Categoria: S

Sturlaché

Sturlaché v.i.= Blaterare

Parlare sempre, a proposito e a sproposito, a lungo e a voce alta.

Le persone che ascoltano dicono: Avàste! So’ tre jöre ca ce sté sturlacànne!!
Ossia: Ci hai storditi, intontiti, scimuniti con il tuo interminabile sproloquiare.

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Sturné

Sturné v.t. = Ripristinare

Qlcu dice anche sturnì

Presumo che sia una storpiatura proprio del termine dotto “ripristinare”, cioè: riportare alle condizioni originarie, ricostruire.

L’operazione del fabbro consiste nel modificare a caldo la parte tagliente, deteriorata per l’uso, di uno strumento di lavoro, specificamente i vomeri, le zappe, i picconi da sterratore e quelli da tufaroli, le accette da boscaioli, gli scalpelli, ecc..

Spesso per compensarne il logorio, il fabbro sovrapponeva al taglio consumato un altro strato metallico, sempre a caldo, gli ridava la forma a martellate sull’incudine, e poi lo temprava raffreddandolo rapidamente nella pilozza dell’acqua per dargli durezza.

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Sturte e malurte

Sturte e malurte loc.id. = Alla meno peggio

Questa locuzione idiomatica si può tradurre anche in: bene o male, concludendo, finalmente, ad ogni modo, ecc.

Con termini più moderni si dice: stùrte e drìtte, o anche all’ammèrse o alla drìtte

Insomma descrive una prestazione d’opera, un manufatto, ecc. portato sì a termine, ma non proprio secondo le aspettative.

Si dice anche quando un lavoro iniziato da lungo tempo è stato ultimato ben oltre i termini previsti.

Uhé, Giuà, avüte fenüte de frabbeché? – Sì, ngrazzje a Düje, ‘u möse passéte: sturte e malurte àmme avüte ‘a chése e àmme paiéte ‘u màstre. = -Ehi, Giovanni, avete finito di costruire? – Sì, grazie a Dio, il mese scorso: finalmente abbiamo ottenuto la casa e abbiamo liquidato il costruttore.

Il termine malurte non significa niente (*). È solo un rafforzativo in rima, come nella locuzione spjirte e demjirte.
In italiano, proprio sturte e malurte si dice anche di riffa e di raffa = in un modo o nell’altro, ad ogni costo.
Ove riffa significa anche prepotenza (Toscana) e raffa colpo di boccia, contro il pallino o contro una boccia avversaria.

(*)  Il Prof. Michele Ciliberti – che ringrazio pubblicamente –  mi ha fatto notare che invece malurte in questa locuzione ha un significato molto calzante. Mi ha scritto:

«Leggo che “malúrte” non significa niente, serve solo per la rima. Invece, non è così. Anzitutto l’etimologia è dal latino “male ortum”, cioè “nato male”, quindi qualcosa di non regolare o di naturalmente irregolare.»   (Michele Ciliberti)

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Stùzze

Stùzze s.m. = Tozzo, pezzo, framment

Specificamente designa un pezzo di pane tagliato grossolanamente, specialmente se raffermo, ma comunque commestibile.

L’ho sentito dire anche in falegnameria: Dàmme códdu stuzze de lègne = Dammi quel pezzo di legno.

Diminutivo stuzzarjille-

È usato anche Stòzze al femminile (dimin. stuzzarèlle). In questo caso si tratta solo di avanzi di pane molto secchi, quasi da buttare. Si possono ancora “salvare” usandoli per il pancotto oppure dopo averli inzuppati in acqua per ammorbidirli e renderli masticabili. per una appetitosa panzanella con olio, sale, pomodorini e origano.

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Subbetànje

Subbetànje agg. = Subitaneo, d’impulso, rapidamente

Che avviene o si manifesta d’un tratto o con grande rapidità.

Deriva dal latino  subitanĕus, der. di subĭtus = improvviso.

Il termine “dotto” è rimasto nel nostro dialetto solo nella locuzione ‘na morta subbetànje per designare un una morte rapida, senza lunga agonia, o un decesso improvviso, inaspettato..

Come sinonimo usiamo la locuzione tutte ‘na volte = tutto d’un tratto, rapidamente, inaspettatamente.

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Sudeché

Sudeché (o anche suddeché) v.t. = seguire, inseguire

Credo che sia una metatesi di secutare dalla chiara matrice latina.

Ho sentito dire nel Salento: “La macchina dei Carabinieri me secùta“, mi segue. Chiara derivazione dal latino sequitur

La voce è antica ed è andata quasi in disuso perché ora viene pronunciata ancora solo le persone molto anziane.

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Sugre

Sugre s.m. = Suocero

Il padre del coniuge.

Al femminile fa sògre.

Come nei dialetti dell’Italia meridionale, per indicare i propri suoceri, si dice sùgreme e sògreme = mio suocero e mia suocera.

Per indicare quelli di chi ascolta sùgrete e sògrete = tuo suocero e tua suocera.

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Sulagnéte

Sulagnéte s.f. = Insolazione

Colpo di calore derivato da irraggiamento solare (non tanto intenso, tuttavia, da causare la temuta congestione cerebrale).

L’esposizione al sole, specie se si è vestiti con abiti inadatti, causa una sensazione fastidiosa di caldo e rilascio di abbondante sudorazione.

So’ jüte au merchéte martedì. Agghje pegghjéte ‘na sulagnéte, e manghe njinde agghje accattéte! = Sono andato al mercato martedì. Ho preso un’insolazione e nemmeno nulla ho comprato.

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Sulvarjille

Sulvarjille s.m.= Solutivo, risolutore

Uomo deciso, sicuro, determinato, che ha la forza e la capacità di decidere e di risolvere qls difficoltà.

Gesèppe ne jì sulvarjille accüme au fréte = Giuseppe non è solutivo come suo fratello.

Presumo che derivi dal latino solvere, sciogliere, risolvere,

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Suma’

Suma’ s.m. = Maestro, Mastro

L’appellativo suma’ era usato dagli allievi di bottega quando si rivolgevano al loro Maestro artigiano (sarto, fabbro, falegname, sellaio, muratore, lattoniere, fornaio, ecc.). Spesso costui era anche maestro di vita: con il suo esempio insegnava rispetto, onestà, correttezza. Un educatore rispettato anche quando gli allievi aprivano una loro autonoma attività.

Secondo la mia opinabile opinione è la forma contratta di “u màstre“. 

Il lettore Matteo Borgia – che ringrazio di cuore – ha formulato questa ipotesi sull’origine di suma’:
«L’attributo sua o suo è una forma di rispetto (sua signoria, sua maestà, sua santità, sua eccellenza, ecc. ecc.).
Perciò suma’ è la forma contratta di “sua maestria».

Allo stesso modo contratto, aggiungo io, si è formato surüje [contrazione di (clicca→) segnerüje] e, in siciliano, il vocativo vossia, e voscenza (vostra signoria, vostra eccellenza)

Parlandone a terzi gli allievi indicano il proprio maestro/a con: ‘u mastre müje, o ‘a mastra möje = il mio maestro, la mia maestra.

In termini generici basta ‘u mastre o ‘a mastre

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