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Škafaröje

Škafaröje (o šcafaröje) s.f. = Lemmo, vaso, contenitore.


Era un versatile vaso in terracotta, piuttosto grande. 
Aveva la forma di tronco di cono rovesciato.
Dalla base più stretta si allargava verso l’alto e formava un risvolto, cioè un bordo ingrossato che permetteva una facile presa.
La parte interna era smaltata, cosa molto apprezzata dalle nostre nonne perché facilmente lavabile.
Aveva le pareti e il fondo color pistacchio su cui presentava delle striature irregolari, come un reticolo color verde bottiglia.

Il nome deriva dal greco “Scaphe” che si traduce in vaso, tinozza.
Anche il latino ha adottato il greco. Infatti si indicavano “scaphat” i vasi in terracotta. 
In Campania è chiamata škafaréa, e in Sicilia scafarìa.

Era usata generalmente per contenere alimenti, per lavare le verdure, per salare le olive, per contenere la passata di pomodori, per far lievitare l’impasto delle pettole,  per conservare ortaggi nell’aceto (lambascioni, peperoni, ecc.) e anche per mettere i panni a bagno con la varichina, o per un mini bucato a mano.

La škafaröje standard aveva il diametro superiore di circa 60 cm. Quella di minore dimensione lo aveva  di circa 30 cm; e serviva principalmente a pulire il pesce, e veniva chiamata con un melodioso diminutivo ‘a škafarjèlle.

Se disgraziatamente il recipiente si rompeva, si ricorreva all’arte dell’ambulante conza-pjàtte.
Nell’immagine vedete una škafaröje riparata con dei “punti” di fil di ferro e sigillati con mastice bianco. 
Avete notato che ho usato i verbi al tempo passato. Infatti la plastica ha soppiantato completamente questi utilissimi contenitori.

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Sìcce

Sìcce s.f. = Seppia

Seppia (Sepia officinalis ). Mollusco cefalopode con il corpo è ovale, circondato da una pinna a nastro.

Ha i consueti otto tentacoli dei cefalopodi e in più due tentacoli lunghissimi, retrattili, con il terminale provvisto di ventose.

Si mimetizza con rapide variazioni di colore al suo dorso e usa lanciare un inchiostro nero contro i predatori per sfuggire e mettersi in salvo.

È egregiamente e largamente usata nella gastronomia locale. Viene servita in croccante frittura, o arrostita alla brace, o ripiena sia al forno e sia  al ragù.

La seppia è un po’ il simbolo di Manfredonia/Siponto.

Il nome Sipontum deriva proprio da sipus (seppia) + pontum (mare) quindi “mare pieno di seppie” (grazie giolabe per il suo suggerimento).

Ora andate a vedere il Monumenti ai Caduti davanti al Castello, realizzato dallo scultore foggiano Baniamino Natola (1887-1972).

Se guardate bene in basso a destra della Vittoria Alata, noterete una seppia mentre tiene chiusa con i suoi tentacoli la bocca di un delfino.

La seppia simboleggia il popolo sipontino, mentre il delfino, l’Impero Austro-Ungarico. L’allegoria vuole esaltare il valore dei nostri ragazzi i quali,  nella Grande Guerra 1915-1918, con il loro eroismo, sono stati capaci di tacitare il grande Impero Centrale. Questo fu il grande contributo che Manfredonia diede alla Patria: 126 morti, 37 invalidi e mutilati, 12 medaglie d’argento,14 medaglie di bronzo.
La colonna di marmo inserita nel Monumento è stata prelevata tra le rovine dell’antica Siponto e posta a perenne memoria di quanti per la Patria si sacrificarono.

Queste notizie “storiche” mi furono tramandate da mio padre, classe 1901, che certamente assistette all’inaugurazione del Monumenti ai Caduti pochi anni dopo la fine della Grande Guerra, e seppe memorizzare i roboanti discorsi del regime fascista: lui era giovane e la memoria non gli mancava.

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Sfajìlle

Sfajìlle s.f., sopr. = Scintilla.

Piccolo frammento di materia incandescente. Si ottengono sfajìlle per esempio, quando si accendono i carboni vegetali per farne brace.

Quelle del ferro arroventato al calor bianco nella forgia del fabbro sono bellissime: appena il ferro rovente è posto sull’incudine e riceve sapienti colpi di martello per la lavorazione, ne sprigiona una cascata sfriggolante.

I nostri nonni dicevano sfascìdde. Il termine si è, diciamo, ingentilito perché sembrava troppo rustico. Come desciüne, divenuto dejüne o cavàdde, diventato cavalle.

Il lettore Leonardo Esposto afferma che il soprannome Sfajille appartiene alla sua famiglia da molte generazioni. Il noto forno di sfajille era ubicato in Via Campanile ed ha cessato la sua attività nel 1982.

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Sèsse

Sèsse s.f. = Sàssola o sèssola

Nulla a che vedere con il sesso!

La sàssola o sèssola è quella grossa cucchiaia rettangolare, in legno o plastica, che serve a svuotare le imbarcazioni dall’acqua.

Quando esistevano i negozietti di generi alimentari che vendevano la merce sfusa, era usata per raccogliere il riso, la farina, lo zucchero, la pasta corta dai loro contenitori e trasferirli sulla bilancia.

Allora tutto si vendeva sfuso. Ovviamente questa sèssola era più piccola e di alluminio. Forse la usano ancora i negozi di torrefazione che vendono il caffé in grani.

La prima cosa che vedemmo confezionata in pacchi di carta translucida da mezzo chilo, fu la pregiatissima pasta “Sovrana”, del “Premiato Mulino e Pastificio D´Onofrio & Longo” di Manfredonia.

Purtroppo il “nostro” caro Mulüne andò distrutto in un incendio.

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Sèrchje

Sèrchje s.f. = Ragade, serchia

Piccola lesione della pelle o delle mucose in forma di fessura; si sviluppa sul capezzolo, nell’ano, sulle labbra o anche sulle mani esposte a lungo al freddo o ad agenti chimici aggressivi.

Agghje tucchéte ‘u ggìsse e mo’ tenghe i sèrchje ai méne
= Ho toccato la scagliola di gesso, e ora ho le ragadi alle mani.

I nostri contadini chiamavano sèrchje anche le spaccature riscontrate nei terreni incolti o a maggese.

Il carissimo dott. Matteo Rinaldi – co-autore con Pasquale Caratù del notissimo pregiato Vocabolario del nostro dialetto – mi suggerisce una intuitiva locuzione sostantivata:
«Sèrchje alla chépe locuz. sost.f. corr., med. = Idrocefalo.
Aumento dei diametri del cranio dovuto a tumore o a condizione che aumentano o bloccano la circolazione del liquor, per cui le suture craniche si distanziano (come se si aprissero). Condizione che trasforma il cranio nelle stesse condizioni della pelle quando va incontro alla sèrchje.  Si spiega così il perché di questi due accostamenti.»

Insomma qualsiasi fenditura, piccola o grande era detta sèrchje.

Cercando in rete ho scoperto che il termine deriva dal latino serculam.

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Seppònde

Seppònde s.f. = Puntello, supporto, sostegno

Elemento di sostegno, usato in edilizia per puntellare una parete, quindi una superficie verticale.  Generalmente sono di legno e vengono sagomate a seconda della necessità (come nella foto).

Specificamente un paletto che sostiene una parete, un piano di legno, una cassaforma, o uno scavo instabile.

Per sorreggere i solai, quindi piani orizzontali, attualmente sono usati puntelli metallici tubolari telescopici, cioè estensibili a cannocchiale, per adattarli all’altezza voluta.

È proverbiale una specie di dialogo, in un italiano incerto. Si voleva initare il teatrino delle marionette che si svolgeva negli anni ’50 nel mitico ‘baraccone’ di Don Giovanni, dov’è ora il Montepaschi, ove si rappresentavano le storie cavalleresche (La chanson de Roland)

Un Paladino diceva, rivolto a Carlo Magno: “Sire, il ponte trabbaléscia!” (traballa, è instabile).
Risposta immediata: “E mettici una sippònda!” (un puntello).

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Sendènze

Sendènze s.f. = Maledizione

È ammessa anche la pronuncia sendènzje.

Non ha nulla a che vedere con il termine simile italiano “sentenza”.

La sendènze è un’invocazione di male, di sventura su qcn. o qcs..

Molto temuta dalla maggior parte delle persone che avevano avuto un diverbio.

Roba che ora ci fa sorridere…Difatti qualche progressista dell’epoca coniò un proverbio sulla sendènzje grosse.

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Sègge-a-Vjinde

Sègge-a-Vjinde s.f. = Sedia Thonet

Non è, nella traduzione letterale, certamente la “sedia a vento”, che non significa nulla.

In lingua italiana è accettata come Sedia tipo Vienna.

Facile confondere la pronuncia della denominazione tedesca di Vienna, Wien (vinn) con Vjinde (viind) = vento.

Sono le famosissime sedie di legno di faggio, tornito e curvato a vapore, con il fondo di rafia intrecciata, il cui procedimento fu brevettato nel 1860 da Michael Thonet di Vienna. Le vere sedie Thonet sono tuttora in produzione.

Tutte le nostre nonne hanno in casa due Sedie Thonet perché negli anni ’30 facevano immancabilmente parte della loro dote.

Ora fanno delle imitazioni delle Thonet con ferro smaltato nero e plastica color sabbia per i bar che pretendono di apparire eleganti: puah!

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Sègge-a-caccà

Sègge-a-caccà s.f. = Seggiolone

Sedia di altezza tale da permettere a un bambino di arrivare al livello di un tavolo normale, dotata di un piano di appoggio ribaltabile su cui appoggiare piatti o altri oggetti.

Il nome dialettale deriva dal fatto che anticamente il piano, di legno o impagliato, su cui di poneva il bambino era dotato di un largo foro. Sotto il piano, a slitta, si inseriva il vasino.

Non voglio descrivere quello che accadeva tutti i giorni.

Questa sedia era utile perché dava al frugoletto la possibilità di saper controllare gli sfinteri. Se ciò non avveniva, il vasino raccoglieva tutti gli errori…

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Sègge

Sègge o sèggje s.f. = Sedia

Mobile su cui si può sedere una sola persona, costituito da un piano orizzontale che poggia su quattro gambe, e da una spalliera.

Il fondo può essere di paglia palustre o di rafia. Quelle moderne da cucina hanno il fondo di legno laminato ricoperto da cuscino imbottito di gommaspugna.

Deriva dal francese siége.

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