Tag: avverbio

Daràsse

Daràsse avv. = Distante, lontano

Va bene anche scritto da rasse= da lontano

Che è separato da uno spazio (non troppo ampio).

Deriva da arrassé = allontanare, distanziare.

Quanne me vüte a me, statte darasse! = Quando vedi me gira al largo.

Stèvene tutte quànde daràsse e nen li sendöve = Erano tutti distanti, e non li sentivo.

Baste ca sté ‘nu palme darasse dau cüle müje = Purché stia un palmo distante dal mio culo.
È un’espressione cinica ed egoistica, come per dire: faccia quello vuole, basta che non tocchi i miei interessi.  A salvaguardia mia e dei miei beni, purché non lo prenda a quel servizio.

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Dacchessì

Dacchessì avv. = Così

In questo modo, in questo aspetto, in cotal forma e sim.

Meh, nen facènne dacchessì! = Dai, non fare così!

Dacchessì avöv’a jèsse = Così avrebbe dovuto essere.

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Cum’jì

Cum’jì o Cumì avv. = Perché, com’è.

In proposizioni interrogative dirette o indirette: per quale motivo? o per quale scopo?

Corrisponde all’interrogativo inglese Why?, o a quello francese Pourquoi?.

La risposta richiede rispettivamente Because…, e Parce-que….

In italiano va bene il medesimo avverbio sia per la domanda e sia per la risposta: Perché? – Perché…

In dialetto: Cum’jì? – Pecchè

Ma le regole non sono ferree, se si dice come in italiano va bene lo stesso:

E pecchè? Pecchè ‘u Pépe nen jì Re!

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Cré

Cré, avv. = Domani, il giorno dopo di questo.

Qlcu pronuncia anche créje.
Vènghe quann’è créje = Vengo quando è domani.

Termine tramandato dal latino Cras = domani.

I nostri vecchi usavano anche pescré (pronunciato anche pescréje) = dopodomani, sempre dal lat. post cras il giorno dopo di domani.

Sovente dicevano anche pescrìdde per indicare il terzo giorno che verrà…ma questa voce non ha etimologia classica: è una deformazione locale.

Mi fanno ridere i ragazzi moderni che sanno dire duméne e döpe-duméne, traducendo l’italiano in manfredoniano… Questo è un dialetto geneticamente modificato…
Evitiamolo, o parliamo italiano o… “parliamomanfredoniano.it”

Carlo Levi, confinato politico dal fascismo a Gagliano (Aliano),  riferisce che i contadini della Basilicata, oltre al crài pescrài, usassero pure altri avverbi, che ora non ricordo…. Insomma avevano un termine per indicare ognuno dei sette giorni in sequenza, fino alla successiva settimana!

Ho fatto delle ricerche ed ho reperito il testo on-line. Per curiosità letteraria lo trascrivo qui di seguito:

«… Crai è domani, e sempre; ma il giorno dopo domani è prescrai e il giorno dopo ancora è pescrille poi viene pescruflo, e poi maruflo e marufIone; ed il settimo giorno è maruficchio. Ma questa esattezza di termini ha più che altro un valore di ironia. Queste parole non si usano tanto per indicare questo o quel giorno, ma piuttosto tutte insieme come un elenco, e il loro stesso suono è grottesco: sono come una riprova della inutilità di voler distinguere nelle eterne nebbie dei crai.»
(Carlo Levi –  “Cristo si è fermato a Eboli” – 1945 Ed. Einaudi)

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Cìtte-cìtte

Cìtte-cìtte avv. = Zitto zitto, silenziosamente.

Facjüme citte-citte = Agiamo silenziosamente. Senza farci accorgere.

I Napoletani usano aummo-aummo.

 

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Bèlle-bèlle 

Bèlle-bèlle avv. = Tranquillamente

In modo quieto, calmo.

Jì arrevéte Ze Pèppe, belle-belle, cìtte cìtte = e’ arrivato Zio Peppe, tranquillamente, zitto zitto.

In funzione esortativa: invito alla calma, alla riflessione, alla prudenza. non essere impulsivi, a restare tranquilli.

Uagnü, belle belle, nen ve pegghjéte còllere per senza njinde!= Ragazzi, calma, non vi adirate per un nonnulla.

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Abbönecónde

Abbönecónde avv. = infine, insomma

La traduzione letterale sarebbe “a buon conto”; in italiano si potrebbe usare la locuzione “ad ogni buon conto” o anche “morale della favola”, “alla fine”, “in fin dei conti”.

Il lodato vocabolario on line Sabatini-Coletti definisce come congiunzione testuale: “conferisce valore riassuntivo e conclusivo a una frase con sequenza di discorso rispetto a quanto detto in precedenza” Basta così, altrimenti questo mio lavoro rischia di diventare un trattato scientifico, cosa che assolutamente non è nelle mie intenzioni!!!!

Abbönecónde vù avì sèmpe raggiöne tó! = Alla fine vuoi sempre aver ragione tu!

Abbönecónde ‘stu capacchjöne uà fé cüme düce jìsse = Alla fine questo testone deve fare a modo suo (come dice lui)!

Abbönecónde, facjüme cüme e cazzöne, da turte a raggiöne = Morale della favola, pare che ora stiamo facendo come “cazzone”, il quale pur avendo torto marcio è riuscito ad aver ragione.

Esiste anche una forma molto più più antica, ormai del tutto desueta, che riporto in questo articolo solo per ricordarlo, cioè: abbönesüje o anche abbunesüje= ebbene sia (sia come tu mi dici, non mi va di replicare). Abbönesüje te vògghje avì crèdete = Alla fine voglio crederti (basta che finisca qui la disputa).

Chi rótte, chi sfascéte, chi arrepezzéte: abbönesüje nen ce stöve na cöse accüme i crestjéne = Chi rotto, chi sfasciato, chi rattoppato: insomma non c’era una sola cosa fatta per bene (come i “cristiani” nel senso di fatta a regola d’arte)

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