoco e si lasciava riposare qualche minuto.

La brodaglia, opportunamente filtrata con un colino metallico, si versava nelle tazze e veniva chiamata indegnamente “caffè”…

Nel periodo delle Sanzioni Economiche imposte all’Italia. perché aveva occupato l’Etiopia, dalla Società delle Nazioni, non si importava il caffé (né ferro, carbone, baccalà, aringhe, tabacco, frumento, ricambi di macchine agricole inglesi, ecc. ecc.), Insomma vigeva l’embargo internazionale.

Il “caffè” che l’Autarchia, sistema economico di auto sufficienza, proponeva agli Italiani era un misto di chicchi di orzo e cicoria abbrustoliti e macinati.

Si preparava con la cuccuma in casa. Non so se allo stesso modo la servivano ai pochi avventori nei tre bar di Manfredonia (Adolfo Castriotta, Aulisa e Giannino Gatta)

Immaginate che schifezza, anch’essa chiamata pomposamente “caffè”.

A pensarci bene anche i tedeschi e i francesi, per mia constatazione personale, fanno così tuttora il loro orrendo caffé. Credo che si chiami “caffé alla turca”. Puah!

Il nome significa cioccolatiera e deriva da cioccolata, perché in principio serviva a preparare la cioccolata calda.

Qualcuno pronuncia ciucclatöre.

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Ciuccjamére

Ciuccjamére sop. = Asino amaro

Significato letterale “Ciuco amaro”. Evidentemente quel somaro deve aver procurato dei problemi al suo proprietario.

Altro origine potrebbe essere “succhio amaro”..

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Ciucchetèlle 

Ciucchetèlle s.m. e sopr. = Teschio, cranio.

L’insieme delle ossa del cranio; specificamente designa la testa scarnita di un cadavere disseppellito.
Per sineddoche (scusate la brutta parola, che significa una parte per il tutto), ciucchetèlle anche indica l’intero l’apparato scheletrico umano

Un disegno stilizzato è universalmente riconosciuto quale segnale di avvertimento in presenza di grave pericolo.

Difatti compare sui contenitori di veleni, sui pali dell’alta tensione, ecc.

Di forma bianca, con tibie incrociate, il disegno stilizzato compariva sulla bandiera nera delle navi dei corsari.

Il termine ciucchetèlle presumo che derivi da ciòcche, antico nome garganico che indica la testa umana. Un po’ come l’abruzzese còcce, coccia.
Con il noto fenomeno linguistico detto metatesi – ossia lo spostamento di vocali o consonanti o sillabe all’interno della stessa parola (es. pietra = pröte; capra = crépe) – còcce coccetèlle = testolina sono diventati ciòcche e ciocchetèlle e ciucchetèlle.

Anticamente ‘coccia’, nel senso di guscio duro, di conchiglia, o di noci, o come vaso di terracotta, era usato anche in italiano (vedi cocciuto, cocciutaggine, essere di coccio = testardo, testardaggine, essere caparbio).

Esiste da noi anche il soprannome Ciucchetjille, al maschile. Il poverino aveva il volto molto magro e incavato come ‘na ciucchetèlle = un teschio.

 

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Cìtte-e-cìtte

Cìtte-e-cìtte s.m. = Cipria per belletto.

Per ravvivare le gote, le nostre nonne usavano una cipria colorata di varie sfumature di rosa.

Bisognava usarne pochissima se no sembravano maschere di carnevale!

Allora due colpetti col batuffolo, uno di qua e uno di là: citte-e-cìtte.
Il trucco doveva essere discreto, infatti alla lettera il sostantivo significa: zitta-e-zitta, lo sappiamo solo io… e me stessa.

Moh, mìttete ‘nu pöche di cìtte-e-cìtte! = Dài, mettiti un po’ di cipria (sulle guance)!

Stranamente ha un’assonanza con il celebre motivo americano cantato in duettobda Louis Armstrong ed Ella Fitzgerald: “Cheek-to-cheek” [pronuncia cikttucik] = guancia a guancia.

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Ciuccètte

Ciuccètte s.m. = Succhiotto

Tettarella di gomma. Se bucata viene data, attaccata alla bottiglietta del latte detta biberon, da succhiare ai poppanti. In italiano dicesi ciuccio

Se invece non è bucata, si mette in bocca ai bambini (spec. ai lattanti) per calmarli o per farli addormentare. In italiano dicesi succhiotto.

Quando qlcu ragazzo adduce la tenera età per esimersi da un’azione rischiosa, si dice: mo’ l’hamm’e dé ‘u ciuccètte = Ora dobbiamo dargli il succhiotto!

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Cìtte-cìtte

Cìtte-cìtte avv. = Zitto zitto, silenziosamente.

Facjüme citte-citte = Agiamo silenziosamente. Senza farci accorgere.

I Napoletani usano aummo-aummo.

 

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Cistarjille 

Cistarjille s.m. sopr. = Cestino, panierino.

E’ diventato soprannome dal mestiere di cestaio.

Ovviamente le donne di questa famiglia sono cestarèlle, al femminile

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Cjissó 

Cjissó inter.= Gesù!

È lo sfogo spazientito di chi non ne può più.

Sarebbe a dire: Gesù, guarda che mi tocca sopportare!

Cjissó, c’jì fàtte mezzanòtte e ‘sti fetjinde stànne angöre a fé ammujüne! = Gesù, si è fatto mezzanotte e questi mascalzoni stanno ancora a fare baccano!

Se la pazienza stava per cedere il passo alla collera, il poveretto richiedeva anche l’aiuto di Maria:

Cjissó, Marüje, ma quìste hanne pèrse ‘a fàcce! = Gesù, Maria, ma questi hanno perso il senso della misura!

Quando mio padre, su mia sollecitazione di bimbetto, mi spiegò che Cjissó significava Gesù, io mi meravigliai parecchio, perché sapevo che si diceva Gése Crìste.

Misteri linguistici.

Vorrei azzardare una spiegazione.

In chiesa la Messa in latino nominava sovente Jesus. “In illo tempore dixit Jesus…”
Siccome in dialetto le parole che contenevano il dittongo ie o je si dicevano ji, ossia con una i lunga (fjine/fieno, cjile/cielo, Ciumariello/Ciumarjille, ‘njinde/niente, ecc) Jesus divenne Gjisó e da qui, specie se uno era un po’ incazzato, sonorizzava la ‘g’ in ‘c’ e raddoppiava la ‘s’, si è giunti a Cjissó.

L’interiezione, dice la grammatica, esprime un particolare atteggiamento emotivo del parlante, in modo estremamente conciso.

Nel nostro caso quel bisillabo, che alla lettera vorrebbe dire, un po’ storpiato: “Gesù!” viene pronunciato un tono quasi in falsetto, dopo aver constatato un atteggiamento o un modo di agire non consono alle aspettative.

Avöve dìtte de sté cìtte, e quìste nen te sèndene. Cissó, e che stéche parlànne ‘mbàcce a fràteme? = Avevo chiesto di non parlare ad alta voce, e questi non mi ascoltano. Ma guarda un po’, Per caso sto parlando al muro?

Il nome di Gesù in altro contesto è pronunciato sempre Gése-Crìste=Gesù Cristo. In dialetto non esiste la traduzione del solo nome Gesù senza il titolo di Cristo (unto, consacrato).
Quindi Cissó (mi raccomando la ó stetta) è una forzatura vera e propria.

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