Categoria: Proverbi e Detti

A la fìgghja vertevöse

A la fìgghja vertevöse

Tènghe ‘na figghja vertevöse,
ogne büche jì na pertöse.
Oh che fìgghje oh che fìgghje,
ùcchje da före a chi ce la pìgghje!

Ho una figlia virtuosa, (è così una brava sarta che fa di) ogni buco un’asola. Oh che (brava) figlia, oh che figliola, una meraviglia per chi se la piglia.

La mamma vanta le virtù della propria figliola: è bravissima in sartoria. Chi se la prende come moglie resterà con gli occhi sbarrati (alla lettera occhi di fuori dalle orbite) per lo stupore di scoprirne la bravura.

L’aggettivo vertevöse = virtuosa è ormai desueto, e credo che venga usato oggi solo dalle persone molto anziane. Presumo che si usi di più aggarbéte.

Mi viene a mente il suo contrario, cioè sbertuéte o svertuéte = priva di virtù.

Grazie a Enzo Renato per il prezioso apporto, che mi ha consentito la stesura di questo articolo.

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A strigghjé ‘a chépe au ciócce ce pèrde tjimbe, acque e sapóne

A strigghjé ‘a chépe au ciócce ce pèrde tjimbe, acque e sapóne

A lavar la testa all’asino, si perde tempo, acqua e sapone.

Povero ciuchino, lo fanno passare per un maiale sozzone.

Il proverbio mette in guardia dall’iniziare un’impresa tanto ardua quanto inutile.

Si cita anche quando tutti gli sforzi profusi per insegnare qualcosa ad un alunno o ad un aprendista artigiano non hanno sortito alcun risultato apprezzabile.

Il maestro, con la sottolineatura di un simpatico scappellotto, citava il proverbio con l’intento di educare e formare il discepolo, che però ne usciva demoralizzato!

Non era proprio il metodo didattico alla Montessori, ma era accettato e incoraggiato dagli stessi genitori dell’allievo.

Ora se un/una insegnante si permette di rimproverare solo verbalmente un allievo per lo scarso profitto, viene aggredito proprio fisicamente dai genitori dello studente negligente. È purtroppo cronaca quotidiana.

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A vucjille jìnd’a caggiöle nen cànde p’amöre ma pe ràgge

A vucjille jìnd’a caggiöle nen cànde p’amöre ma pe ràgge

L’uccello in gabbia non canta per amore, ma canta per rabbia.

Questo proverbio vuole constatare, con ammirazione, la forza d’animo di qlcn che, a dispetto delle avversità della vita, riesce a trovare un po’ di serenità, magari dedicandosi ad altre attività.

Ve lo immaginate un essere umano obbligto a vivere in carcere, o in ospedale, o fuori dell sua famiglia, che canta tutto il giorno? Costui se ne è fatta una ragione, e cerca di superare al meglio il suo stato d’animo, di sollevare il morale, nonostante le avverse circostanze.

Ripeto, si pronuncia questo Proverbio con un forte senso di ammirazione e apprezzamento verso colui che ha avuto delle avversità, e in qualche modo sta reagendo alla malasorte.

Ringrazio il lettore Michele Muscatiello per il suo suggerimento.

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Abbìtue ‘u cüle quànne sté süle

Abbìtue ‘u cüle quànne sté süle

Abitua il (tuo) culo (a controllarsi, anche) quando sei solo.

Veramente si dovrebbe dire, come modo imperativo, abbetujije (tu devi abituare), altrimenti potrebbe sembrare che è qualcun altro che avvezza il suo culo a controllarsi quando sta da solo.

Anche questo Detto, sebbene in modo volgarotto, è un consiglio di buona creanza. Si deve controllarei lo sfintere anale anche se sta da soli, altrimenti può scappare un sonoro e incontrollato peto in presenza altrui, e si fa una solenne figuraccia di m….(preconizzata dall’odore emanato)

L’amico Sator aggiunge una variante:

Nzìgnete ‘u cüle quànne sté süle, ca quanne sté accumbagnéte sì chiaméte scrianzéte = Addestrati il culo quando sei da solo, ché quando sei in compagnia dei additato come screanzato.

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Accüme me pajàbbe, acchessì te pettàbbe

Accüme me pajàbbe, acchessì te pettàbbe.

Alla lettera significa: come mi pagasti, così ti tinteggiai.

Con la cifra che hai stanziato non potevi pretendere una prestazione d’opera e l’impiego di materiali di prima scelta per la dipintura della casa. Si può intendere anche la realizzazione di un quadro o di un ritratto a pennello.

Volutamente si usa la declinazione dei verbi alla maniera di un dialetto della Terra di Bari o del Sub-appennino dauno (Faeto, Carlantino o giù di lì) per mostrare la schiettezza del detto, e un po’ per prendere in giro il committente spilorcio.

Infatti in manfredoniano si dovrebbere dire pajàste e pettàtte. o, meglio, al passato prossimo: cüme m’ha pajéte, acchess’ t’agghje appettéte. = come mi hai pagato, così ti ho dipinto.

Il Detto viene pronunciato quando si ripaga qualcuno “della stessa moneta”, nel senso di ricambiare il male ricevuto facendo a propria volta del male.

Simile ad un altro proverbio dello stesso tenore: Accüme me sùne, acchessì te cande = come mi suoni, così ti canto..
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Accüme me sùne, acchessì te cànde.

Accüme me sùne, acchessì te cànde.

Alla lettera significa: come mi suoni, così ti canto.

Simpaticissimo proverbio dal significato molto chiaro: Come tu tratti me, così io tratto te.

Mi usi gentilezza? Gentilezza avrai.

Ti comporti da mascalzone? Ti rendo – con il noto proverbio italiano – pan per focaccia.

Intendi spendere poco? Ti darò un prodotto scadente. Con la cifra che intendi spendere non puoi pretendere un oggetto o una prestazione d’opera di valore. Ecc.

Simile all’0altro proverbio: accüme me pajàbbe, acchessì te pettàbbe.

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Accüme te fé ‘u ljitte, acchessì te lu truve

Accüme te fé ‘u ljitte, acchessì te lu truve

Come ti rifai il letto, così te lo trovi.

Un Detto antico che suggerisce il buon comportamento. Se si agisce bene, si raccoglieranno buoni frutti. Se si agisce con stoltezza si avranno risultati riprovevoli.
Ognuno è responsabile delle proprie azioni, nel bene e nel male.

Il lingua si usa dire: “Chi semina vento raccoglie tempesta”; oppure: “Chi è causa del suo mal, pianga se stesso”

Nota fonetica: adopero spesso il diagramma “ji” per indicare un suono lungo o per rappresentare l’italiano “ie”.
Carabbenjire = carabiniere
Frustjire = forestiere
Becchjire = bicchiere
Fjite = fetore, puzza
Ljitte = letto
Invece per il suono breve ricorro alla “i” semplice o accentata “ì”
Tìtte = tetto
Fattìzze = robusto
Pesìlle = piselli
Mìcule = lenticchie
Frangìsche = Francesco

Ringrazio il dott. Enzo Renato per il suo prezioso suggerimento.

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Acque ca nen chjöve ‘ngjile ce tröve.

Acque ca nen chjöve ‘ngjile ce tröve.

Acqua che non piove in cielo si trova.

Variante sempre in  rima: Acque ca nen fé ‘ngjile sté = acqua che non piove in cielo sta.

Il proverbio è un po’ consolatorio quando i contadini si lamentano per le scarse precipitazioni che potrebbero compromettere i loro raccolti.

Citando il proverbio è come se sperassero in cuor loro: se l’acqua si trova il cielo, quindi, presto o tardi cadrà sui nostri campi.

Una volta, quando la Fede era più sentita, si facevano novene e processioni per auspicare la pioggia: vi assicuro che funzionava.

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Add’jì ca stanne i cambéne, stanne i putténe

Add’jì ca stanne i cambéne, stanne i putténe.

Dove stanne le campane, stanno (anche) le puttane
Qualcuno ha aggiunto una variante:
Decètte ‘a vècchje abbascia-mére: «Add’jì ca stanne i cambéne, stanne i putténe» = Disse la vecchia giù alla marina: “Dove stanno le campane, là ci sono le prostitute.”

Questo antico proverbio non vuole  proprio indicare il campanile quale ricettacolo di prostitute, perché il significato va inteso ovviamente in senso figurato.

Infatti il Detto vuole sottolineare quello che la vita ci mostra ogni giorno. All’interno di qualsiasi comunità, si può trovare il bene e il male. In essa c’è tanta brava gente, ma inevitabilmente anche qualche cattivo soggetto.

In italiano esiste un Adagio che recita: “ogni mondo è paese” per dire che le stesse cose tipiche della natura umana, virtù e nefandezze si trovano dovunque.

Vogliamo elencarle? Laboriosità, onestà, moralità, talento, moderazione, ecc.,   Ma anche: spirito di sopraffazione, ingordigia di denaro, scaltrezza, meschinità,  spregiudicatezza nelle trattative sempre a discapito altri, codardia, egoismo, venalità, ecc. ecc.

Coraggio!…. “Io, speriamo che me la cavo” (cit. Marcello D’Orta, 1992)

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