Tag: sostantivo femminile

Castagnöle 

Castagnöle s.f. = Nacchere

Strumento musicale a percussione costituito da due piccole conchiglie di legno duro o di avorio, tipico del folklore spagnolo, ma usato anche nelle sagre popolari garganiche.

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Cascetèlle

Cascetèlle s.f. = Cassetta

Principalmente si intende ‘a cascetèlle ‘i fjirre = la cassetta degli attrezzi.

Questa cassetta è un contenitore a valigetta usato spec. dagli artigiani per trasportare gli attrezzi del lavoro quando devono eseguire riparazioni fuori dal laboratorio o dall’officina.

Quella di mio padre era stata fatta da lui ed era di lamierino. Conteneva un trapano a manovella, cacciaviti, chiavi fisse e chiave inglese, un tronchesino, un paio di forbici da lattoniere, la lima grossa e quella a triangolo, un seghetto, l’immancabile martello, un compasso, una livella a bolla d’aria, un contagiri meccanico, due scalpelli temprati ricavati da una vecchia lima, un metro pieghevole di alluminio, e ‘u singature = il graffietto. Ho fatto una descrizione minuziosa perché ora quella cascètelle l’adopero io.

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Cartelléte

Cartelléte s.f. = Cartellate

Dolce natalizio tipico pugliese e lucano.

Fettuccia di pasta dolce, ritagliata con la rotellina, ripiegata a V e avvolta a spirale.
Si cuoce al forno o si frigge in olio di oliva.

Dopo la cottura le cartellate si condiscono con miele o con vünecutte = sciroppo di carrube, o con mosto-cotto.

A volte si adornano anche con confettini colorati. Si conserverebbero a lungo, ma finiscono presto!

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Cartèlle

Cartèlle s.f. = Cartella, bustina, cachet

1) Cartèlle = Cartella, nel senso di bolletta esattoriale. Simil italiano.

2) Cartèlle = Cartella, nel senso di cartella scolastica per contenere libri e quaderni. Quando frequentavo io le elementari di chiamava ancora ‘a cartjire o ‘a cartjille. Simil italiano.

3) Cartèlle = Cartella, ‘bustina’, ossia piccolo involucro di carta per contenere qls prodotto in polvere, un cilindretto con le estremità ripiegate verso il centro: una specie di bustina senza colla.

C’era la supposizione che anche il vino si preparasse con certe polverine contenute nelle cartelle. Lo si diceva quando era di pessima qualità.

4) Cartelle = Cachet: capsula di farina d’amido, cialda sottile, come un’ostia, contenente farmaci in polvere da prendere per bocca.

Molte medicine erano preparate dal farmacista stesso di volta in volta su indicazioni del medico curante (Prodotti galenici).

In casa poi le mamme prendevano l’ostia – appena passata nell’acqua per farla ammorbidire e poggiata su un tovagliolo di tela bianca – ponevano il farmaco in polvere e avvolgevano i lembi come un fagottino, Questa ‘cartella’ veniva deglutita con un sorso di acqua.

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Carréte 

Carréte s.f. = Carrettata

Con questo termine si designava un quantitativo di circa 300 litri di acqua potabile.

Alcuni carrettieri, fino a metà degli anni ’50, acquistavano dall’Acquedotto Pugliese acqua potabile che poi rivendevano a terzi.

Il prezioso liquido veniva trasportato con dei carretti a trazione animale, dotati di rudimentali serbatoi metallici a forma di cilindro, antesignani dei carri-botte motorizzati.

L’acqua veniva acquistata prima di tutto dai privati ad uso domestico. Molte abitazioni non disponevano di acqua corrente, e quasi tutte disponevano di una sottostante  cisterna per l’accumulo di acqua piovana.

Le famiglie acquistavano una o due carrate di acqua per aumentarne la disponibilità, specie in estate quando le precipitazioni erano assenti.

Anche i cantieri edili, scaricavano grandi quantitativi d’acqua depositandola in appositi fusti per consentire la preparazione della malta.

Talvolta anche agli ortolani locali (Orto Sdanga ad es.) ricorrevano ai carrettieri per rifornirsi di acqua per uso irriguo, quando scarseggiava la propria disponibilità idrica.

Ringrazio Manfredonia Ricordi per la foto d’epoca che riprende i carri mentre attingono l’acqua in Largo dei Baroni Cessa.

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Caröte

Caröte s.f. = Barbabietola

Pianta erbacea che presenta due varietà, una a radice carnosa e tondeggiante di colore rosso scuro e di sapore dolciastro, commestibile, (Bieta vulgaris esculenta) e una a radice bianca, dalla quale si estrae lo zucchero (Beta vulgaris crassa)

Non tragga in inganno la somiglianza di caröte con il sostantivo italiano carota.

Quest’ultima, gialla, in dialetto è chiamata pastunéche.

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Cariöle 

Cariöle s.f. = Carriola

Generalmente con questo sostantivo si intende quel carrettino a mano con una ruota e due stanghe, usato dai muratori e dai contadini per spostare piccoli carichi entro piccoli spazi. Una volta erano di legno, ruota compresa. Ora sono di acciaio con il ruotino pneumatico, come appare nella foto di Wikipedia.

Fino agli anni ’50, dicendo cariöle invece si intendeva tutta un’altra cosa: il frutto del nostro fervido ingegno!

Noi ragazzini compravamo dal rigattiere, o da qualche officina, tre cuscinetti a sfera “sballati”, ossia logori e non più adatti ai congegni meccanici.  Possibilmente uno più grande per lo “sterzo”, e due più piccoli e di egual diametro, per l’asse posteriore. Poi delle assi di legno e chiodi.

Si smanicava, magari facendoci aiutare dagli adulti per ottenere il prodotto finito che potete ammirare nella foto di Matteo Borgia. Notate la parte anteriore snodata che opportunamente manovrata dava la direzione voluta al “veicolo”.

La usavamo per andare a caricare un paio di secchi d’acqua al fontanino pubblico, o a portare 30 kg di grano al mulino per la macinazione. In questo caso era un vero e proprio mezzo di lavoro.

Più spesso era un gioco. Ai due bracci del “manubrio” si legava una funicella per trainarla e scarrozzare i fratelli più piccoli. Ossia noi settenni portavamo a spasso i bambinelli di quattro-cinque anni.

Quando fummo più grandicelli, verso i 10 o 11 anni, facevamo un gioco decisamente pericoloso giù per la discesa del Seminario. Ci ponevamo tre o quattro “piloti”, ognuno con la sua carriola, ritti sul pianale, reggendoci alla funicella che fungeva questa volta come un paio di redini.

Al “via!” ci lanciavamo nel nostro “Gran Premio” spingendo all’indietro con un piede il manto stradale  – tipo monopattino – per dare più accelerazione alle ruote.

Da allora mi sono fermamente convinto dell’esistenza dell’Angelo Custode, posto dal Signore a fianco di ciascuno di noi per proteggerci dai pericoli.

Difatti, nonostante gli inevitabili ruzzoloni, siamo usciti illesi da questa follia, anche perché, all’epoca dei fatti raccontati, il traffico automobilistico era pressoché inesistente.

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Carècchje 

Carècchje s.f. = Capesanta, Canestrello, Pettine.

Mollusco bivalve (Pecten jacobeus), con valva destra convessa e sinistra piatta. Ha due ali anteriori poste marginalmente alla cerniera e numerose coste radiali sulle valve. Vive sulla costa atlantica.

I pellegrini di ritorno dal Santuario di S.Giacomo (Santiago di Compostela), in Galizia (ecco l’origine del nome pècten jacobèus = Pettine giacomeo) ne portavano alcune cucite sul copricapo e sul mantello, e una più grande, quella convessa, appesa in vita. La usavano per raccogliere cibo dagli abitanti dei villaggi attraversati nel far ritorno a casa.

Quelle rosa (Aequipecten opercularis) ha dimensioni minori e le valve entrambe convesse, come la carècchja comune (Chlamis varia o flexuosa) hanno la stessa forma, cambia solo il colore, e la parte edule più tenera.

Vivono nei fondali bassi e sabbiosi del Mediterraneo.

A Manfredonia le capesante, o meglio le carècchje sono consumate crude o ammollicate, ossia con mollica di pane, olio, aglio prezzemolo e pepe e cotte al forno.

Quando si vuol smentire qualcuno, come per dire che le sue sono affermazioni senza contenuto, come i gusci vuoti delle canestrelle, si usa la locuzione: Sì, ‘i carècchje = Sì, tu racconti balle! Parole vuote, chiàcchjere mòrte.

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Caraffe

Caràffe s.f. = Caraffa, boccale, brocca.

Oltre al significato di recipiente per liquidi, come vuchéle = boccale, la caraffe era unità di misura nel Regno delle due Sicilie usata fino all’avvento dell’unità d’Italia nel 1860.

Guardate le notizie le ho trovate in rete:

Caraffa: Antica unità di misura di capacità per i liquidi, in uso nel Napoletano. Era di due tipi: caraffa di botte e caraffa di vendita al minuto.
La caraffa di botte, utilizzata nei traffici mercantili, era corrispondente a:

* 0,7270266 litri, dal 1480 al 1811;
* 0,7270270 litri, dal 1811 (legge del 19 maggio) al 1840;
* 0,7270838 litri (= 0,725539 Kg. di acqua distillata), dal gennaio 1841.

La caraffa di vendita minuto, usata nel commercio minuto valeva:

* 0,6609333 litri, dal 1480 al 1811;
* 0,6604190 litri, dal 1811 al 1840;
* 0,6609853 litri, dal gennaio 1841.

La legge del 6 aprile 1840 stabilì che 60 caraffe di botte o 66 caraffe di vendita a minuto costituivano un barile (di vino o di acquavite).

Nella nostra città, la caraffa era utilizzata come unità di misura di capacità per il vino e valeva 0,7277029 litri (= 0,7261627 chilogrammi).

Più o meno quanto l’attuale capacità delle bottiglie bordolesi e renane usate per i vini DOC.

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Capuzzèlle 

Capuzzèlle s.f. = Testina, capoccetta

Testa di agnello o agnellone divisa a metà per la sua lunghezza.

La due metà della capuzzèlle, opportunamente condite (con aglio, prezzemolo, formaggio, olio, sale e pepe),  e passate al forno su un letto di patate a tocchetti, costituiscono una pietanza “povera”, ma molto, molto profumata e gustosa.

Non ho voluto includere la foto delle testine scuoiate perché ho ritenuto che siano inquietanti, più di quelle visibili nelle macellerie, quelle ancora attaccate agli ovini, macellati e appesi per le zampe posteriori.

Etimo: dimin. di testa, capo.

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