Véche scappanne pe djibbete e tröve l’uscjire pe nnanze
Vado fuggendo (nascondendomi) per i debiti e (che sfiga!) trovo l’usciere (del Tribunale) davanti.
Quando la malasorte ci prende di mira non ci lascia scampo.
Véche scappanne pe djibbete e tröve l’uscjire pe nnanze
Vado fuggendo (nascondendomi) per i debiti e (che sfiga!) trovo l’usciere (del Tribunale) davanti.
Quando la malasorte ci prende di mira non ci lascia scampo.
L’èrve ca nen vuljive all’ùrte te crèsce
(Proprio) l’erba (cattiva) che non volevi nell’orto ti cresce (spontanea).
In destino a volte gioca con la nostra pazienza. Talvolta accade proprio quanto si è sempre temuto o avversato.
Un proverbio simile parla di debiti e di usciere. (←clicca)
Nen ce sté spusalìzzje ca nen ce chjange e funeréle ca nen ce rüre
Non c’è matrimonio ove non si pianga e funerale ove non si rida.
Lacrime e risate forse rispettivamente fuori luogo.
Le lacrime ad un matrimonio possono derivare dalla forte emozione, o anche da diverbi nati fra i parenti degli sposi, per questioni futili (come la collocazione degli stessi ai tavoli in sala o nel luogo ove si è celebrata la cerimonia nuziale) o, peggio, da litigi per motivi di interesse.
Alle interminabili veglie funebri, specie fra ragazzini, per superare emozioni e stress, serpeggiano risate liberatorie, incontenibili proprio perché “proibite”.
Don Camillo il candido
Don Camìlle jètte a Monte,
e truàtte ‘na sèrpa morte.
Ce credöve ca jöve n’anguille.
Oh, che pìzze de don Camìlle!
Don Camillo (non si sa se era un prete o un signorotto del posto) andò a Monte Sant’Angelo e [lungo la strada] trovò una serpe morta. Credette che era un’anguilla. Oh che pezzo di [semplicione è quel] Don Camillo!
Ungiüne s.m. = Bastone a uncino
L’amico Enzo Renato mi ha dato lo spunto per questo articolo. Utilizzo copiando alcune sue righe, sperando che non mi denunci per plagio.
«…L’ungiüne è un bastone ricavato dalla biforcazione di un ramo alberello. Un braccio di lascia lungo, e fungerà di appoggio e l’altro corto, per il manico. Tipico bastone per adoperato per svariati utilizzi.
Per uso agricolo: cattura e abbassa i rami per facilitare la raccolta di frutti alti, come nel fico, nei fichi d’india
Per uso pastorale: per appoggio e per catturare gli animali dalla caviglia.
Particolarmente resistente e forte deve essere però ricavato dal mandorlo, dal pero, dal susino, dall’albicocco; un po’ meno dall’olivo giacchè troppo eslastico e con troppi nodi e occhi sulla superficie, a meno che non venga messo a mollo per giorni e poi pelato a coltello.
Particolarmente apprezzato ‘u ngiüne a paròcche.(←clicca) Alla sommita dei due bracci (quindi sul manico) è una grossa e tondeggiante sporgenza, un pomo, determinato proprio da un nodo del legno all’incrocio dei due rami a V.
Stessi concetti per il corno a V della fionda (a furcenèlle)(←clicca): ai due rami vengono annodate due banderelle di camera d’aria rosse di bicicletta, unite da un rettangolo di cuoio o tomaia.»
Brótte e pröne ‘a nöra möje! Pr.
La mia nuora è brutta ed è pure incinta.
È un modo semplificato di lamentarsi, come per dire che le disgrazie non vengono mai da sole.
Ammazzé i frajùle loc.id.= Cessare il lavoro
Ammazzé significa fare un mazzo, stringere insieme, fare un fascio. Mentre frajùle è un termine generico e può significare: attrezzi dotati di manico (pala, zappa, rastrello, ecc.).
Quindi questa locuzione indica il termine del lavoro, o perché è finita la giornata, o perché si è ultimata l’opera. Ordinare gli attrezzi (zappa, rastrello, vanga, ecc.) in modo che siano pronti per il successivo utilizzo.
Meh, ammazzéme ‘i frajùle e jémecìnne = Beh, chiudiamo tutto e andiamocene.
Esiste anche una locuzione che indica la stessa operazione:
Arrezzeljè i fjirre = Ordinare, rassettare, ricollocarli nella propria sede dopo l’utilizzo, gli arnesi del mestiere (lima, sega, martello, cacciavite, punte di trapano, forbici, ferro da stiro, trincetto, pettini, ecc. a seconda dell’attività svolta).
Il maestro artigiano, per i ferri del mestiere, raccomandava: “un posto per ogni cosa,e ogni cosa al suo posto”.
Ringrazio l’amico Michele Castriotta per avermi suggerito la stesura di questo articolo.
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Requèste s.f. = Riserva, scorta
L’accantonamento si riferisce specificamente ad alimenti acquistati in sovrabbondanza per futuri utilizzi.
Ovviamente si tratta di derrate non deperibili, come legumi secchi, riso, pasta, scatolame, biscotti, farina, caffè ed altro.
La brava massaia ne tiene sempre in casa a requèste, per ogni evenienza.
A requèste un cubetto di lievito o una busta di affettati in frigo si trova sempre!
Come in italiano il sostantivo si fa precedere da una preposizione semplice ( di riserva, per scorta, in accantonamento, a deposito, in aggiunta), così in dialetto si usa la preposizione “a”: a requèste.
Ricevo dal prof.Michele Ciliberti, che qui ringrazio pubblicamente, un prezioso suggerimento sull’origine del vocabolo:
«Etimologia: dal latino re-quæro da cui anche quæstus e quæstua, con il significato di ricerca, richiesta, affare, guadagno e commercio. Mettere da parte ciò di cui si ha bisogno».
Accònge s.f. = Velo nuziale
Potrebbe somigliare al termine italiano ‘acconciatura’, ma questo indica solo pettinatura, messa in piega, taglio dei capelli.
L’accònge è il velo bianco che, opportunamente elaborato, arricchito da diademi vari, la sposa si pone sul capo per la cerimonia nuziale.
Spessissimo il velo ha una coda lunghissima, sorretta da due paggetti per non farla sporcare sul pavimento quando si avvicina all’officiante.
Più l’acconge era lunga e più destava ammirazione, specie tra le donzelle che miravano anch’esse al loro momento magico.
Accòlte-accòlte loc.avv. = Intimamente, in maniera raccolta, strettamente.
Il significato dell’avverbio intimamente è riferito ad un luogo ristretto, dove tuttavia si trovano tutte le comodità. Un mini appartamento, ad esempio, dove gli spazi sono limitati, ma non manca di nulla.
Anche una sola stanza dove ci si intrattiene numerosi, appare accolte-accolte.
Oh, quà jìnde stéme belle accolte-accolte! = Oh, qui dentro stiamo bene, intimamente