Categoria: Proverbi e Detti

Làrje jì la frònne…

Làrje jì la frònne…

Alla fine della recita, o se si voleva concludere la serata tra amici, o se qlcu si era stancato di raccontare frecàbbele e sturielle, recitava questo detto:

Làrje jì la frònne
strètte jì la vüje
quèdde jì la porte
e jétele a fé ‘ncüle!

Larga è la foglia, stretta è la via, quella è la porta e andate (simpaticamente) a fare in culo!

Se l’uditorio aveva le orecchie delicate, il verso finale era: e jétevìnne vüje = e andatevene via (o “andatevene voi”, la pronuncia è uguale).

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Làsse a fùche ardènde, e pìgghje ‘a parturènde

Làsse a fùche ardènde, e pìgghje ‘a parturènde

Lascia il fuoco ardente e prendi la partoriente. Dopo aver domato un incendio, immediatamente mi adopero per soccorrere una partoriente.

Ossia: non si fa in tempo ad appianare una difficoltà che subito se ne presenta un’altra.

Si cita questo proverbio quando qlcu narra (esagerando, naturalmente) di essere stato costretto a impegnarsi senza soste nel risolvere situazioni di difficoltà che si erano presentate a raffica.

Ma insomma…E checcà!

Da notare la spagnolesca costruzione della frase con il dativo invece che con l’accusativo. Lascia a/prendi a… invece di lascia il…/prendi la

Altro esempio di questo uso spagnolo del verbo transitivo: Jèsse vöde a jìsse = Lei vede lui (non lei vede a lui).

Il lettore Michele Granatiero mi suggerisce: «  una variante di questo detto è quella che inverte le due azioni: lascia la partoriente e prendi il fuoco ardente. In una casa poteva capitare di assistere la partoriente e subito dopo bisognava preparare il fuoco (ardente) per poter cucinare prima che tornasse il pater familiae dopo una dura giornata di lavoro.»

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Lu sazzje nen cröde au dejüne

Lu sazzje nen cröde au dejüne

La persona sazia non considera di chi è digiuno.

Egoismo, insensibile al disagio altrui.

Notate che il termine dejüne è diverso da quello più antico, desciüne, usato ora solo dagli anziani.
La versione desciüne si avvicina molto al francese jeûne (privation de nourriture = mancanza di nutrimento).

Ho ancora nelle orecchie la frase di un amico che raccontava di una sua disavventura ed era comblétamènde desciüne = digiuno da molto tempo.

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Lüna cuchéte, marenére respegghjéte

Luna tramontata, marinaio sveglio

È un Detto marinaresco.

Il significato secondo Michele Conoscitore, figlio di pescatore, è questo:
Poiché le battute di pesca si svolgono nottetempo, il chiarore lunare consente ai pescatori di agire con una certa sicurezza.
Quando invece la luna si è cuchéte (coricata, tramontata) occorre maggior vigilanza da parte dei pescatori che quindi devono essere respegghjéte (svegli, attivi, con gli occhi aperti) per scongiurare pericoli derivanti dal buio.

Il lettore Umberto Capurso dice che «Quando la falce della luna è coricata … Il marinaio deve stare attento, possibilità che il tempo cambia facilmente.»

In ogni caso è assodato che in mancanza del chiarore lunare gli uomini in mare devono agire con maggior attenzione.

Come molti proverbi e Detti anche questo invita ad agire con cautela.
Ringrazio questi due miei amici per il loro contributo diretto.

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M’ò ditte ‘u züte müje: tó mange e büve,

M’ò ditte ‘u züte müje: tó mange e büve, nen te curànne d’i gènde de qua veciüne

Il mio fidanzato mi ha detto: tu mangia e bevi:
non ti curare della gente di qua vicino.

Il sublime Dante è stato più sintetico:
“non ti curar di lor ma guarda e passa”

È un invito a non temere i giudizi degi altri, ma di badare a fare bene quello che è il prorio dovere.

Il proverbio è costruito su un distico endecasillabo con i due versi assonanti (büve, veciüne), ma non in rima.

Nota fonetica: quel nen te curànne… spesso si contrae, nella parlata, in ‘nde curanne…

Nota linguistica: in dialetto per indicare la gente si usa ‘i crestjéne. Questo detto ha usato‘i gènde, le persone, la gente, o per questione di metrica o perché di origine foggiana. Difatti a Foggia è usuale dire ‘i gènde e non ‘i crestjüne.

Grazie ad Alfredo Rucher per il suo suggerimento.

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Madéma cuntrariöse, quanne chjöve vé a mètte l’acque ai puleciüne

Madéma cuntrariöse, quanne chjöve vé a mètte l’acque ai puleciüne

Madama piena di contraddizioni, quando piove va a mettere l’acqua ai pulcini.

Si cita quando qlcn fa un’azione faticosa, inopportuna e sopratutto inutile.

In questo caso la pioggia è più che sufficiente a dissetare i pulcini nel recinto o nell’aia.

Insomma, come si dice in italiano, fa il “Bastian contrario”, e in dialetto, jì scucchjande = è incoerente.

Nota linguistica.
-Si è usato un termine da élite dicendo madéme, per dare un’aria chic a quella sciocca.
Cuntrariöse è una forzatura linguistica per imitazione. Mi spiego meglio: la desinenza -öse = -oso/a, in italiano significa “pieno/a di..” (per es.: polverosa, sassoso, nevoso, ecc.). Quindi in italiano cuntrariöse equivale a “pieno di (atteggiamenti) contari”. Non esiste in lingua l’aggettivo “contrarioso”, o almeno nessun grande scrittore lo ha mai usato finora da poter legittimarne l’uso.

Non guardate me…

Scusate il mio atteggiamento pedante. Ci tengo semplicemente alla precisione.

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Madònne de lu Càrmene…

Madònne de lu Càrmene, Bella Segnöre,
mandjine l’ànema möje pe quanne je möre

Madonna del Carmine, Bella Signora, mantieni l’anima mia per quando io muoio.

In italiano corretto sarebbe: sorreggi, o custodisci l’anima mia nell’ora della mia morte (così come è detto nell’ultimo verso dell’Ave Maria).

Questi versi, bellissimi e musicali, a rima baciata di tredici sillabe, forse erano stati composti su un motivo musicale, perché ha tutti gli accenti giusti.

È una giaculatoria, una preghiera popolare semplice e spontanea, che veniva recitata anticamente da chiunque passasse davanti alla Chiesa dedicata alla Madonna del Carmine (detta anche del Carmelo), in Corso Manfredi.

Maria di Nazareth, madre di Dio e madre nostra, venne da secoli venerata sotto i vari titoli: Madònna Sepundüne, de Pulezéne, de Sepònde, d’a Stèlle, du Càrmene, de ‘Ngurnéte, l’Adduluréte, l’Assunte, ecc.

Ella è sempre stata molto amata dal popolo, come una mamma cui potersi confidare nei momenti tristi che purtroppo erano frequentissimi a causa delle condizioni di indigenza in cui si dibattevano quasi tutte le famiglie italiane.

Passando davanti alla chiesa a Lei dedicata, ubicata proprio sul Corso principale, questo “saluto” usciva spontaneo dal cuore della gente come gesto d’amore e di rispetto.

Così accadeva nei tempi passati. Adesso i cuori sono pieni di altri sentimenti e non hanno posto per la devozione. Purtroppo…

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Male-màstre so’

Male-màstre so’,

male-firre tènghe,

a me ne me ‘ngòzze,

e nisciüne me chiéme

 

Sono un cattivo artigiano, ho cattivi arnesi, non ho voglia di lavorare e nessuno mi interpella.

Voglia di lavorare saltami addosso….

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Maledezzjöne, alla vamméne!

Maledezzjöne, alla vamméne!

Maledizione alla levatrice!

Si cita scherzosamente contro qlcn che si giudica maldestro.

Se la prende con levatrice che avrebbe dovuto affogarlo appena nato, intuendo che era un cattivo soggetto, ma non l’ha fatto.

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Mambredònje jì cüme a na tüne….

Mambredònje jì cüme a na tüne: quèdde ca fé a sore ce sépe ‘a matüne

Manfredonia è come una tinozza: quello che si fa la sera è noto a tutti l’indomani mattina.

Il Detto rispecchia l’animo pettegolo di paese, quando Manfredonia era ancora raccolta all’interno delle antiche mura, e come numero di abitanti era inferiore a Monte Sant’Angelo. Ossia fino agli anni ’30, come mi raccontava mio padre.

La tinozza, il mastello da bucato dà l’idea della limitatezza dello spazio.

Il paragone con la tüne = tinozza, bigoncia, è solo questione di rima con matüne

Non c’è più il pettegolezzo tagliente a Manfredonia. Ora c’è il gossip sforbiciante!

Ringrazio Matteo Totaro che mi ha citato questo Proverbio.

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