Tag: Locuzione idiomatica

Cunzegné ‘i ròbbe

Cunzegné ‘i ròbbe loc.id. = Esporre il corredo

Era consuetudine che i futuri coniugi, ognuno nella propria abitazione, ostentassero biancheria e oggetti che avrebbero costituito la dotazione del loro nido.

Era motivo di orgoglio per la famiglia, specie quella della sposa, poter esporre “i robbe a vìnde” = il corredo a venti. Ossia 20 maglie, 20 mutande, 20 sottane, 20 canottiere, ecc.oltre alla coperta di raso, vero gioiello per la sposa, e alla trapunta (cuèrta ‘mbuttüte), al pentolame, au renéle al uaciüle.

Il servizio di piatti di solito lo si aspettava quale regalo di nozze dai parenti.

Si diponeva tutto coreograficamente, secondo il gusto di qlc commare che fungeva da arredatrice. Addirittura qlcu chiamava ” ‘a crestjéne” = la persona (specializzata) a disporre degnamente la roba.

I parenti, opportunamenti avvertiti dell’esposizione, venivano in visita, lasciavano il regalo e la conferma della loro partecipazione al festino.

Si offrivano confettini, pizzarelle, e rosolio. Qualche spiritoso invece del bicchierino, si faceva versare il liquore dentro il “pisciatüre” (nuovo di zecca e mai usato, spero).

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Cüme a n’acque de Magge 

Cüme a n’acque de Magge loc.id. = Gradito, opportuno, efficace

La locuzione è termine di paragone quando si vuol esaltare l’opportunità e l’efficacia di un’azione gradita, così come lo è la pioggia di maggio per l’erba spontanea dei pascoli e per le coltivazioni orticole e cerealicole.

Un gesto consolatorio, un introito extra, una vincita, un regalo gradito, la vicinanza di un amico in un momento difficle, ecc. sono cüme a ‘n’ acque de Magge = come un’acqua di maggio.

Simile a refreškàrece l’osse = rinfrescarsi le ossa = rinfrancarsi, risollevarsi.

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Cúleca-ljitte

Cúleca-ljitte loc.id. = Conclusione

Beh, se vogliamo dirla tutta, é la conclusione che nessuno vorrebbe.

Si dice con inquietudine: E cóste jí ´u cúleca-ljitte! = E questo é il colpo finale. Come per dire: e questa è la riconoscenza, il compenso, la gratitudine?

Faccio qualche esempio:

1) io ho lavorato tutta la giornata per sistemare una certa cosa, quando arriva il Capo e – succede, succede!… – imnvece di apprezzare la mia opera, dice che essa va rifatta secondo altri criteri. Bene l´ordine del superiore è la “conclusione” della mia fatica! L´amaro in bocca.E cóste jí ´u cúleca-ljitte!

2) Cosí come quelli che fanno un favore ad un conoscente e poi vengono anche cazziati, fatti oggetto di rimbrotto perché non di suo gradimento. E cóste jí ´u culeca-ljitte.

3) Oggi, dopo pranzo ci siamo accorti che la lavatrice perdeva acqua ed aveva allagato lo stanzino. Col boccone il gola ci siamo dati da fare per raccoglierla. Ecco, questo inconveniente è la materializzazione piú evidente del sostantivo culeca-ljitte!

4) Altro caso. Dopo avere dichiarato unilateralmente l´apertura della striscia di Gaza da parte di Israele, Benjamin Netanyahu, si é dovuto ricredere ben presto, perché un fondamentalista islamico, fondamentalmente imbecille, ha attuato un sonoro attentato dinamitardo. C´era bisogno? L´indomani gli Israeliani hanno bombardato il villaggio da cui era partito l´attentatore. Vige in Israele tuttora la legge del taglione dai tempi di Mosè.

Ecco, se Benjamin Netanyahu fosse stato di Manfredonia avrebbe detto: “E cóste jí ´u culeca-ljitte.

Alla lettera: corica-letto, còricati o anche prepara il letto (perché è finito l´impegno assunto, malamente…..).

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Cué l´áneme

Cué l´áneme loc.id. = Opprimere

Alla lettera: covare l’anima. Posarsi a lungo, come la chioccia che si pone sulle uova fino alla schiusa.

Si può dire anche accué l´àneme. In napoletano accuvà, significa nascondere, ma principalmente coprire.

Madònne, ´stu càzze me sté ´ngùdda-ngudde, me sté a cué l´àneme! = Madonna, costui mi sta addosso, mi sta opprimendo, mi sta togliendo il respiro.

Per estensione anche aspettare pazientemente che i tempi maturino, che le cose cambino. Attendere a lungo, come è interminabile il tempo di una covata, ma alla fine nasce qualcosa, di buono o di cattivo.

Un po’ come cuccuascé.

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Crìsce sànde!

Crìsce sànde loc.id. = Cresci santo! = Salute!

Espressione di augurio rivolta ai bambini che emettono uno starnuto.

Accettabile anche con la grafia  crìsce sante.

Per gli adulti si usa la formula simil-italiana di Salüte!

Crisce sande! Ca puzz’avì ‘na bböna sòrte! = Salute! Che tu possa avere una buona sorte, una vita fortunata..

Il meccanismo fisiologico che provoca lo starnuto scatta allo scopo di eliminare, tramite le vie respiratorie, gli agenti patogeni.

Anticamente si riteneva lo starnuto manifestasse la guarigione dalla peste o da un morbo letale.

Quindi lo starnuto era accolto come un augurio, come per dire: la salute è ritornata!

Il crisce-sande! è dettato dalla tenerezza delle mamme verso i loro pargoli. Talvolta, quando sono spazientite dalla loro  vivacità, aggiungono sorridendo e sottovoce: ca djàvele già sì = ché diavolo già sei!

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Crepé ‘ngùrpe

Crepé ‘ngùrpe loc.id. = Amareggiare

Fare soffrire, affliggere, rattristare, crucciare, angosciare, tormentare, indispettire qlc.

Jìsse nen me vole sènde a me? e jüje lu fazze crepé ‘ngurpe! = Lui non mi vuole dare ascolto? Allora io lo faccio soffrire (col mio atteggiamento dispettoso).

Agire a dispetto, a škattamjinde

Il significato letterale è: procurare o riportare gravi lesioni interne per le percosse. Ma solo a parole come minaccia.

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Corre apprjisse 

Corre apprjisse loc.id. = Inseguire, incalzare, tallonare.

Una locuzione verbale che indica un inseguimento a piedi piuttosto movimentato.

In tono scherzoso si pronuncia per invitare a fare le cose con calma e perciò per bene.

Bbèlle-bbèlle, tande nesciüne ce corre apprjisse = Calma, adagio, tanto nessuno ci rincorre (nessuno ci corre dietro).

È spesso usato anche in senso metaforico, figurato.

L’uscjire ‘u còrrene apprjise = Costui è pieno di debiti.

La frase più esplicativa sarebbe: gli Uscieri giudiziari lo tallonano, lo cercano, lo inseguono per notificargli, secondo la prassi prevista dalla Procedura concorsuale, il pignoramento o il sequestro dei beni per via della sua insolvenza.

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Ciambe-ciambe

Ciambe-ciambe loc. id.soprann. = Impronte, ditate.

1) Un mobile è pieno di impronte lasciate da mani unte o sudate? Ecco è tutto ciambe.ciambe!

Si può dire anche che sté ciambjéte, ove ciambe è una caricatura di zampa, perché il monello che ha fatto il danno è paragonato ad una bestiolina con le zampette…

Mi sa che anche ciambéte = manciata derivi da ciambe = zampa

2) Con il nomignolo Ciambe-ciambe era conosciuto un bravissimo sarto su Via Tribuna, fra Via Magazzini e Via Vittor Pisani, specializzato nel confezionare abiti da uomo. Molti allievi sono usciti dalla sua bottega, altrettanto bravi.

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Chjuì a cjile apjirte

Chjuì a cjile apjirte loc.id. = Piovere a scroscio

Alla lettera: piovere a cielo aperto.

In italiano a ‘cielo aperto’ possono essere, le miniere, le cave, o anche certe manifestazioni sportive, religiose, all’aperto, au plein air, come dicono i Francesi.

In italiano per la pioggia abbondante non esiste una locuzione così costruita. Si dice:

-piovere a catinelle
-piovere a iosa
-piovere a profusione
-diluviare
-scrosciare
ecc.

C’jì mìsse a chjöve a cjile apjirte, ‘nzapüme quànne la völe fenèsce = Si è messo a diluviare, non sappiamo quando la smette.

Nell’ambiente marinaresco qlcu dice anche chjöve a zeffónne = piovere abbondantemente, da farci rischiare di affondare.

Anche in napoletano si dice chiòvere a zeffùnno.

Nei paesi di lingua inglese curiosamente si dice: to rain cats and dogs = piovere gatti e cani.

Chissà che ne pensa l’Associazione per la Protezione degli Animali!!!

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Chjangia-chemò 

Chjangia-chemò loc.id.= Biancheria o abiti fuori moda.

“Era riferito al corredo che le mamme davano alle figlie quando si sposavano. Però i gusti delle figlie non combaciavano con quelli delle madri, ragion per cui tutti quegli indumenti non venivano utilizzati” (Amilcare Renato)

Insomma tutta la dote ‘i rrobbe (lenzuola, tovaglie, federe, camicie, tendine, centrini ricamati, sottovesti, tela per cucito, ecc.) giaceva per anni nei cassetti del comò. Occupava spazio, in attesa di essere adoperata prima o poi.

O per seguire la capricciosa moda, o per assecondare i differenti gusti, le figlie si orientavano verso altri prodotti lasciando i primi in fondo ai cassetti del comò, o nelle cassapanche per biancheria.

In questa aspettazione (vi piace questa parola?) si immaginava che questi vestiari ed effetti personali, come fossero animati, “stessero a piangere” (giacessero in attesa), auspicando di essere usati, indossati prima o poi.

Tjine tanta ggiöje de rrobbe ca sté a chjange ‘ind’u chemò e nen la pìgghje mé! = Hai tanta bella roba che giace (sta soffrendo, sta piangendo per la lunga attesa) all’interno del tuo cassettone, e tu non la prendi mai!.

In sintesi si è riconosciuto con questo chjiangia-chemò tutto il contentuto che giace per anni nel comò senza essere stato mai usato.

Al contrario tanti oggetti di biancheria da chjiiangia-chemò sono ora molto rivalutati per la loro testimonianza di un particolare momento storico della moda, del costume, del design.

Infatti, con il termine vintage, si riconosce negli oggetti fuori moda un valore aggiunto per le sue doti di qualità e bellezza, nonché per la loro testimonianza di un particolare momento storico della moda, del costume, del design.
Non si può tradurre vintage in manfredoniano. Vi rimando a spezzje andüche

Ringrazio vivamente l’amico Amilcare Renato, che mi ha riportato questa ormai desueta locuzione idiomatica, da lui sentita spesso da sua madre e da sua nonna.

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