Mese: Maggio 2018

Chi nen sépe a vüje d’a chése, pòzza jì mùrte

Chi nen sépe a vüje d’a chése, pòzza jì mùrte

Chi non sa la via di casa propria, possa andarci morto.

Un grave rimprovero per coloro che non vogliono adoperarsi per cercare di fare gli interessi della propria famiglia.

Una volta c’erano degli sciagurati che trascorrevano troppo tempo nelle osterie invece di piegarsi a cercare un lavoro qualsiasi.
Parlo di lavoro di braccia, chiamato fatüje proprio perché faticoso.

Quando si facevano accompagnare, ubriachi, a casa, diventavano maneschi sulle proprie moglie che giustamente li redarguivano. Ed ecco il grido di disperazione delle quelle poverette: chi non sa la via della propria casa, perché distolto da abitudini malsane, è meglio che ci vada morto!

Qui il fatto di non sapere la via di casa, oltre che materialmente, è inteso anche in senso metaforico, come per dire non saper valutare i propri doveri, le proprie responsabilità.

Nota fonetica:
Come ho spiegato in Ortografia e fonologia, al punto 6.5. il gruppo di consonanti ‘ns si pronuncia ‘nz’.
Infatti quel nen sépe, si poteva scrivere anche ne’nzépe in quanto omofoni.
Ma se voglio dire non lo sa, dove non c’è l’incontro della n con la s, e quindi non avviene il fenomeno linguistico della sonorizzazione della s, tipico delle parlate meridionali, pronuncio ne lu sépe, con la s normale e non con la z.

Grazie a Enzo Renato per lo spunto fornitomi.

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Chi nen sènde alla mamme, nen sènde manghe alla mala matröje

Chi nen sènde alla mamme, nen sènde manghe alla mala matröje

Chi non dà retta alla madre, non ascolta nemmeno la cattiva matrigna.

La frase è un po’ paradossale. Si vuole evidenziare comunque che chi non ascolta i buoni consigli forse non mette in pratica nemmeno quelli cattivi.

O meglio, se non si accettano i consigli della mamma – che a prescindere da tutto sono diretti a proteggere i figlio – come si possono seguire quelli della matrigna, che per quanto buoni non possono uguagliare quelli della madre naturale?

E non è detto che la matrigna debba essere obbligatoriamente cattiva, ostile e di parte verso i figliastro..

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Chi negòzzja, càmbe; chi fatüje möre

Chi negòzzja, càmbe; chi fatüje möre

Chi commercia vive, chi lavora muore.

In dialetto più antico la voce del verbo  negoziare si pronunciava njòzzje, come il nome generico dell’esercizio commerciale (bottega di alimentari, ferramenta, tessuti, tabacchi, ecc.), ove generalmente il commerciante (‘u njuzzjande) compra all’ingrosso e vende al minuto.

Anche in tempi di magra, il commerciante riesce a trarre comunque il suo guadagno, e anche accumulare un gruzzoletto per il sostentamento della famiglia. Vive senza eccessive preoccupazioni.

Chi invece svolge un lavoro alla giornata, alle dipendenze, “muore” nel senso che stenta a vivere con tranquillità e dignitosamente.

Infatti il lavoratore dipendente può essere privato del guadagno, perché perde spesso delle giornate di lavoro, magari per le avverse condizioni del tempo, o perché un cantiere ha terminato e non se ne apre un altro, ecc.

All’epoca della coniazione del proverbio non esisteva la cassa integrazione guadagni.

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Chi nàsce jàtte angàppe ‘i sórge a lu scüre

Chi nàsce jàtte angàppe ‘i sórge a lu scüre

Chi nasce gatto cattura i topi al buio.

È un elogio alle doti naturali, al talento congenito di quelle persone che riescono ad avere successo nel proprio ramo a dispetto delle difficoltà che a noi comuni mortali sembrano insormontabili.

La passione poi, unita all’ingegno, all’inclinazione e all’impegno non può dare che buoni frutti.

-Mozart avrebbe suonato il pianoforte anche a testa in giù. Con la tastiera coperta lo fece da quando aveva a sei anni.

-Del Piero è bravissimo tuttora a giocare al calcio nonostante la sua età ritenuta “avanzata” per uno sportivo.

-Il mio elettrauto mette le mani all’impianto della mia automobile ed elimina direttamente, a colpo sicuro, senza fare tentativi, gli inconvenienti lamentati.

Ad occhi chiusi!

Nota fonetica/linguistica sulla parola sorge:

Al singolare si scrive ponendo sulla “o” un accento grave perché questa vocale si pronuncia: ‘u sòrge.
Al plurale l’accento è acuto perché la “o” si pronuncia stretta, quasi “u”: ‘i sórge.

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Chi me battézze m’jì cumbére

Chi me battézze m’jì cumbére

Colui che mi tiene a Battesimo diventa mio compare.

Il proverbio non è soltanto una constatazione lapalissiana. Ha un significato recondito e pratico.

Quando si deve trovare un sostegno nelle decisioni, un socio in affari, un aiuto nelle difficoltà, e simili circostanze, il primo che dà la sua disponibilità è sicuramente benvenuto.

In questi casi non è importante arrovellarsi per cercare il “compare” adatto, ma si accetta ad occhi chiusi il gradito volontario che manifesta la voglia di prestare aiuto.

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Chi mànge e chéche addevènde Pépe

Chi mànge e chéche addevènde Pépe

Chi mangia e caca diventa Papa.

Godere di buona salute, estrinsecato dal fatto di mangiare e di digerire senza problemi, è per taluni cosa essenziale per assurgere al massimo delle capacità umane.

Nell’immaginario collettivo chi sta meglio del Papa (fisicamente s’intende), che non deve preoccuparsi ogni giorno di procurarsi la pagnotta? A maggior ragione se si gode di ottima salute?

Qualcuno sentenziò anche che la massima aspirazione di ogni vivente è quella di vivere come Gian Galasso: mangiare, bere e andare a spasso.

Un po’ meschina come desiderata, perché l’Uomo oltre al corpo deve nutrire qualcos’altro di altrettanto vitale per non abbrutirsi: l’arte, l’amore, le relazioni sociali, l’elevazione spirituale, gli affetti, la bellezza, la cultura in genere.

Fine del sermoncino. E mò, jéme a mangé!

Ringrazio GreenVision Production per avermi suggerito questo Proverbio manfredoniano.

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Chi lasse péne e càppe, uéje angappe

Chi lasse péne e càppe, uéje angappe

Colui che lascia pane e mantello, va incontro a guai (guai acchiappa).

Uno dei soliti consigli per i lavoratori che escono in mare o per i campi. Non deve assolutamente dimenticare di portare con sé pane (per sfamarsi) e cappa (per coprirsi):

Mio padre faceva di meglio. Quando viaggiava con me preferiva portarsi dietro anche una bella bottiglia d’acqua. Non si fidava delle Stazioni di servizio lungo l’autostrada…

Grazie al lettore Enzo Renato per il suggerimento.

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Chi cüse e scüse nen pèrde mé tjimbe

Chi cüse e scüse nen pèrde mé tjimbe

Chi cuce e scuce non perde mai tempo.

Si enuncia questo proverbio quando qlcu si spazientisce, durante l’esecuzione di un lavoro, perché si accorge di aver sbagliato e deve ricominciare daccapo.

Come per dire: non imprecare, perché sbagliando s’impara. Questo disguido ti serve per arricchire la tua esperienza. Perciò non considerarlo solo una perdita di tempo.

Saggezza popolare condensata in una piccola frase.

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