Tag: Locuzione idiomatica

Chjacchjere mòrte

Chjacchjere mòrte loc.id. = Ciance, Parole parole parole…

Quando si ascoltano tante belle parole, tante promesse che non verranno mantenute, come le promesse elettorali, si classificano come chiacchiere vuote, morte, che non arrecano alcun beneficio reale, né ora né mai.

A volte quando qlcu minaccia o riferisce guai in arrivo da parte di terzi, lo si rimbecca classificando le sue come chiacchiere morte.

Va bene anche la locuzione chjàcchjere vacànde = parole vuote.

Che ste decènne? Quìste so’ chjàcchjere vacànde! = Che stai dicendo? Queste sono ciance.

Ringrazio l’assiduo lettore Michele Murgo per lo spunto fornitomi.

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Chiàcchjere-mòrte

Chiàcchjere-mòrte loc.id. = Sciocchezza

Locuzione usata sempre al plurale per significare:parole senza peso, inutili, sciocche.

Argomento senza importanza.

Anche riferito a fatti concreti ma trascurabili, senza rilevanza.

Che te mange jògge? Quacche cusarèlle, robbe de chiàcchjere-morte = Cosa mangi oggi (di buono)? Qualche cosina, niente di speciale.

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Chéne-mùrte

Chéne-mùrte loc.id.. = Insificante, apatico.

Il termine, raccolto di recente, designa qlc elemento del gruppo che non ha smalto, o brio, o vivacità.

Non prende mai alcuna iniziativa, è “spento” anche se di giovane età.

Insomma indica una persona senza vitalità, che è fermo come un cane morto!

Mattöje jì proprje ‘nu chéne murte = Matteo è proprio in tipo apatico.

Talvolta invece indica un fetore insopportabile paragonabile a quello che esala da una carcassa di cane insepolto.

Föte a chéne murte = Puzza come un cane morto.

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Chédö-chédöje…

Chédö-chédöje… loc.id. =  Ma è scontato! Ma è evidente!

È una sintetica espressione che spiega l’assoluta evidenza di un evento, del tutto scontato, lapalissiano.
Un nostro Detto parla esplicitamente di una scusa ipotetica, di un motivo pretestuoso: chédö-chédöje ca ‘u baccalà jì saléte.

Uso le parole dell’amico Enzo Renato che spiega la storia del baccalà salato:
« Tanto si sa che e’ così….Prima che te ne vieni a quella conclusione e/o rinfacciarmelo. E certo che è salato! Che scoperta!»

Può anche manifestare la mancanza di volontà di intrufolarsi negli affari altrui. Parola d’ordine: rispetto di ogni “privacy” e nessun fraintendimento delle proprie intenzioni. Che non pensino che…
Nen so jüte a truàrle, angöre chedö-chedöje avessa cröde ca vogghje scanagghjé i fatte süje. = Non ci sono andato a fargli visita, per evitare che creda che io ci sia andato per sapere i fatti suoi.

Anche la parlata garganica accoglie questa locuzione con pronuncia diversa: chedè-chedèje.

Si potrebbe tradurre: ‘che è, che non è’…ma credetemi, sento più immediata l’espressione dialettale.

Chedè/chedèje/chedöje sarebbe “che è” con una “d” eufonica come in “ad, ed”, o come il “t” francese nei verbi in forma interrogativa alla terza persona que reste-t-il? [che rimane?]. Quindi dovrebbe portare la grafia che-d-è, ma non voglio essere così

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Che facce ca tjine

Che facce ca tjine! loc.id. = Sfrontato!

Espressione che vuole contestare qlcu che mostrasi spudorato, arrogante, insolente, impertinente.

Che fàcce ca tjine! E mò che che vularrìsse fé angöre? = Che sfacciato che sei! Ed ora che vorresti fare ancora?

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Ceccjöne vècchje

Ceccjöne vècchje loc.id. = Bamboccione

Semplicione, adolescente che vuole fare i giochi fanciulleschi con i bimbi più piccoli.

La sua mole talvolta sicuramente lo avvantaggia, per esempio nella corsa. Allore quelli che intervengono a sedare le inevitabili dispute, gli dicono che lui è ceccjöne vècchje, ossia che non deve competere con gli altri che sono in condizioni di inferiorità.

La madre per dissuadere il suo bimbo dal frequentare un gruppo turbolento, gli dice: nen ce jènne, ca quìdde so’ tutte ceccjüne vjicchje = non andarci che quelli sono tutti grandi e grossi (rispetto a te, e perciò saresti a disagio con loro).

Notate il plurale: ceccjüne vjicchje

Lo stesso dicasi del bulletto che è forte con i deboli, ma debole con i forti. (Scusate questa Massima: mi è scappata, senza riflettere).

 

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Carnevéle chjüne de pàgghje

Carnevéle chjüne de pàgghje loc.id. = Carnevale pieno di paglia.

Epiteto offensivo che descrive qlcn che non è affidabile, che può definirsi con espressione italiana come pallone gonfiato o fantoccio inanimato, senza spina dorsale, inetto e senza personalità.   Con espressione napoletana, forse più efficace e calzante ‘omme ‘e mèrda

Insomma un soggetto da evitare.

La locuzione deriva dalla consuetudine manfredoniana di preparare per il periodo di carnevale un fantoccio riempiendo di paglia un paio di calzoni e altri indumenti in modo da dargli una sembianza di persona.

Il principe dei pupazzi impagliati è il famoso Ze Pèppe. Fintantoché è un pupazzo pieno di paglia possiamo anche divertirci a presentarlo come vogliamo. Se la definizione si riferisce ad una persona, la squalifichiamo evidenziando il suo comportamento in seno alla società.

Lassàtelu pèrde: códde jì ‘nu Carnevéle chjüne de pàgghje. = Lasciatelo perdere, costui è un pagliaccio (non ha serietà).

Ringrazio Manfredonia Ricordi (Matteo Borgia) per la splendida foto di Carnevéle pieno di paglia.

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Cangé l’acque ai vulüve

Cangé l’acque ai vulüve loc.id. = Cambiare l’acqua alle olive.

Nulla a che vedere con la salamoia (←clicca) che periodicamente si sostituisce alle olive da tavola, per eliminarne l’amaro naturale e renderle commestibili.

È un eufemismo per dire che si ha bisogno di fare pipì…

Al Nord non sanno nemmeno come si conciano le olive da tavola e perciò per loro la frase, alla lettera, sembra misteriosa.

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Camené la chjazze

Camené la chjazze loc.id. = Essere disoccupato

Alla lettera significa camminare per il corso, passeggiare, andare a spasso.

Purtroppo il significato reale è quello di trovarsi senza lavoro.

Fìgghjeme so’ tre jànne ca c’jì depluméte e ve angöre camenànne ‘a chjàzze = Mio filgio, da tre anni diplomato, non ha ancora trovato lavoro.

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Sfelé ‘a cröne

Sfelé ‘a cröne loc.id. =  Spazientirsi

Alla lettera la traduzione è;:Sfilare la corona

Questa locuzione significa spazientirsi ed elencare, enumerare, esporre in serie, come i grani del rosario, una sfilza di improperi, rimproveri, invettive, contestazioni verso qlcu, generalmente a voce alta.

Vüte quande mandènghe? Se me fé pèrde angöre ‘a pacjènze, mò accumènze a sfüle la cröne… = Vedi quanto mi trattengo? Se mi fa spazientire ulteriormente,  inizio ad elencargli una sfilza di improperi…

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