Autore: tonino

Cabbarè

Cabbarè s.m. = Vassoio da cameriere.

Noi intendiamo la vaschetta di cartoncino per contenere i dolci di pasticceria.

Termine derivato dal francese Cabaret (pronuncia cabarè) proprio nel significato di vassoio, guantiera.

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Camöre ca

 Camöre ca loc.id. = Poiché, siccome, dal momento che,da quando

È un’espressione tipica del nostro dialetto, un po’ desueta, a causa della scuola dell’obbligo che ha elevato il grado culturale dei giovani a detrimento del dialetto.

Scusate il termine ‘detrimento’ ma mi è scappato, dovevo dire ‘a danno’.

Camöre ca andava pronunciata sempre all’inizio di una frase, che si concludeva con considerazioni generalmente di lamentela, di brontolamento, di rimostranza.

Camöre ca jì ‘u grùsse, jéve sèmbe ‘a mègghja parte! = Siccome è il primogenito, quando la mamma prepara i piatti, lui riceve sempre la porzione maggiore, e invece io debbo accontentarmi ogni volta di un quantitativo minore.

La traduzione non è proprio letterale: sapete che il dialetto ha una capacità di sintesi eccezionale che gli consente di dire molto con poche parole…

Sto lambiccandomi invano il cervello per cercare l’origine di questa espressione. Traducendo alla lettera non vengo a capo di nulla, perché “con amore che” non ha alcun significato plausibile.

Qualcuno può aiutarmi? Si potrebbe completare degnamente questo articolo.

P.S. Vi invito a leggere qui sotto l’interessante commento del prof. Michele Ciliberti, sempre pronto a dare il suo graditissimo contributo per migliorare e rendere godibile questo mio lavoro.
Grazie Prof. !

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Frèchete

Frèchete inter. = Va’ in malora, va’ a farti benedire!

Imperativo del verbo frecàrece, nel senso di rovinarsi (non di strofinarsi).

Si dice a qualcuno che non ha saputo mettere a frutto una circostanza favorevole. Spesso si antepone l’interiezione “oh” per esprimere un rafforzativo al biasimo. Come l’avversativo italiano “ma” : Ma va a quel paese!

Ecco un esempio: Oh, frèchete! Tenjive bèlle carte ‘mméne e nen l’ha sapüte juchéje = Ma va’ a farti benedire! Avevi delle belle carte in mano e non le hai saputo giocare.

Per chiudere  definitivamente un discorso, quando l’interlocutore continua ad agire di testa sua, a dispetto dei buoni consigli, si antepone la congiunzione “e”.

Faccio un paio di esempi chiarificatori:
Pigghjiatìlle e frèchete = Prenditelo (nonostante il mio veto), e che buon pro ti faccia.
Nen ve süte appresentéte alla fèste ‘ncampagne? E frecàteve! = Non vi siete presentati alla festa (che ho dato) in campagna? Peggio per voi, non sapete che cosa vi siete persi.

C’è una variante frìcheteFrìchete a te e pàtete (o màmete). Va in malora, tu e tuo padre (o tua madre)

Se l’epiteto è rivolto a più persone, al plurale si accorda con: frecàteve!
Frecàteve, a vüje e a quanda mùrte ca tenüte..= Andate alla malora: lo dico a voi e ai morti che avete.

Scusate, questi improperi erano usati da noi monellacci che vivevamo allo stato brado per le strade di Manfredonia, durante i nostri  giochi. molto burrascosi.

Per i bambini c’era la versione “leggera”: oh, frìjete = friggiti, va a farti friggere.

Ora i ragazzini gridano ai loro compagni di giochi, a seguito di scontri fisici o di opinione, in perfetto italiano: “mongoloide!” Credo che questo epiteto sia molto più riprovevole di un bel “frèchete a te e pàtete!

Quando qualcosa va storto, sia rivolto a se stessi o anche al proprio gruppo (se si è in compagnia) ci si rammarica esclamando: frecàmece! = siamo fritti, non c’è rimedio, siamo spacciati, che figuraccia, hanno capito il nostro intento, tutto lavoro inutile, ci hanno sgamati, ecc.

Contrariamente a noi che la pronunciamo molto rapidamente, quasi frèkt, gli Abruzzesi dicono Fréeeechete!, con la è molto allungata, con significato di notevole ammirazione, per esempio, nel vedere una prosperosa donzella, e talvolta di invidia, quando vengono a conoscenza del successo di un amico.

Un po’ come “figo!” usato ora dai ragazzi per esprimere sorpresa, meraviglia, ammirazione, entusiasmo.

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Buzzaràrete

Buzzaràrete inter. = Vergognati, hai fatto una cosa indegna, sei un imbroglione, ecc.

Il lettore Enzo mi suggerisce quanto segue:

“Forse deriva da buggerare, che è dall’it. antico buggera = inganno, imbroglio, errore.
All’origine significava eresia (difatti deriva da bulgari che erano appunto eretici), magari costruito sulla forma di bugiardo.
Credo che possa anche derivare dall’espressione “possa arderti” che non è poi distante da “eresia”.

In ogni caso l’interiezione è quasi del tutto in disuso, perché si ricorre, quando è il caso, al più rapido frèchete(←clicca).

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Busciüje

Busciüje s.f. = Bugia

Affermazione, deliberatamente contraria alla verità, detta per celare qcs.

Nen decènne busciüje ca se nò te mètte ‘u fùche mmòcche! = Non dire bugie, altrimenti ti metto il fuoco in bocca!

Una delle tante terrificanti minacce che vanamente i nostri genitori ci facevano per farci rigar dritto.

Nonostante queste non siamo venuti su scioccati.

 

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Burràgge 

Burràgge s.f. = Borragine

È una pianta erbacea annuale (Borago officinalis). Ha foglie ovali ellittiche, picciolate, verdi-scure raccolte a rosetta basale lunghe 10-15 cm e poi di minori dimensioni sullo stelo, che presentano una ruvida peluria. I fiori presentano cinque petali, disposti a stella, di colore blu-viola.

In dialetto è detta anche burràcce.

Nelle altre lingue: Bourrache (F), Borage (GB), Boretsch (D), Borraja (E)

Attualmente l`uso gastronomico della Borragine si è maggiormente diffuso nell`Italia meridionale. Le giovani foglie si consumano crude in insalata, dopo averle tritate e mescolate con altri erbaggi o con pomodori. La rigidità dei peli svanisce per effetto dell`aceto.

Le stesse foglie, come pure le cime, vengono consumate lessate e poi condite con olio e limone oppure saltate al burro, strascicate con olio e limone. La migliore riuscita, almeno nel Tavoliere, è quella di cuocerle come le cime di rape con la pasta.

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Burdescé

Burdescé v.i. = Bordeggiare

Nella navigazione a vela, viaggiare controvento facendo una rotta a zig-zag molto ampia.

Per estensione significa barcollare e figuratamente barcamenarsi, destreggiarsi tra le difficoltà.

L’espressione divertita : “Vé burdescjànne accüme alla vàrche de Cianèlle” si riferisce a qualcuno che esce ubriaco dall’osteria, e cammina barcollando e  qua e di là.
Il paragone con la barca di tale “Cianella” e solo casuale. Qualsiasi imbarcazione (a vela) per navigare controvento deve andare di bolina, ossia deve percorrere a zig-zag il tratto di mare.

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Bùne-crestjéne

Bùne-crestjéne loc.id. = Buono uomo, signore

Alla lettera significa buon cristiano, ma ho detto già che crestjéne da noi significa ‘persona, individuo, soggetto’, non ‘seguace del Cristianesimo’.

Giuànne jì ‘nu bùne-crestjéne = Giovanni è un buon diavolo, una brava persona,

Si fa riferimento al fatto che è una persona onesta, incapace di azioni disoneste.

Bùne-crestjéne, pronunciato con un certo tono sommesso, ha valore esortativo:

Sjinde a me, bùne-crestjéne, vattìnne a càste ca quà nen ce sté njinde = Dammi retta, signore, vattene a casa tua, perché qui non c’è niente (che possa interessarti e se permani qui la tua presenza può scatenare reazioni disordinate).

Meh, bùne-crestjéne, fàcce passé da quà! = Suvvia, buon uomo, ci lasci attraversare il suo campo!

Può essere detto anche in tono minaccioso:

Uhé, bun-crestjéne, se vù i chelómbre accattatìlle, e no ca li sté cugghjènne ‘mbàcce a l’àreve nustre! = Ehi, amico, se vuoi i fichi fioroni va a comperarteli, e non raccoglierli dagli alberi di nostra proprietà!

È chiaro che questo è un esempio linguistico. Non so se nella realtà, uno che vede che gli stanno rubando i fichi possa avere la garbatezza di pronunciare quella frase o si presenta direttamente con un randello…..

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Bunazze

Bunazze s.f. = Bonaccia

Calma di vento e di mare.
Bunazza morte indica la calma piatta del mare. “Jogge je bunazza morte”.

La totale assenza di vento durante la navigazione in mare, o durante le battute di pesca, quando le imbarcazioni erano tutte remo-veliche, costringeva gli uomini ad una lunghissima ed estenuante fatica di braccia ai remi per far rientro a casa.

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Bummenére

Bummenére sm = Licantropo

L’etimologia di licantropo, come tutti i termini scientifici, deriva dal greco λυκάνθρωποςlyco, lupo e antropos, uomo). Taluni si rifanno al latino lupus, lupo e maniarius, affetto da mania.

Nel corso dei secoli probabilmente lupus maniarius  è diventato lu pumaniaru e poi lu pumanére, e da qui ‘u bumenére

Dai Manfredoniani ‘u bummenére era ritenuto una persona misteriosa e terrificante.

Erano due o forse tre gli uomini sospettati di esserle licantropi.   La leggenda fiorita su queste persone è ricca di particolari:

Si diceva che ululassero di notte e rincorressero i malcapitati nottambuli per aggredirli!

Questi si salvavano dalla sua aggressione solo in due casi:

  1. se riuscivano a infilare una scalinata e percorrerla per almeno tre gradini. In questo caso l’inseguitore avrebbe rinunciato ad asfferrare la preda perché non in grado di continuare l’inseguimento in salita;
  2. se possedevano un coltello tascabile, pieghevole, dal manico rigorosamente nero.

Nell’ipotesi 2.  gli inseguiti avrebbero dovuto possedere anche una notevole dose di sangue freddo. Difatti durante la orsa per sfuggire all’inseguitore, dovevano estrarre il coltello dalla tasca, aprirlo, tracciare con la lama nel terreno un cerchio e  due tagli intersecati al centro,  piantarvi l’arma per terra e posizionarsi ritti all’interno del cerchio che sarebbe diventato una barriera invalicabile.

Troppe le operazioni richieste mentre incombeva l’inseguitore ululante alla calcagna, e coordinare i movimenti nella foga della corsa!

Insomma non c’era scampo: perciò… era meglio restare a casa per evitare brutti incontri!

Infine si dava per certo il fatto che costoro trasmettessero i loro “poteri” in punto di morte, toccando con la mano uno di quelli che si raccoglievano al suo capezzale per assisterlo (come nella leggenda di Dracula).

Secondo me i cosiddetti bummenére erano dei poveri malati che uscivano di notte a causa della loro spasmodica fame di aria, e che sicuramente non avevano la forza di rincorrere né di fare del male a nessuno.

Sono portato a credere che fossero semplicemente dei buontemponi che si burlavano i paesani.
L’amico Domenico Palmieri riferisce testualmente:
«M
olti dei nostri arguti vecchi sostenevano che erano “femminari” incalliti che, per non farsi vedere o conoscere mentre andavano dalle loro “comari”, si inventavano questa “stranezza” e impedire agli insonni, di affacciarsi alle porte dopo una certa ora.»

Scientificamente in psichiatria si definisce la licantropia un delirio melanconico per cui l’ammalato si crede trasformato in lupo e ne imita l’ululato.

Esiste la locuzione Fé ‘u bummenére, col significato di agitarsi e di lamentarsi a lungo. Tossire spasmodicamente, Avere attacchi d’asma con reali difficoltà respiratorie.
Stanotte marìteme ho fatte ‘u bummenére = Questa notte mio marito non ha dormito lui, e non ha fatto dormire nemmeno me, a causa di suoi incessanti attacchi di tosse.

Si definiscono bummenére anche quelli che fanno vita da nottambuli.
Che jéte facènne!  ‘Sti bummenére! = Ma cosa andate facendo?  Questi incalliti nottambuli!

In Basilicata viene denominato lupòmene storpiatura del latino lupus e hominis? = lupo-uomo, o uomo-lupo.

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