Categoria: A

A

A prep.s. = A,la

1) A = A, preposizione semplice che introduce determinazione di spazio, di tempo.

Véche a mére = Vado a mare
So stéte a Fògge =
Sono stato a Foggia
J’ venüte a Natéle e a Pasque =
È venuto a Natale e a Pasqua
A Màgge jèssene i cerése =
A.Maggio escono le ciliege

2) ‘A) = La, articolo determinativo femminile singolare. Preferibilmente si scrive con l’apostrofo (‘A) per indicare che è cadula la “l” ed è rimasta la “a”.
‘A mamme e ‘a fìgghje = La mamma e la figlia.

Nota grammaticale:

Col verbo diretto (verbo transitivo), similmente a quanto avviene nella lingua spagnola, la “a” fa sembrare il discorso al dativo anzichè all’accusativo…    Spero che il successivo esempio possa chiarire questo mio guazzabuglio.

In Italiano si dice, per esempio: Io vedo te.
Io (soggetto)
vedo (verbo-predicato verbale)
te (complemento oggetto o complemento diretto).

Invece in dialetto manfredoniano – come nella lingua spagnola da cui abbiamo largamente attinto a causa al secolare predominio spagnolo nel sud Italia – si dice Jüje vöte a te.

Forse così non si creano equivoci:

Se infatti in Italiano scrivo:
“Giovanni vide il Portiere”, la frase può ambiguamente significare sia che Giovanni, passando, vide il Portiere nella sua postazione, oppure che il Portiere vide solo Giovanni, e non altri, che passava davanti alla sua guardiola.

Quindi il soggetto, con le stesse parole, è il Portiere e non più Giovanni.

Roba che, detta in un’Aula di Tribunale, fa scattare l’arresto immediato, per falsa testimonianza!

Quando si parla, l’inflessione di voce può accentuare Giovanni o il Portiere, ma nello scritto questo non può avvenire.

Invece in dialetto se dico Giuanne vedètte au Purtenére non creo il minimo dubbio. Il soggetto è inequivocabilmente Giuanne.

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A bböne cónte

A bböne cónte loc.id. = infine, comunque

Si potrebbe tradurre con “ad ogni buon conto”. Ma ritengo che questa locuzione sia troppo letteraria.

Preferisco, nel parlare semplice, tradurre con:
insomma,
alla fin-fine,
tutto sommato,
concludendo,
finalmente, e simili.


A bböne cónte, se nen arrevöve jìsse, nen ce putöve accumenzé = Alla fine, se non arrivava lui, non si poteva cominciare.

A bböne cónte, döpe tanta concorse, ho truéte ‘na fatüje = Finalmente, dopo tanti concorsi, ha trovato un lavoro(*).

(*)Fino agli anni ’60 il termine lavoro era tradotto con fatüje = fatica, perché veniva associato ad attività che richiedevano sforzo fisico, con termine moderno detti “lavori logoranti” (quelli di fabbro, cavamonti, facchino, muratore, mietitore, zappatore, camionista, boscaiolo, ecc.).
Il lavoro intellettuale era ritenuto di second’ordine, perché non richiedeva l’uso di muscoli, quantunque sappiamo quanto sia sfiancante anch’esso.

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A friške a friške

A friške a friške loc. id. = poco per volta

Acquistare generi alimentari di frequente ma in quantità ridotta, poco per volta, secondo la necessità, allo scopo di consumare sempre un prodotto fresco ed evitare gli sprechi..

Anticamente, in mancanza di frigoriferi, era prassi normale non fare grandi scorte di viveri perché si rischiava che andassero a male (guai!)

Oggi mettiamo tanto di quel cibo in frigo che talora ce ne dimentichiamo!

Mègghje accatté a friške a friške = meglio comprare un poco alla volta

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Abbabbjé

Abbabbjé v.t. = Abbagliare, confondere, obnubilare

Offuscare qlco.; indebolire l’attenzione o la capacità di vedere o di comprendere; ottenebrare; confondere la mente.

So stéte abbabbjéte: nen capìsce chjó njinde! = Sono stato intontito, non capisco più niente!

Intontire qlcu con l’intento di raggirarlo.

Nella forma riflessiva significa intontirsi: sentire l’effetto del’alcol, dell’innammoramento, delle droghe, della stanchezza.

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Abbacàrece

Abbacàrece v.i.= Affievolirsi

Riferito specificamente agli agenti atmosferici indica un calo della loro intensità: c’jì abbachéte ‘u vjinde = si è calmato il vento.

Il verbo deriva dal greco αβαΧ∈ω (abacheo) = stare quieto, fermo.
Credo che la stessa radice valga per (clicca→) abbendàrece.

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Abbasce-a-mére

Abbasce-a-mére topon. = Lungomare

Va bene anche scritto Abbascia-mére

Questo toponimo identifica una delle quattro zone in cui idealmente si suddivideva la città di Manfredonia (oltre a Söpe-a-Trjüne, Före-a-Porte e Mundìcchje).

Praticamente è tutta la fascia costiera a ridosso dell’abitato, anche in questo versante una volta cinto di mura, dal Torrione del Fico al Castello.

Le mura di cinta avevano una porta di accesso all’altezza di Via Campanile, chiamata Porta Boccolicchio.
Questa fu abbattuta a fine 1800 per consentire la costruzione della scuola Bozzelli, inaugurata nel 1903.
La Porta Boccolicchio è qui ripresa in una Foto dell’epoca dai F.lli Alinari di Firenze. Altri hanno  attribuito la foto al nostro  locale  pioniere fotografo Valente. Nel dubbio ho citato entrambi i presunti artisti che ci hanno comunque ci hanno tramandato un ricordo storico per rammentarci l’avvenuto scempio.

Un altro varco  è il notissimo Pertüse-u-mòneche= Foro, breccia, apertura del monaco, forse perché in corrispondenza del Convento dei Francescani.

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Abbasce-Culìcchje

Abbasce-Culìcchje top. = Zona Boccolicchio

Il toponimo indica la parte dell’abitato di Via Maddalena e relative traverse, da Piazza Marconi all’incrocio con Via Campanile. Talvolta si usa dire Abbasce-u-culìcchje

Il prevalenza nel secolo scorso era popolata da pescatori, data la prossimità del mare, facilmente raggiungibile.

Alcune sue abitazioni a piano terra, costruite nel sec. XVII direttamente sugli scogli, sono tuttora dotate di acqua corrente attinta attraverso un pozzetto, dalla sorgente di acqua salmastra che corre al di sotto della loro pavimentazione fino al mare.

L’acqua corrente a quell’epoca non esisteva nemmeno nelle case dei notabili locali, che usavano l’acqua piovana accumulata nelle consuete fangose cisterne.

Erroneamente era ritenuto fino agli anni ’50 un quartiere povero e malfamato, abitato da tipi poco raccomandabili, una specie di ghetto, di banlieu, di bassifondi.

Etimologicamente deriva da vùcchele = vicolo.
Quindi vucculìcchje, vicoletto, nel corso degli anni si è pronunciato in forma contratta in culìcchje fino ai giorni nostri.
E nessun Manfredoniano, sapendo bene di che si tratta, si è mai sognato di tradurre  culìcchje in “culetto…”

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Abbaséte

Abbaséte agg = Sensato, serio

Riferito a persona corretta, responsabile, sensata.

Sepònde, sjinde a me! Códde jì ‘nu crestjéne abbaséte, jüje ‘u canòsce…= Sipontina, dammi retta! Costui è una persona sensata (dai retti principi, responsabile e serio), io lo conosco…

Se si tratta di una ragazza, si dice anche aggarbéte = garbata, in senso lato, positivo.

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Abbaste ca

Abbàste ca cong. = Purché

Purché, con valore condizionale significa: a patto che, a condizione che.

Mò te la ‘mbrèste a bececlètte, abbàste ca me la pùrte jògge = Ora te la presto la bicicletta, purché me la riporti nel pomeriggio.

Jéte au cìneme, abbaste ca turnéte sóbbete = Andate pure al cinema, a patto che rientriate presto.

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Abbatte

Abbatte v.t. = Abbattere, demolire; sconfiggere; pulsare

Abbattere, nel senso di eliminare ostacoli:

Stöve ‘una felére d’àreve e l’hanne abbattüte = C’era una fila di alberi e li hanno eliminati.

Hanne abbattute ‘u tramjizze = Hanno demolito il muro divisorio.

Abbattere nel significato di sconfiggere:

Tu m’abbatte a me? = Sei capace di sconfiggermi nella lotta?

Uh, Madonne, ce so accucchjéte jùmene e dònne, vulèvene abbàtte a Mambredònje (canto popolare) = Oh, Madonna, si sono uniti uomini e donne, volevano distruggere Manfredonia.

Tènghe ‘nu delore de dènte: e cume m’abbatte! = Ho un dolore di denti: come mi pulsa! Cioè il dolore si acuisce e diminuisce ritmicamente, ad ogni battito cardiaco.

Abbàtte ‘a fianghètte = Il fianco bussa. Avvertire forti stimoli di fame.

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