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Ammèrse (all’)

Ammèrse (all’) loc.avv. = Inversamente, al contrario, a rovescio

La locuzione avverbiale all’ammèrse = alla maniera inversa, è molto usata quale antitesi di alla drìtte = alla maniera giusta, correttamente.

L’amico dr.Matteo Rinaldi – che ringrazio pubblicamente – mi ha suggerito una simpatica locuzione idiomatica: sté c’u cüle all’ammèrse = essere maldisposto, irritato, nervoso.

Giuànne stamatüne c’jì javezéte c’u cüle all’ammèrse = Giovanni stamane è intrattabile.
Alla lettera: Giovanni stamattina si è alzato con il culo all’inverso.
Insomma non gli va bene nulla!

Se trattasi di indumenti indossati all’ammèrse si dice a ‘nnanze-dröte = avanti-dietro.

Nota linguistica:
La preposizione “con” si traduce spesso con “pe“, Talvolta si traduce con “cu” come in Campania (ricordate Resta cu ‘mme).
Personalmente ho una leggera propensione per il “pe“, perché mi sembra più antico, e quindi linguisticamente più genuino. Faccio qualche esempio:

Jü parle pe tè e tó nen me sjinte = Io parlo con te e tu non mi ascolti,
Quanne sté pe mmè nen àdd’avì pavüre de njinde = Quando sei con me non devi aver paura di nulla.
Jògge stéche pe ‘nu delöre de chépe.. = Oggi sto con un mal di testa…
Jì arrevéte cu ‘nu sìcchje d’acque pe lavé ‘ntèrre.= È arrivato con un secchio di acqua per lavare il pavimento.

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Ammuccé

Ammuccé v.t. = coprire, nascondere, celare

Occultare qualcosa, anche in maniera figurata. Mantenere un segreto, non lasciar trapelare giudizi e intenzioni.

L’amico prof. Michele Ciliberti chiarisce testualmente che «il verbo deriva dal latino amicire che significa nascondere, coprire. Tanto che un mantello da indossare e, quindi, per coprirsi, veniva chiamato amictus.»  Vale a dire amitto in lingua italiana

Santa Wikipedia mi viene in aiuto immediatamente:
«L’amitto è una veste liturgica costituita da un panno di lino bianco e rettangolare munito di due nastri in tessuto, che viene indossato da ministri e ministranti con la funzione di coprire il collo.»

Insomma sèrve p’ammuccé ‘u cuzzètte!

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Ammucciacöne

Ammucciacöne s.m. = Nascondino, rimpiattino, nasconderella

Ringrazio il lettore “Il Proletario” che mi ha mandato pari pari questa definizione del gioco fanciullesco che divertiva tanto i maschietti quanto le femminucce in età scolare.

«È un gioco di bambini che consiste nel nascondersi rispetto a uno di loro, scelto a caso, che si copre il viso e gli occhi, di faccia al muro, contando fino a cinquanta, per voltarsi al cinquantuno gridando Trombone, ed infatti il gioco viene anche chiamato “Cinquantuno trombone”.

Il gioco si risolve quando colui che ha contato riesce a trovare o vedere il nascondino degli altri giocatori; il primo scoperto diventa il prossimo contatore.»

Aggiungo che esiste una variante al gioco per i più grandicelli.
Meglio se il gioco si svolge all’aperto, ove c’è maggior spazio di manovra.
Possono essere scovati anche più bambini, che man mano devono restare fermi alla “tana” mentre continua la caccia agli imboscati. Se il “cacciatore” si allontana troppo dalla tana, può sbucare un bimbo non visto che batte con la mano la parete gridando “liberi tutti!” e il gioco ricomincia. Se arriva il “cacciatore” a battere la parete prima del “liberatore” si rilasciano tutti ma quello che ha fatto il tentativo di liberazione andrà “sotto” a contare il fatidico 51 per ricominciare tutto daccapo.

Va bene anche scritto Mucciacöne.
Ovviamente deriva dal verbo (clicca→) ammuccé = nascondere


Jean Verhas (1834-1896) – À cache-cache
Foto di dominio pubblico.

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Ammulleché

Ammulleché v.t. = Coprire con mollica

Il nostro verbo ammulleché non ha il corrispettivo in italiano.
È la mirabile capacità di sintesi dei dialetti specie dell’area Sud. Per descrivere l’azione del verbo devo ricorrere ad una perifrasi.
Ricoprire una pietanza con mollica sbriciolata di pane raffermo prima della cottura in forno o sul fornello.

Infatti il piatto per eccellenza che richiede questa copertura è ‘u racquele (o ‘u trjimete) ammullechéte = la raia (o la torpedine ). Vorrei dire in crosta di pane, ma per la verità il pane rimane morbido intriso di olio e acqua di cottura.

Infatti per “mollicata” si intende, in Basilicata, Calabria e Sicilia, la mollica di pane sbriciolata e tostata in olio, quale elemento croccante aggiuntivo nella preparazione del conosciutissimo primo piatto di pasta con “aglio, olio e peperoncino”.

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Ammundené

Ammundené v.t. = Ammucchiare, accumulare

Deriva direttamente dallo spagnolo amontonar [Poner unas cosas sobre otras de manera desordenada o descuidada, formando un montón.]. Porre alcune cose sopra altre in maniera disordinata o senza cura, formando un mucchio.
È ad esempio il pietrisco ammundenéte = ammuchiato perché scaricato da un camion ribaltabile. formando ‘nu mendöne = un cumulo.

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Ammurechéte

Ammurechéte  agg. = rauco, roco

Colpito da raucedine, alterazione della normale voce, ove appare aspra e stridula o bassa e cavernosa, tremolante, oppure con un tono più alto o basso (da Wikipedia).

Alcune volte è causata da raffreddori stagionali. Con le bevande calde e con la permanenza in ambiente caldo si risolve in poco tempo.

Altre volte è la  conseguenza di grida incontrollate lanciate al campo sportivo per incitare i propri favoriti o …. per inveire contro le sviste dell’arbitro, notoriamente cornuto!!!

il Prof. Raffaele Stranieri, calabrese, asserisce che il termine deriva dal greco bragcos, bran’cos oppure brekhòs.  Difatti nel suo dialetto si dice abbraghatu.

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Ammurré

Ammurré v.i. = Impuntarsi, incaponirsi, recalcitrare

Ostinarsi con caparbietà, impuntarsi, recalcitrare.

Il verbo deriva dal latino ad murra (minerale duro usato anticamente per fare vasi e coppe).

Uì, ò ‘mmurréte cum’a ‘nu müle! = Eccolo, si è ostinato come un mulo. Si è impuntato. Non vuole ascoltar ragioni.

Ammurré significa anche agire  in un modo irrazionale e non condivisibile, seguendo spazientiti il proprio istinto irruento.

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Ammussàrece

Ammussàrece v.intr. = Imbronciarsi, impermalirsi, offendersi.

Capita spesso che dopo un diverbio, anche per futili motivi, due persone rimangano imbronciate, inalberate, ognuna ostinata nelle proprie ragioni. Magari per un periodo più o meno lungo si tolgono anche il saluto!
Deriva da musse = muso, nel senso di viso crucciato, broncio.

Cum’ì ca nen vöde cchjó a Mattöje? Sté ammusséte pe tè? = Com’è che non vedo più Matteo? È imbronciato con te?
Sì, sté ammusséte… amme fatte ‘na chjacchjarélle..(<-clicca). = Sì, si è offeso: abbiamo avuto una discussione, un piccolo diverbio…

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Amöre de Düje! (pe l’, o söpe l’)

Amöre de Düje(pe l’) escl. = Amor di Dio! (per l’)

Una esclamazione generalmente usata per implorare benevolenza.

Mi viene in mente la storiella di quel barbiere che malvolentieri si prestò a sbarbare un poveretto perché gli era stato chiesto di farlo per l’Amore di Dio. Avendo usato sapone infimo e rasoio stagghjéte = non affilato, il suo gesto non fu affatto meritorio.

Come in italiano si usa anche per escludere qualsiasi dubbio o per dissentire da una nefandezza.

Per esempio se qualche pettegola sta insinuando una malignità sulla onorabilità o sull’illibatezza di una donzella.
Mariètte jì ‘na uagnöna aggarbéte! Pe l’amöre de Düje! Nen ce sté njinte da düce nè söp’a jèsse e nè söp’alla famìgghje söve! = Marietta è una ragazza assennata! Per l’amor di Dio! Non c’è nulla da dire né su suo conto, e né sulla sua famiglia.

Le persone più anziane usavano la formula söpe l’Amöre de Düje!  = Sull’Amore di Dio!

L’italiano è ancora più variegato:
-Dio ce ne scampi e liberi
-Per carità di Dio
-Dio ce ne guardi
-Per l’amor di Dio

 

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Àngeca töje (all’)

Àngeca töje (all’) loc.id. = All’anima tua!

È un benevolo rimprovero verso qlcn che ha sbagliato o che si è lasciato sfuggire una ghiotta occasione per migliorarsi o per trarne vantaggio.

Un po’ un eufemismo, senza significato perché àngeca simula “anima”.

L’imprecazione più cruda mannagghja a ttè! = maledizione a te!, esprime impazienza, contrarietà, stizza, disappunto. Invece quando si usa quell’àngeca che ha un suono simile, ma che non è proprio àneme si vuole imprimere al rimprovero un senso di delicatezza e affetto.
Come quando si dice mannàgghje a chitennósse invece dell’offensivo mannagghje a chitemmùrte, o per non essere addirittura blasfemi di dice “mannàgghje alla Majèlla”.

L’interiezione all’àngeca töje può coniugarsi al plurale:
A l’àngeca vostre! = Accidenti a voi
Mannagghje a chivennósse = Accidenti ai vostri cari.

Al plurale esiste la formula breve: Gghjachìve

Ma questa la conoscono solo i monelli, avvezzi alle marachelle,  quale invettiva dei malcapitati sfottuti.

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