Categoria: Proverbi e Detti

Mìttele a nöme: “nen ce penzànne”

Mìttele a nöme: “nen ce penzànne” loc.id. = Rassègnati per la perdita del tuo credito

Alla lettera significa: Mettigli il nome: “non pensarci”

È un’esortazione  che si rivolge a qualcuno, in via amichevole, quando ci confida di temere per i suoi vecchi crediti in sofferenza, dopo aver constatato tardivamente l’insolvibilità del debitore.

Purtroppo è l’unico consiglio che si può dare ad un amico creditore che aspetta il rimborso da qualcuno, e che vede affievolirsi le speranze di ricuperare il duo avere, per l’evidente stato di insolvenza del debitore. Insomma un invito alla rassegnazione.

Il debitore insolvibile è colui che, per fortuna solo figurativamente, fé i büche ‘nghépe = fa i buchi in testa, oppure che làsse ‘i fusse = lascia i fossi, nel senso che lascia diversi conti in sospeso presso tante persone e non poi paga a nessuno.

In contabilità questi crediti si definiscono “in sofferenza” o “in contenzioso”. Nella vita reale si chiamano mìttele a nöme:”nen ce penzanne” = mettici una pietra sopra e non pensarci più, altrimenti ti rodi il fegato inutilmente.

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Mjine ‘a paste!

Mjine ‘a paste!

Questo Detto scherzoso (o forse non troppo) si lancia impazientemente verso qualcuno che fa tardi a completare un lavoro, o a scendere di casa per un incombenza.

Se le cose vanno per le lunghe sorge spontaneo il grido: Seeeh, mjine ‘a paste, mjine! = Sì, cala la pasta, cala!

Ossia: l’acqua sta a bollire da un bel po’, e tu non ti decidi a sbrigarti a calare la pasta, mentre io ho premura di mangiare. Il tutto metaforicamente.

Infatti quando uno ha fame, il tempo occorrente perché l’acqua vada in ebollizione per cuocere la pasta sembra lunghissimo, e il momento di calare la pasta dovrebbe essere un po’ liberatorio: presto, così comincio a mangiare! Invece le cose vanno ancora per le lunghe.

Lo stesso urlo saliva dalla sala del Cinema Fulgor, quando il lungo bacio finale fra il protagonista del film in proiezione e la sua donna era ritenuto interminabile dal pubblico della platea…

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Mjine ‘nu lócchele e scappetìnne

Mjine ‘nu lócchele e scappetìnne

Lancia un urlo e scàppatene.

Quando una sitazione, una circostanza è imbarazzante o perdente, all’amico si suggerisce di lasciar perdere e senza indugi.

Le nostre mamme lo dicevano quando mettevano il naso in una camera diciamo “un poco” in disordine.

Non sapendo da dove cominciare per rassettare, la poverina sgomenta si accasciava su una sedia e mormorava: škàffe ‘nu lócchele e scappetìnne, Le volete dare torto?

Ho usato il verbo škàffe che è intercambiabile con mjine. Sono corrette entrambe le versioni.

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Mò ce appènne Mecalànge alla cambéne

Mò ce appènne Mecalànge alla cambéne

Adesso di attacca Michelangelo alla campana (e non la smette…)

Questo modo di dire evidenzia un atteggiamento insistente, talvolta noioso, che tarda a cessare.

Evidentemente il sacrestano Michelangelo, quando iniziava a scampanare per la Funzione religiosa, suonava a distesa, a lungo, insistentemente.

‘U sinde, ‘u sinde, nen la fenèsce méje, assemègghje a Mecalànge alla cambéne: hamme capüte ‘u fàtte = Lo senti? Non la finisce mai, sembra Michelangelo alla campana: abbiamo compreso il fatto (non è necessario ribadirlo).

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Mòneche, prjivete e chéne, adda sté sèmbe pe ‘na mazza ‘mméne

Mòneche, prjivete e chéne, adda sté sèmbe pe ‘na mazza ‘mméne

Traduzione letterale: Monache, preti e cani, devi stare sempre con un randello in mano.

Questo simpatico Detto ci suggerisce di essere guardinghi circospetti e cauti quando abbiamo a che fare con questi soggetti, perché potremmo ricevere delle amare sorprese…

Altri adducono scherzi da prete.., o cani che mordono gli straccioni… o monache chépe de pèzze (teste di stracci).

Ma come in tutte le cose non bisogna generalizzare. Ci sono monache amorevoli e altruiste come Suor Teresa, o preti benefattori come don Orione e don Gnocchi, o cani anti-droga o cani-guida per i ciechi, cani del soccorso alpino, o cani molecolari che individuano i tumori umani.

Ho stilato questo articolo perché ha un significato comico e simpatico, non perché sia accettabile in toto il suo monito.

Comunque la prudenza è una cosa che va bene, non solo nella correlazione con monache, preti e cani, ma in ogni circostanza della vita sociale.

Infatti la Prudenza è una delle quattro virtù umane (o cardinali) per operare bene: Prudenza Giustizia Fortezza Temperanza. Se volete saperne di più consultate Wikipedia, perché questo sito tratta principalmente ‘u dialètte mambredunjéne!

Qualcuno invece delle monache inserisce le femmine.  Ma solo per strappare una risata

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Mónne jöve, mónne jì, e mónne sarrà

Mónne jöve, mónne jì, e mónne sarrà

Mondo era, mondo è, e mondo sarà.

Esiste anche una variante nei tempi verbali, senza alterare minimamente il significato di questo Detto antico: Mónne jì stéte, mónne jì, e mónne uà jèsse. = Mondo è stato, mondo è, e mondo ha da essere.

Il senso è chiarissimo: possono cambiare i mezzi, le condizioni di vita, le tecniche ecc., ma nell’animo dell’uomo albergherà sempre la stessa indole malvagia: tendenza alla sopraffazione, propensione allo sfruttamento, alle ruberie, all’egoismo, alla prepotenza, ecc. ecc..
Il latino Tito Maccio Plauto un paio di secoli prima di Cristo riassunse tutto questo in solo tre parole: “Homo, hominis lupus” (*)

Si cita questo Detto quando si vuole evidenziare come, negli eventi attuali, si verifichino i ricorsi storici, ovviamente in modo preponderante quelli con valenza negativa.

Fréte müje, ‘u mónne nen cange! Mónne jöve, mónne jì, e mónne sarrà! = Fratello mio, il mondo non cambia! Così era, così è, e così sarà!

Non è fatalismo, ma la mera constatazione degli eventi.

…..
(*)(tratto da Wikipedia)….L’italiano Antonio Gramsci, in una nota dei suoi Quaderni del carcere, ricorda che l’origine dell’espressione dovrebbe trovarsi «in una più vasta formula dovuta agli ecclesiastici medioevali, in latino grosso: Homo homini lupus, foemina foeminae lupior, sacerdos sacerdoti lupissimus» cioè “L’uomo è un lupo con l’uomo, la donna è ancora più lupo con la donna, il prete è il più lupo di tutti con il prete”….

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Murte ‘u crijatüre, nen ce chiaméme chjó cumbére

Murte ‘u crijatüre, nen ce chiaméme chjó cumbére

Morto il neonato non ci chiamiamo più “compare”.

Il padrino di battesimo rimprovera i genitori del neonato morto evidentemente di una malattia infantile, di scarso rispetto. Fintantoché viveva il figlioccio, erano considerati “compari”, sia il padrino, sia sua moglie.

Scomparsa la causa del legame, non si sentono più obbligati al rispetto.

Tutto è figurato, intendiamoci, per rimproverare qlcu di scarsa gratitudine.

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Musselüne, Musselüne, a ogni chése sté ‘nu mulüne

Musselüne, Musselüne, a ogni chése sté ‘nu mulüne

Mussolini Mussolini in ogni casa c’è un mulino.

Questo Detto circolava nel 1936, allorquando la Società delle Nazioni, impose le “inique” sanzioni economiche all’Italia che aveva mire espansionistiche avendo accupato l’Etiopia nel 1935.

L’embargo costrinse il regime a propagandare l’autarchia, cioè l’autonomia economica: niente importazioni di caffé, cacao, macchinari inglesi, ferro, carbone, baccalà norvegese, ecc.

Come contromisura venne dato il via alla campagna “Oro alla Patria” ed esattamente un mese dopo, il 18 dicembre 1935, fu proclamata la “Giornata della fede”, giorno in cui gli italiani furono chiamati a donare le proprie fedi nuziali per sostenere i costi della guerra e far fronte alle difficoltà delle sanzioni. In cambio, graziosamente, il Fascio regalava agli sposi un anello di acciaio.

Fu anche ingaggiata la “battaglia del grano” con Mussolini in prima persona ad alimentare la trebbia, e altre simili azioni propagandistiche. Lascio immaginare il disagio degli Italiani che però erano sollecitati dal Regime quali intelligenti, geni, eroi, ecc.. Tanto è vero che il termine “autarchico” (per esempio per indicare il “caffé” fatto con orzo e semi di cicoria tostati: una ciofeca) è diventato assolutamente dispregiativo.

Allora, secondo me che non sono uno storico, presumo che il Detto non sia un grido di vittoria, come se in ogni casa ci fosse tanto grano da macinare! Forse forse mi sta venendo a mente il fatto che TUTTO il grano prodotto doveva andare all’ammasso, e che poi veniva venduto alle famiglie in base al numero dei componenti, per mezzo delle famigerate Tessere Annonarie.

Quindi il mulino domestico era reale, e serviva a macinare il grano acquistato al mercato nero, o spigolato per i campi.

Quelli più anziani di me potrebbero dire la loro. Io ricordo solo che mio padre, abilissimo artigiano, aveva creato un mulino a manovella per uso domestico: lo si usava in casa di notte (quindi clandestinamente) ma forse solo per non pagare la “macinatura” e/o la tassa sul macinato.

Ringrazio Alfredo Rucher per il suggerimento.

In punto mi è giunto tramite FB un grazioso commento di Tonia Trimigno. La lettrice riferisce la seconda parte del Detto, pronunciata da suo marito dopo aver letto quanto sopra. Evidentemente era diffuso presso i nostri nonni durante la guerra.

Riporto il detto per intero:

Musselüne, Musselüne,
a ogni chése sté ‘nu mulüne!
Arrespunnètte Hittlèrre:
uagnü’, faciüte mò
ca jì tjimbe de guerre!

Mussolini Mussolini in ogni casa c’è un mulino.
Rispose Hitler (allora nostro alleato):
Ragazzi, fate adesso
perché è tempo di guerra (del doman non v’è certezza).

Non ho capito bene a che cosa si riferisca quel  fate adesso…

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N’ànne spuséte, o maléte o carceréte.

N’ànne spuséte, o maléte o carceréte.

Al compimento del primo anno di matrimonio il marito generalmente si ritrova o ammalato o detenuto.

Perché ammalato? La moglie bella lo ha consunto! O lo fa rodere di gelosia!

Perché carcerato? La moglie bella lo ha cornificato e lui l’ha mandata in ospedale con le ossa scassate.

I matrimoni sono in calo! E ci credo! Con queste prospettive i ragazzi si defilano velocemente…

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N’ucchje guarde a Crìste e l’ate arròbbe ‘i pìsce

N’ucchje guarde a Crìste e l’ate arròbbe ‘i pìsce

Un occhio guarda verso Cristo e l’altro ruba i pesci.

Questa è una divertente definizione dello strabismo.

È un po’ irriverente, perché una persona affetta da qualsiasi difetto fisico e molto sensibile e non vuole che si parli mai della sua menomazione.

L’interlocutore deve aver la delicatezza di non indicarla in sua presenza.

Ho detto in sua presenza! Ma quando il tizio non è astante prevale quello spirito sfottente di noialtri impuniti manfredoniani con l’espressione citata.

Ritengo, ma non sono sicuro, che il Detto possa interpretarsi in modo figurato.

Come per dire che da un lato il soggetto è tutto casa e chiesa, mmentre dall’altro si rivela un po’ filibustiere.

Nota linguistica:
Il verbo guardare in italiano rege l’accusativo: io guardo te.
Per un retaggio della lingua spagnola in dialetto il verbo regge il dativo: guardare a…. n’ucchje guarde Criste…
Agghje viste a Giuanne = Ho visto Giovanni
Agghje ‘ngundréte a Pasquéle = Ho incontrato Pasquale.

La frase “Il padre vide il figlio” può significare che il padre, mentre stava là, ha visto il figlio che passava, ma anche che il figlio vide il padre (e non altri) nei paraggi. Dipende dalla inflessione della voce, se calchiamo su padre o su figlio.
Nella lingua spagnola invece si dice “el niño vio a su padre” o “el padre vio al chico” senza creare alcun dubbio e senza sforzarsi di accentuare l’uno o l’altro sostantivo.

Fine della lezione pallosa.

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