Categoria: A

Abbelì

Abbelì  v.t. = stremare, abbattere, stancare, svilire

Accettabile anche la versione abbelìsce = affaticare.

Esiste la forma riflessiva abbelìrece = stancarsi, abbattersi
Me sò abbelüte = mi sono spossato, sfibrato.

Probabile origine del verbo avvilire, nel senso di abbattere, estenuare,  con la solita influenza spagnola della “v” che diventa “b” o viceversa (barbiere/varvjire, braccio/vrazze, carbone/carvöne, ecc.).

Mi ha divertito recentemente sentire una signora che, evidentemente stanca della vivacità del suo frugoletto, ha esclamato in italiano: «E basta! Oggi  mi hai abbilita bella bella

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Abbendàrece

Abbendàrece v.i. = Calmarsi, sostare

Dicesi di breve riposo dopo una lunga corsa, o una lunga fatica fisica e mentale. Ora è di moda dire coffee-break.

Il verbo deriva dal latino adventare = giungere

Sté sèmbe affaréte! Abbjindete ‘nu pöche! = Sei sempre indaffarato! Calmati un poco!

Per estensione si applica anche agli agenti atmosfersi: c’jì abbendéte ‘ u vjinde = si è calmato il vento.
Ho sentito, forse con verbo più specifico, c’jì abbachéte ‘u vjinde.

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Abbènge

Abbènge  v.i. =  dimostrarsi all’altezza, farcela.

Nen ce la fé abbènge = Non ce la fa a venirne fuori. Non riesce a sopportare.

Ritenevo che abbènge fosse la contrazione di “a vènge” (a vincere): non ce la fa a vincere, a sopportare, a completare un’azione con le sue forze, a uscire da una situazione difficile.
Invece ho scoperto casualmente che ci è pervenuto direttamente dal latino  abvincere, riuscire a sbrigare un lavoro, farcela

Cϋme uà fé abbenge? = Come deve fare a cavarsela?

Mi ricordo di una memorabile gara tra il venditore di fichidindia e l’acquirente. Il primo li nettava velocemente col suo coltellino affilato, e il secondo li mangiava man mano che l’altro li apriva.

Insomma il tagliatore era più veloce, e il mangiatore, per quanto si sforzasse, non ce la faceva deglutire un frutto che un altro era già stato pulito.

‘Nce la faciöve abbènge oppure Nen l’abbengiöve = Non ce la faceva a soverchiare.

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Abbjàrece

Abbjàrece v.i. = Avviarsi

Mettersi per via (da cui l’origine) iniziare un percorso stradale, o anche, figuratamente, un’azione, un lavoro.

Addjì ca v’abbjéte? = Dove siete diretti?

Talvolta questa domanda innocente, detta con sarcasmo, è tutta una critica sul modo di vestire, sulla inopportunità di eseguire un lavoro, sull’ineguatezza dei mezzi, ecc. delle persone prese di mira.

Per rincarare la dose si dice tuttora: addjì ca v’abbjéte senza ‘mbrèlle? = Dove volete arrivare (figuratamente) se non avete i mezzi?

Come per dire: ma che cosa volete concludere?

Ricordo che molti termini, quale strascico della lingua dei dominatori spagnoli, cambiano la “v” in “b” (varve, vrazze, àreve = barba, braccio, albero). In quella lingua hanno pressocché lo stesso suono.

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Abbönecónde

Abbönecónde avv. = infine, insomma

La traduzione letterale sarebbe “a buon conto”; in italiano si potrebbe usare la locuzione “ad ogni buon conto” o anche “morale della favola”, “alla fine”, “in fin dei conti”.

Il lodato vocabolario on line Sabatini-Coletti definisce come congiunzione testuale: “conferisce valore riassuntivo e conclusivo a una frase con sequenza di discorso rispetto a quanto detto in precedenza” Basta così, altrimenti questo mio lavoro rischia di diventare un trattato scientifico, cosa che assolutamente non è nelle mie intenzioni!!!!

Abbönecónde vù avì sèmpe raggiöne tó! = Alla fine vuoi sempre aver ragione tu!

Abbönecónde ‘stu capacchjöne uà fé cüme düce jìsse = Alla fine questo testone deve fare a modo suo (come dice lui)!

Abbönecónde, facjüme cüme e cazzöne, da turte a raggiöne = Morale della favola, pare che ora stiamo facendo come “cazzone”, il quale pur avendo torto marcio è riuscito ad aver ragione.

Esiste anche una forma molto più più antica, ormai del tutto desueta, che riporto in questo articolo solo per ricordarlo, cioè: abbönesüje o anche abbunesüje= ebbene sia (sia come tu mi dici, non mi va di replicare). Abbönesüje te vògghje avì crèdete = Alla fine voglio crederti (basta che finisca qui la disputa).

Chi rótte, chi sfascéte, chi arrepezzéte: abbönesüje nen ce stöve na cöse accüme i crestjéne = Chi rotto, chi sfasciato, chi rattoppato: insomma non c’era una sola cosa fatta per bene (come i “cristiani” nel senso di fatta a regola d’arte)

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Abbucché

Abbucché v.t. = Corrompere, abboccare

Abbucché 1 = Corrompere. Si usa preferibilmente nella locuzione tenì abbucchéte, come per dire far contento qlcn, riempirgli metaforicamente la bocca con regalie, in attesa di futuri favori.

In questi anni si è usato l’eufemismo “bustarella” o “tangente” distribuite generosamente solo con l’intento di ingraziarsi il destinatario per ottenere grossi appalti di opere pubbliche. Il malcostume è purtroppo diffuso tuttora a tutti i livelli della Pubblica Amministrazione, nonostante la crociata di “Mani Pulite”. È cronaca quotidiana dei notiziari televisivi.

Ma questo andazzo si verifica anche nella vita di tutti i giorni, e senza rischi di commettere reati.

Un esempio? Dare una bella mancia al cameriere di un locale di cui si è abituali clienti, in modo che ci possa riservare un buon tavolo e consigliarci un buon piatto.

Entrare nelle grazie di un commesso per evitare la fila e sbrigare più rapidamente un’operazione bancaria.

Abbucché 2 = “abboccare”, che significa come in italiano:
-prendere con la bocca, mordere l’esca
-cadere in inganno, cascarci, farsi fregare
-parlarsi, avere un colloquio, conferire, riunirsi.

Ringrazio il lettore Antonio Sorbo per il prezioso suggerimento fornitomi.

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Abbufacchjàrece

Abbufacchjàrece v.i. = Gonfiarsi

Fenomeno fisico che riguarda alcune persone e che si presenta in maniera diffusa con rigonfiamento del viso e delle membra,

Quando non è di natura patologica allora è di carattere… gastronomico.

Il soggetto è un mangione smodato, divoratore sfrenato, al limite della bulimia.

 

 

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Abbufacchjéte

Abbufacchjéte agg. = Gonfio, ingrossato.

Si riferisce a persona obesa, grossa in maniera insolita.  Si paragona al rospo (Bufo viridis) che spesso si presenta ingrossato oltre misura forse come difesa da predatori.

A volte delle persone malate, per effetto secondario da farmaci, si presentano con viso e membra appesantiti

Derivato dal verbo abbufacchjàrece

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Abbunàneme

Abbunàneme s.f. = Buonanima

Allorquando, nel corso di una conversazione, si nominava una persona deceduta, si diceva abbunàneme de … = la buon’anima di… , in segno di rispetto verso l’anima del defunto.

Me so’ sunnéte abbunaneme di pàteme….
Oppure: Me so’ sunnéte a pàteme, bbunàneme invece di abbunàneme.

Perché si è usata o si usa ancora tanta riverenza verso il defunto, era obbligatorio? Al Nord dicono “il povero Tizio”, “la povera Tizia”

Questa la mia opinione (opinabile): ritenendo che l’anima della persona si trovasse alla presenza del Creatore, la nostra chiamata in causa lo avrebbe sicuramente distolto per farlo avvicinare alla vacuità delle nostre povere chiacchiere.

Ovviamente la nostra intromissione sarebbe stata inopportuna perché è irriverente verso Dio.

Al femminile suona abbonàneme o bbonàneme

Quando si nominava una persona deceduta in giovanissima età, si usava al maschile benedìtte  o al femminile  benedètte.

Döpe tand’anne, mamme pènze sèmbe alla benedetta Luciüje = Dopo tanti anni (dal decesso), mamma pensa sempre alla povera Lucia.

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Abbùne-abbùne

Abbùne-abbùne loc.idiom. = Senza aspettarselo,

Si dice questa locuzione quando qlcu inaspettatamente si intromette nei nostri affari, e magari ne distoglie il fine, o devia l’attenzione, o rimprovera, percuote, urla, ecc.

Stöve tanda-bèlle camenànne: abbune-abbune c’jì avvecenéte ‘na maskere e m’ho ‘nghiute di curiànde = Stavo tranquillamente passeggiando quando si improvvisamente si è avvicinato qlcu mascherato e mi ha riempito di coriandoli.

Abbune-abbune so’ cadute ‘ndèrre. = Senza che me l’aspettassi sono caduto per terra.

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