Tag: sostantivo femminile

Lazzarèlle

Lazzarèlle s.f. = Azzeruolo

Trattasi di un frutto della pianta (Crataegus azarolus ) della famiglia delle Rosacee, originaria dall’Asia Minore, diffusa in tutti i Paesi che affacciano sul Mediterraneo.
Praticamente dello stesso genere del biancospino (Crataegus monogyna). Legno duro e dalle spine lunghissime.

Per secoli fu coltivata come pianta ornamentale come albero alto fino a 4/5 metri. Infatti ha fiori bianchi, fogliame verde e frutti rossi vivi (a maturazione) che le conferiscono un aspetto gradevole.
Allo stato spontaneo si presenta in cespugli o arbusti.
Da ragazzi ne facevamo incetta nelle zone pedemontane (Macchia o Sotto Pulsano) perché i suoi piccoli frutti sono molto dolci e contengono pochi semi.

Nomi locali:
Lazaret – Lombardia
Nzalori o Lanzaroli – Sicilia
Lazzerini – Emilia
Natola – Liguria
Lazzarolo – Lazio, Abruzzo e Campania.

Nota scientifica:

«L’azzeruolo è una delle fonti naturali più importanti di vitamina C. Le azzeruole hanno la caratteristica, se consumate fresche, di essere dissetanti, rinfrescanti, diuretiche e ipotensive; la polpa, nello specifico, ricca di vitamina A, ha proprietà antianemiche ed oftalminiche.»

(fonte Wikipedia)

Filed under: LTagged with:

Paste

Paste s.f. = pasta

Come in italiano, il sostantivo “pasta” ha diversi significati.

1. Paste =  prodotto delle pasticcerie. Esistono nelle varietà paste frešche (glassate, variamente farcite di crema, panna, o cioccolato) e paste sècche (con mandorle, canditi, cacao o altre golosità). 

2. Paste =  alimento di semola, anche in questo caso fresca (recchjetèlle, ‘ndurce, mèzze fainèlle, làine,  ecc.) o secca (lenguïne, züte, pènne, tubbettüne, scorza-nucèlle, falatille, mìzze-züte, ecc.)

3. Paste = impasto di farina acqua e lievito per fare  pane, pettole,  focacce e panzerotti.

Filed under: PTagged with:

Donzèlle

http://www.parliamomanfredoniano.it/cazze-u-re/Donzèlle s.f. = Pesce donzella, girella, pesce carabiniere

La donzella fa parte di una specie (Coris julis) comune nei nostri mari e nell’Atlantico orientale.
In età adulta le donzelle raggiungono una lunghezza massima di circa 20 cm.

Curiosamente nascono tutte femmine con una colorazione molto vivace. Dopo un certo periodo,  per uno strabiliante effetto di ermafroditismo latente,  diventano maschi, cambiano il colore che così tende a toni scuri..
Ma a noi che ci importa se sono maschi o femmine quando nella frittura rispondono alle aspettative?

Viene apprezzato in gastronomia solo in umido, assieme a crostacei e ad altri pesci, o nelle fritture miste “di paranza”.

Sullo stesso argomento ho inserito l’articolo più particolareggiato intitolato «‘U cazze ‘u rè»(← clicca sul blu.

Filed under: DTagged with:

Razzètte

Razzètte s.f. = Capezzale, immagine sacra

Sulla parete a testa del letto, generalmente nei Paesi di tradizione cattolica, si appendeva un Crocifisso oppure un’icona sacra, come per impetrare dal Cielo la protezione sulla famiglia.

In questo caso (ossia parlando di immagine), a volte il quadretto era retroilluminato, oppure a bassorilievo, e rappresentava la Sacra Famiglia, o una Madonnina, o un Santo protettore.

Il nome razzètte, è il diminutivo di razze, che facilmente è una corruzione del sostantivo arazze = arazzo, la cui iniziale era intesa come l’articolo femminile (arazze = ‘a razze).

Nei tempi antichi in alternativa alla razzètte si usava appendere ‘u scaravatte, più impegnativo come peso e come dimensione. Per saperne di più cliccate qui).

Ai nostri giorni il capezzale è adornato con immagini astratte o con gigantografie di paesaggi esotici. No comment.

Nota fonetica:
La doppia zeta di razzètte si pronuncia “sorda” (come mazze, pèzze, puzzètte).
Da non confondere con rezzètte = ricetta, dove la doppia zeta si pronuncia “sonora” come in ‘nzèrte, ‘nzunne, lenzöle

Filed under: RTagged with:

Addòbbje

Addobbje s.f. = Narcosi, anestesia

Il termine deriva dal latino, ad-opium.  In italiano antico si usava il sostantivo “alloppio” (chiaro riferimento all’oppio) per indicare il sonnifero.

Qualcuno la chiama ‘a ddobbje, come se la ‘a’ iniziale fosse l’articolo

Da addòbbje deriva il verbo addubbjé = narcotizzare, anestesizzare. verbi usati ovviamente negli interventi chirurgici, piccoli o grandi. 
Addubbjé ‘na parte = anestesia locale.
Addubbjé tutte quante = anestesia totale. 

Filed under: ATagged with:

Muffardarüje

Muffardarüje s.f. = Sozzeria, sporcizia


Principalmente riferito alla sporcizia domestica che si accumula trascurando la pulizia quotidiana specie nella cucina e nel bagno.
Deriva da (clicca→) Muffarde.

Jì cchjù mmègghje ca fé a ‘a pòlve tutt’i jurne, ca se no ‘a muffardarüje crèsce sèmpe de cchjó! = È meglio che spolveri tutti i giorni, altrimenti la sporcizia cresce sempre di più.

Filed under: MTagged with:

Sunagghjére

Sunagghjére s.f. = Sonagliera

Striscia di cuoio o di tela cui sono fissati una serie di sonagli, che si pone al collo degli animali da tiro o da soma per segnalarne la presenza o il passaggio.

Il lodato vocabolario Caratù-Rinaldi lo definisce «pendente a sonagli con campanelli e bubboli (= scescelècchje←clicca) il  collare del cavallo».

Aggiunge anche: «In posti viciniori al nostro territorio, questo sonaglio è detto anche andecore forse perché viene posto sotto il cuore del cavallo dandogli la forza nel trainare il peso».

Il sostantivo andecore (o vandecore) nel Sud Italia indicava qualsiasi affezione cardiaca. Quindi il posizionamento dei sonagli era intesa come unasorta di prevenzione.

Ringrazio il dott. Rinaldi per il prezioso suggerimento.

Filed under: STagged with:

Féfe

Féfe

Féfe s.f. = Fava

Pianta erbacea della famiglia delle Fabaceae (Vicia faba) con fusto eretto, foglie paripennate, fiori bianchi o violacei e semi schiacciati a forma di rene contenuti in baccelli.
Il seme è commestibile. Di colore verde o bruno, di forma appiattita, si mangia fresco o secco.

La tradizione manfredoniana vuole che il giorno di Santa Lucia, il 13 dicembre – forse perché la loro forma tondeggiante, ci fa ricordare gli occhi estirpati alla povera Lucia nel suo martirio – si consumino le fave lessate con tutta la buccia, dette féfe aggraccéte, ossia aggrinzite, perché così si presenta la corteccia dopo aver tenuto le fave in acqua per tutta la notte prima della bollitura.

Insomma la fava si presenta con delle minuscole pieghe o ondulazioni, aggrinzita, “arricciata”.

Si preparano anche arrostite, sempre con tutta la buccia. Si mangiano come i bruscolini o il pop-corn, ossia per passatempo. Ma è un passatempo solo per coloro che hanno denti robusti…
A me spaccherebbero la dentiera! ‘Nziamé!.

C’era un tale che tutte le sere si collocavacon un suo scanno davanti al cinema “Fulgor” e vendeva in coni di carta, fave e ceci abbrustoliti, da consumare durante la proiezione dei film.

Filed under: FTagged with:

Pandémüje

Pandémüje s.f. = Pandemia

Un sostantivo che non avrei mai voluto riportare in questo vocabolario.

Purtroppo esiste, e l´ho dovuto adattare, come grafia, alla nostra pronuncia.

Abbiamo imparato a conoscere questo termine, universalmente noto più o meno con la stessa grafia. Alcune lingue pronunciano Pandèmia.

L´etimologia, come tutti i termini scientifici, è chiaramente di origine greca.
È composto da PAN tutto, e DÈMOS popolo, comunità.
Quindi malattia che attacca un gran numero di abitanti di tutti i paesi.

Invece epidemia (sempre dal greco) EPI sopra e DÉMOS popolo, comunità malattia che attacca nel medesimo tempo e nel medesimo luogo un gran numero di persone nel medesimo territorio.

Attenti a non confondere pandémüje con (clicca–>) pandummüne, che è sinonimo di paliatöne



Filed under: PTagged with:

Saréche

Saréche s.f. = Salacca, spratto, papalina, saraghina.


È un pesce nordico (Sprattus balticus) che viene pescato principalmente presso le coste Norvegesi, Inglesi, Belghe, Olandesi e Germaniche, del Mare del Nord e del Mar Baltico. Nella specie Sprattus Sprattus, sono diffuse anche nel Mediterraneo e nel Mar Nero.

Appartiene alla famiglia dei clupeidi ed è molto simile alla sardina. La sua lunghezza massima è di 17 cm. Il dorso è di colore scuro e bluastro, i fianchi ed il ventre sono bianchi. Per la commercializzazione le salacche venivano salate, e affumicate, e pressate in un contenitore circolare di legno. Infatti si presentavano con i fianchi giallastri proprio per effetto dell’affumicatura.
Le salacche più piccole erano dette sarachèlle.

Era considerato un cibo povero, tanto è vero che attualmente non ne vediamo più in commercio. Con una “sarachella” e un pezzo di pane a testa riusciva a cenare tutta la famiglia.
Tuttavia era molto apprezzato in quanto ricco di proteine e grassi, ma sopratutto perché reperibile ad un prezzo accessibile.

Figuratamente ‘na saréche designava un colpo secco o nel gioco del calcio, un tiro potente. Indicava anche una persona molto magra come si presentava la salacca affumicata.

Chépe de saréche invece è un eufemismo per indicare una persona dall’intelletto smorto o dal comportamento bislacco.

Chépe de saréche tuttora è usato (come dicono quelli che sanno la grammatica) anche quale “locuzione esclamativa propria” di incredulità, di sorpresa o di ammirazione. Insomma un eufemismo come patecà, usato per non cadere nel volgare.

Generalmente saréche in maniera figurata indicava un discorso o un apprezzamento di scarso valore. Come quando si vuol smentire qualcuno, come per dire che le sue sono affermazioni senza valore, da scartare, si usava a commento: « sì,…. chépe de saréche!»
Similmente, riferendosi ai gusci vuoti delle canestrelle: «Sì, carècchje» = Sì, tu dici parole vuote, senza costrutto.

Parlo al passato perché i ragazzi di oggi non sanno nemmeno che cosa siano queste saréche.


Filed under: STagged with: