Autore: tonino

Ncudde

Ncudde avv. = addosso

L’avverbio si presta a numerose applicazioni.

Purté ncudde = portare addosso, indossare.

Sènza njinte ncudde = senza nulla addosso. Alla lettera sembrerebb che la persona sia in abito adamitico… Invece l’espressione vuol dire: uscire di casa d’inverno senza cappotto o soprabito. Quando uno realmente è senza nulla addosso sta alla nüte = ignudo.

Sté ncudda-ncudde = Tenere sotto stretto controllo e sollecitare continuamente qualcuno incaricato di eseguire un lavoro. In italiano si usa dire: «far sentire il fiato dietro al collo».

Il termine dovrebbe derivare da cudde = collo. Infatti in Campania ncudde si traduce ‘ncuollo.

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Opre (fé l’òpere)

Opre (fé l’òpere) loc.id. = fare frastuono, baccano, chiasso.

Ho indicato i due modi – entrambi corretti – di pronunciare òpre e òpere.

La somiglianza con il termine italiano “opera” non deve ingannare perché non si riferisce alla lirica o all’arte in genere.

Si tratta di una locuzione locale che indica chiasso, frastuono, trambusto, ecc.

Una volta i nostri genitori, quando si riunivano per una ricorrenza, raccomandavano a tutti i cugini, raggruppati in un’altra parte della casa, di “non fare l’opera”: stàteve quà e nen faciüte l’òpre.

In tempi più recenti si è usata l’altra forma: fé cummèdje.

Alla fine, come l’italiano, si è giunti alla frase sbrigativa: “fare casino” o “fare bordello” (casüne – burdèlle) compresa da tutti.

Insomma non si può stare un poco in pace!

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Tante pöche quante njinde

Tante pöche quante njinde loc.id. = Poco e niente, quantità risibile

L’espressione cela un senso di insoddisfazione nel valutare la scarsezza di qualsiasi cosa, anche immateriale (amore, odio, stato di salute o di agiatezza, aspettativa, rammarico, ecc.)

Ho chiùvete (chjuwüte) tante pöche quante njinde = È piovuto poco poco (mentre mi aspettavo piogge abbondanti per la arida campagna.)

Mi ricordo che mia madre, con lo stesso significato, usava l’espressione: «Tante e njinde so’ parjinte» = tanto e niente sono parenti.

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Zuarre (alla)

Zuarre (alla) agg. = Zuava (alla)

Zuarre è una storpiatura di “Zuavo”, (Corpo militare francese in Algeria del 1830 formato da soldati locali).

Cavezöne alla zuàrre = Calzoni alla zuava, alla maniera degli Zuavi, spec. con riferimento a capi di vestiario simile alla divisa degli Zuavi.

Specificamente le gambe dei pantaloni non arrivavano alla caviglia, ma erano fermate sotto il ginocchio, con un bottone o un laccetto, e ripiegate ognuna in modo da formare uno sbuffo.

Erano i primi calzoni lunghi che un adolescente indossava dopo essere andato con i calzoncini corti fino ai quattordici anni.

Erano un po’ curiosi. Negli anni ’30 erano abitualmente indossati anche dagli adulti, in abbinamento a calzettoni a disegni a rombi e con colori scozzesi.

Questi pantaloni “alla zuava” furono adottati come divisa dagli alpini, e dai ragazzi inquadrati nelle organizzazioni giovanili del regime fascista, come dalla foto qui a lato tratta da Wikipedia.

Fortunatamente sono andati fuori moda negli anni del dopoguerra.

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Tredeché

Tredeché v.t. = Criticare, malignare

È un’azione odiosa, che non onora né chi la compie, e né chi la ascolta.

È uno spettegolare maligno, che tende a screditare e a diffamare il malcapitato preso di mira.

Il soggetto che di arroga il diritto di giudicare l’altrui operato dicesi tredecante e combina tredecaminte = l’insieme dei pettegolezzi maligni.

I ragazzi di oggi usano un verbo “alleggerito” e quasi goliardico: furbecé = “forbiciare”, nel senso di usare la lingua come forbici per “tagliare i panni di dosso” come dicono i Toscani per indicare la stroncatura di un soggetto.

Addirittura, in senso goliardico e carnevalesco, sono emersi su questo verbo i simpaticissimi “Forbicioni”, cioè i noti Franco Rinaldi e Lello Castriotta, i quali sanno trovare da furbecé su tutto, specie sui Politici in genere.

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Nunnàscene

Nunnàscene s.m. = Bisnonno, bisnonna

È un termine desueto che ogni tanto compare in bocca a qualche ottuagenario!

Può essere usato indifferentemente al maschile e al femminile. Sarà l’articolo anteposto a chiarire il genere.

Alla fèste jì arrevéte püre ‘u nunnàscene = Alla festa è giunto anche il bisnonno.

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Appanné

Appanné v.t. = Socchiudere e appannare.

Il verbo ha due significati.

  1. appanné = Socchiudere l’uscio di casa o gli infissi di una finestra o di un balcone.

    Praticamente si accostano semplicemente i due battenti senza usare chiavi o altro, in modo da creare penombra e frescura all’interno.
    Un’usanza prettamente estiva.
    Giuà, appanne ‘a porte ca fé càvete = Giovanni socchiudi le porte ché fa caldo.

    Con questo significato il verbo è usato anche in altri comuni della Capitanata.
  2. appanné = appannare una superficie rendendola opaca.
    Per esempio quello che si verifica alitando sulle lenti degli occhiali, oppure trasferendo delle bottiglie di bibite gelate dal frigo all’ambiente caldo.
    Anche i fenomeni atmosferici come il freddo o l’umidità appannano internamente i vetri degli infissi.
    Tutto ciò, come è facilmente intuibile, è causato dalla differenza di temperatura e dall’umidità dell’aria.
    La velatura, specie quella che appare d’inverno sui vetri delle automobili lasciate all’aperto per tutta la notte, facilmente si condensa all’esterno e si appanna all’interno.

    Ringrazio Matteo Borgia II per avermi suggerito questo termine.
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Screscetöre

Screscetöre s.f. = Escrescenza, adenite, lesione esofitica, cutanea o mucosa.

Si tratta di termini prettamente medici.

Mi avvalgo della definizione del dr. Rinaldi, cui va la mia gratitudine.
«Tumefazione linfatica dolorosa, adiacente ad un focolaio d’infezione o di semplice irritazione.»

Strascico doloroso, molto spesso accompagnato da tumefazioni o gonfiori lungo i muscoli e i tendini, dovuti a traumi, a infezioni o a ferite. Dolore trasmesso dai nervi nelle vicinanze della parte infiammata.

Si manifesta con un dolore che si diffonde dalla parte infiammata, come una scia, lungo un arto o il tronco.

Talvolta la scia dolorosa parte da un dente infiammato e arriva alla sommità del cranio o, attraverso la mandibola, e lungo il collo fino alla sommità del torace.

L’assonanza della screscetöre con “striscia” è evidente.
Il termine era familiare fino a pochi decenni fa.
Ora è andato man mano in disuso.
Peccato perché ha un bel suono e descrive immediatamente il malore che colpisce il malcapitato.

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Addurìfeche

Addurìfeche s.f. = Odorifero, profumatore

È un termine ormai desueto. Mi piace riprenderlo per il suo suono armonico e per ricordarlo alle generazioni attuali.

Deriva dallo spagnolo ODORÍFICO adj. Que da buen odor = che dà buon odore, che sparge profumo.

Generalmente lo usavano i nostri nonni per chiedere al droghiere Viscardo di vendergli le spezie (cannella, chiodi di garofano, ecc.) necessarie per la preparazione domestica di dolci.

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Semplecöne

Semplecöne s.m. = sempliciotto, sciocco, credulone

Un po’ come dire fafalöne (<—clicca).

Potrebbe derivare dall’italiano semplicione o sempliciotto.

Soggetto dalla figura allampanata, con movenza goffa e impacciata, che talvolta si intrufola nei discorsi altrui con argomenti fuorvianti e fuori tema.

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