Capellüne 

Capellüne s.f. = Capigliatura

Di solito si intende una chioma, maschile o femminile, ben curata e ordinata, nonché la stessa pettinatura accurata.

Vüte a jìsse che bella capellüne ca töne! = Guardalo che bella pettinatura che ha!

Come neologismo è il plurale di capellöne = capellone, hippy, movimento giovanile degli anni ’60 caratterizzato dalla lunga capigliatura dei maschi.

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Capellöre

Capellöre s.f. = Pettinatrice

Donna che si guadagnava da vivere dedicandosi ad acconciare i capelli a domicilio.

Copriva le spalle della cliente con una tela bianca, scioglieva e lavava i capelli, li pettinava accuratamente col pettine rado (‘a pettenèsse) e poi con quello fine (‘u pèttene) alla ricerca di eventuali focolai di pidocchi. Dopo l’asciugatura, riformava le trecce e le riavvolgeva a crocchia.

I lunghi capelli che restavano fra i denti del pettine e sulla tovaglia posata sulle spalle venivano raccolti accuratamente e inseriti in un sacchetto con chiusura a borsa di tabacco.

Quando il sacchetto era pieno diventava merce di scambio con uno specifico venditore ambulante. Difatti costui dava in cambio due saponette, o un pennello da barba, o una spazzola per abiti, o alcune scatole di lucido per scarpe, o cinque metri di elastico per mutande, ecc.

Presumo che i capelli umani di una certa lunghezza erano molto richiesti dalle fabbriche di parrucche: e se no che se ne facevano?

Il mestiere è passato quale soprannome a indicare una specifica famiglia.

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Capé

Capé (o Capéje) v.t. = Scegliere

Individuare, selezionare tra più cose in base a determinate caratteristiche di utilità per un fine, di convenienza in una circostanza, di idoneità ad un uso.

Generalmente si sceglie nel mercatino, tra i frutti della stessa specie, quelli che all’apparenza sembrano più sani e grossi, con disappunto del venditore che talvolta – come nella foto – esplicitamente vieta questa tendenza.
Tuttavia, ho sentito io stesso un vivace fruttivendolo che imboniva:
“Quande so’ bèlle i manderüne! Capéte, capéte! Jògge putüte capé! . Poi ripeteva in “italiano” per i forestieri che magari non potevano capire il dialetto: “Oggi potete capàre!”  Oggi potete scegliere, ma gli altri giorni no. Evidentemente non c’era bisogno di scegliere, perché i suoi mandarini erano tutti della stessa grossezza.

Te lu si’ capéte da jìnd’u mazze  a ‘stu bèlle jaròfene!= Te lo sei scelto dal mazzo (di fiori) questo  bel “garofano”!
Questa frase figurata, certamente detta in tono sarcastico e di rimprovero, veniva spesso rivolta a quella fanciulla che a suo tempo si era innamorata cotta di un mascalzone, e che ora sta passando delle tribolazioni a causa delle intemperanze di questo “garofano”.

Senza nulla togliere alla bellezza del fiore, credo che in questo caso la valenza negativa del garofano sia derivata dalla sua somiglianza con il cognome Garofalo, il “cattivo”, l’insidiatore di fanciulle ingenue, il ricattatore, il truce, in quei film di amore-gelosia-sangue, quei drammoni che tanto piacevano alle nostre nonne.

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Capacchjöne

Capacchjöne agg. = Testone, testardo

Il soggetto che ha dato origine al soprannome o aveva una testa di considerevole stazza, o semplicemente era testardo, cocciuto.

Significa anche caparbio, ostinato nelle proprie convinzioni. Nessuno riesce a farlo desistere, nemmeno di fronte all’evidenza.
Insomma, in altri termini, può definirsi chépe de mentöne = testa di montone, di ariete.

il ‘u Capacchjöne per antonomasia era diventato spregiativamente il fondatore del Fascismo, Benito Mussolini, capacchjöne onorario.
All’epoca molti ritenevano che il suo testone contenesse un cervello dotato di una intelligenza eccezionale. Altri lo immaginavano pieno di “fumiero”, e mi fermo qui perché non parlo di Politica in questo sito.

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Canzìlle

Canzìlle s.m. = Incardellato canoro

Uccellino molto melodioso ibrido, nato per incrocio in cattività fra una canarina (‘na canàrje) ed un cardellino (‘nu cardìlle).

Canta incessantemente in diversi toni rincorrentisi, come una “fuga” di Bach. Fino a sera, se non si copre la gabbietta con un drappo, fa rintronare la casa dei suoi trilli.

Dà grosse soddisfazioni all’allevatore. Si racconta di un Napoletano che per ottenerlo, in cambio diede un maiale adulto! Ci credo.

Sto pensando, curiosamente, all’origine del nome: come il mandarancio è un ibrido di mandarino e arancia, così potrebbe essere can- (radice da canarje) e -zìlle desinenza da cardìlle)…Ma è solo la mia fantasia, senza alcun basamento scientifico-etimologico.

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Canzéne 

Canzéne n.p. = Canzano.

Nome di un Comune del Teramano.

E’ anche un Cognome diffuso in Campania e in Abruzzo.

Da noi è diventato un soprannome.

Ricordo un certo Matteo Canzano, un tipo bonaccione, che per pochi spiccioli andava a riempire una “quartara” d’acqua per conto di persone anziane..

Camminava per le strade fischiettando una unica monotona nota. Le donne, quando lo sentivano, uscivano e chiedevano:”Mattöje, me vu jègne l’acque?” = Matteo, mi vuoi riempire l’acqua?

Era molto buono, sempre sorridente… fino a quando qualche farabutto gli ha insegnato a bere il vino e a fumare. Tutti i suoi guadagni li spendeva alla cantina

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Ciambotte

Ciambotte s.f. = Zuppa di pesce del Golfo.

I Potentini, che sono montagnari, chiamano pomposamente ciambotta una volgare zuppa di verdure….

Per un integralista come me sentire questo soave nome dato a dei semplici vegetali è una vera eresia.

La ciambotte nostrana si prepara con una nutrita specie di pesci: tràcene, sparrüne, cechéle, tèste, lucèrne, scròfele, sambjitre, caccjüne, siccetèlle, scàmpe, rùnghe, ecc. (eh, eh, mi sembra la formazione di una squadra vincente ai campionati gastronomici mondiali!).

È veramente squisita sia versata sugli spaghetti al dente, sia usata come intingolo per ammollarvi il pane duro, vecchio di qualche giorno.

Un piccolo segreto rende la ciambotte di Manfredonia un po’ speciale rispetto al cacciucco livornese, o alla bouillabasse di Marsiglia, o alla zuppa di pesce di Termoli o di Taranto o di San Benedetto del Tronto (tutte molto buone, per carità…).

Quella fetta di peperone, possibilmente verde, che le nostre mamme pongono nel sughetto è la mossa vincente!

Altro che Vissani, lo chef che si fa vanta di conoscere tutti i segreti della cucina….Vissa’, vàtte cùleche!

Quelli che dicono ‘a zóppe ‘u pèsce = la zuppa di pesce, sono Manfredoniani parlanti un dialetto geneticamente modificato. Si deve dire ‘a ciambòtte!

Scherzosamente nel dire facjüme ciambòtte si usa un parlare figurato. Non si prepara la zuppa di pesce, ma si combina qualcosa di intimo, di delizioso, ma in coppia…

L’amico Ettore Don mi ha fornito l’etimologia di ciambotte.
«Si racconta che i marinai francesi usassero questo termine durante i periodi di scarsità…il significato tradotto dal linguaggio arcaico francese vuol dire : prendiamo ( mangiamo ) tutto quello che abbiamo a bordo»

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Cechéle

Cechéle s.f. = Canocchia

Crostaceo marino (Squilla Mantis) di piccole dimensioni, apprezzato per le sue carni; è detto anche cicala di mare.

Dà profumo e sapore alla nostra prelibata ciambòtte.

Durante il periodo della riproduzione, per effetto della cottura, la parte centrale della cicala si coagula, e forma il cosiddetto “cannùle” = cannelletto, di colore arancione e di consistenza più dura della restante polpa bianca, cannello che è ugualmente commestibile.

Per curiosità riporto le denominazioni regionali (dal web):
DENOMINAZIONI REGIONALI

* Abruzzo: Canocchia.
* Campania: Pannocchia, Spernocchia, Sparnocchia, Šcrefìce
* Friuli-Venezia Giulia: Canocia, Canoccia, Canocchia, Pannocchia.
* Liguria: Balestrin, Sigà de maa, Sighea.
* Marche: Cannoccia, Cannocchia, Panocchia, Nocchia.
* Puglia: Cannocchiella, Cecala, Caraviedde, Canocia.
* Sardegna: Càmbara de fangu, Solegianu de mari.
* Sicilia: Astrea, Cegala de mari, Schirifizu.
* Toscana: Canocchia, Pannocchia, Cicala di mare.
* Veneto: Canocia, Canoccia, Canòcchia, Panocchia.

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Cannùle

Cannùle s.m. = Ghiaccio

Ghiaccio artificiale a blocchi, ottenuto attraverso il congelamento dell’ acqua in appostiti contenitori a sezione quadrangolare di cm 25 x 25 e di circa 70 cm. di altezza

Usati in marineria, dopo grossolana tritatura, per conservare per qualche ora il pesce fresco, durante il trasferimento dal peschereccio ai paesi vicini.

La colonnina di ghiaccio ha avuto il suo auge al tempo delle granite (grattamarjànne) preparate al momento del consumo.

Si vendeva a pezzi di circa mezzo chilo, quando non c’erano i frigoriferi domestici, e d’estate si voleva ottenere una bevanda fresca.

Un giovane intraprendente girava per le vie di Monticchio con una carrellino sul quale trasportava il suo ghiaccio, coperto di paglia per isolarlo dall’afa, e lo vendeva agli angoli delle strade: ‘u ghiacce, u ghiacce, u ghiacce de Fogge! Accattàteve ‘u ghiacce de Fogge, uhé! = Il ghiaccio, il ghiaccio, il ghiaccio di Foggia! Acquistate il ghiaccio di Foggia, ohé!…

Come se il ghiaccio di Foggia fosse migliore di quello locale!

Comunque aveva fretta di vendere altrimenti lo perdeva sgocciolando per le strade.

Mamma mi dava una moneta: Tonino, mamme, va’accàtte djice lüre de ghiacce ca mò vöne papà. = Tonino, bello di mamma, va a comprare dieci lire di ghiaccio ché fra poco viene papà.

Con il termine cannùle si indica anche la parte interna delle canocchie (Squilla mantis) che si coagula durante la cottura.

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Cannótte

Cannótte s.m. = Fauci

Fauci spalancate, intese sia nel senso di fauci fameliche e sia come jàrze da urlatori come i bannajule .

Quanne je so’ arrevéte addu jìsse, cuddu desgrazzjéte m’ho gredéte pe tande ‘nu cannotte japirte = Quando sono arrivato da lui, quel disgraziato mi ha urlato con tanto di fauci aperte.

Deriva da “condotto, tubazione”

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