Tag: sostantivo maschile

Pezzüche

Pezzüche s.m. = Picchetto


«Paletto appuntito di legno o di ferro che si pianta nel terreno per fissare tende da campeggio o per eseguire misurazioni topografiche, o come segnale di tracciati stradali, confini e sim.»
(Definizione coniata dal Vocabolario on line della Hoepli Editore)

Si usa come piolo per fissare tende militari, coperture, pali da vigneto, ecc.

Il nome pezzüche deriva dal fatto che l’oggetto è appuntito, pizzuto, che termina a punta, e  può riferirsi a qualsiasi oggetto acuminato.

Attenzione a distinguerlo dal quasi omografo pìzzeche (pizzicotto o pala di fichidindia)

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Cecalùcchje

Cecalùcchje s.m. = Mantide religiosa

È un insetto (Mantis religiosa) diffuso dall’Africa all’Europa Centrale che ama i climi caldo-temperati.
Erroneamente ritenuto dannoso per l’agricoltura,  o addirittura pericoloso per l’uomo che sta a contatto con la vegetazione.  Di qui il nome dialettale cicalùcchje o anche  cecalùcchje = che acceca l’occhio.

Di misterioso sappiamo solo che la femmina, dopo l’accoppiamento, che (beati loro) dura alcune ore, si divora il maschio, cominciando dalla testa…

La inesauribile Wikipedia ci fornisce una spiegazione diciamo biologica di questo cannibalismo:
«L’accoppiamento delle mantidi è caratterizzato da post-nuziale: la femmina, dopo essersi accoppiata, o anche durante l’atto, divora il maschio partendo dalla testa mentre gli organi genitali proseguono nell’accoppiamento.
Questo comportamento è dovuto al bisogno di proteine, necessarie ad una rapida produzione di uova; prova ne è che la femmina d’allevamento, essendo ben nutrita, spesso “risparmia” il maschio.»

Ringrazio il dott.Enzo Renato per aver evocato questo termine dialettale quasi desueto.

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Ròtelavjinde

Ròtelavjinde s.m. = Ipèrico, Erba di San Giovanni.

È una pianta spontanea, la Hypericum perforatum, chiamata anche Erba di San Giovanni, usata in erboristeria per le sua qualità curative.

I nostri raccoglitori di fichidindia la usavano solo per spazzolare i frutti raccolti e stesi su uno spiazzo allo scopo di privarli, almeno grossolanamente delle micidiali spinette. Infatti identificavano la pianta col nome di scuparèlle,  piccola scopa.
Presumo che il nome sia composto dalla terza persona del verbo rutelé, rimestare, come il movimento rotatorio dell’erba sui fichidindia, e vjinde = vento, che si porta via le spine. Per fare questa operazione la persona deve porsi sopra vento…

Ho attinto il nome scientifico della pianta dall’inesauribile  “Vocabolario Manfredoniano” dei miei amici dr.Pasquale Caratù e dr.Matteo Rinaldi, (Nuovo Centro di Documentazione Storica di Manfredonia-2006), ai quali va il mio ringraziamento. Io non ci sarei mai arrivato!

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Stringetüre

Stringetüre s.m. = Torchio, strettoio

Va bene anche scritto strengetüre.

Torchio per spremere le olive o le vinacce, lo stesso che strettoio.
È formato da tante doghe di legno saldamente inchiavardate, e da una pressa idraulica che spreme le vinacce per far colare attraverso gli interstizi il mosto in esse contenuto. 

In senso figurato arrevé au stringetüre vuole significare la finale resa dei conti, la messa alle strette. Come dire: tutti i nodi vengono al pettine. Non si sfugge.

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Ràcquele

Ràcquele s.m. = Razza.

Vengono definite “razza” alcuni pesci cartilaginei dell’ordine dei raiformi.

Diffuse in Adriatico la Razza bianca (Raja alba), la Razza chiodata (Raja clavata).

“Sono caratterizzati dal corpo piatto romboidale, grandi pinne pettorali a forma di ali, coda sottile e lunga, occhi posti sul dorso, bocca ventrale.

Hanno in genere carni commestibili, non particolarmente apprezzate.”

Fin qui quello che dice Wikipedia. Ma che volete farci, questi infelici non sanno che significa ‘u ràcquele ammulechéte, perché evidentemente non sono mai stati a Manfredonia.

Noi mangiamo anche quelli piccoli. detti racquelìcchje, in umido.

Nei paesi costieri dell’alto Adriatico la razza è chiamata “Aquila di mare”. Forse il nome “ràcquele“, proviene dalla fusione di “raja” e “aquila”.

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Savezarjille

Savezarjille s.m. = Salicornia

Questa pianta (Salicornia europæa) ha un’ampia diffusione nella regione mediterranea, ed è  anche ben distribuita in Europa, Asia e America settentrionale, presso acquitrini salmastri o in prossimità di acque stagnanti.
È conosciuta anche col nome di “asparago di mare” ed è dotata di adattamenti peculiari che ne permettono l’insediamento su terreni salini. Viene detta pianta alofita, cioè capace di vivere in presenza di cloruro di sodio (sale marino).
Mentre le altre piante non resistono oltre la concentrazione salina dell’1%, questa sopporta benissimo anche il 2%.  Il che le conferisce un sapore gradevole anche se consumato cruda in insalata.
Per me è stata una sorprendente novità. Pare sia ottima anche lessata o addirittura in frittata. Per questo è degnamente paragonata all’asparago.

Il nome deriva da sàveze nel significato di salmastro.

In alcuni paesi del Gargano è chiamato  savezute.

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Ndrüje

Ndrüje s.m. = intoppo, intralcio, ostacolo

Usato anche come aggettivo sostantivato per indicare una persona che non dà nessun aiuto, anzi è d’intralcio  
Lìvete da nanze, ca sì proprje ‘nu ndrüje!

Sinonimi:
Per esempio: Jöve de fòlle e truàtte a ‘nu ‘ndùppe pe nnanze = Andavo di fretta e trovai un imprevisto (persona indesiderata, o una inattesa deviazione) davanti

Sinonimo ‘nduppe, nel senso proprio di intoppo causato da una persona

Un ostacolo provocato da oggetto o circostanza viene detto ndrùppeche.

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Vellüte

Vellüte s.m. = Velluto, muschio

Vellüte1È un termine con lievi modifiche alla pronuncia, preso dall’italiano velluto per designare un tipo di tessuto che presenta sulla faccia del dritto un fitto pelo che lo rende soffice al tatto.

Vellüte2È una pianta che cresce e prolifera nei luoghi umidi, quali il sottobosco, le rocce i muri, esposti per lo più a nord.

Ricercato dai presepisti, perché ha capacità decorative e coprenti tali da rendere credibile il paesaggio riprodotto nei loro artistici manufatti.

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Zìrre

Zìrre s.m. = Ziro

Recipiente metallico usato per conservare o trasportare olio.

Il termine deriva direttamente dall’arabo zīr , ossia grande orcio, che può essere anche di altro materiale (pietra, terracotta).

Si pronuncia quasi sempre unito all’articolo e raddoppiando l’iniziale: ‘u zzìrre.     I ragazzi di oggi usano il termine italiano dialettizzato : bbedöne = bidonee il suo diminutivo bedungiüne = bidoncino.

Io ricordo quelli fatti a mano dai lattonieri, col coperchio circolare incernierato a metà lungo il suo diametro, che consentiva – sollevando il semicerchio – il prelievo dell’olio mediante grossi mestoli. Avevano una capacità di oltre un quintale di olio.  Ma i bravi “stagnari” ne confezionavano anche di altre misure.

Ora si trovano in commercio  i bidoni di acciaio inox con bocca larga da 30 e 50 litri, indubbiamente più pratici e più facili da pulire. Molto adoperate sono anche le lattine monouso da 5 e 10 litri.

Presumo che da zīr possa  derivare l’italiano “giara”.

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Mózze

Mózze s.m. =  Mozzo

Il sostantivo «mozze» pronunciato con la “ò” larga (come in Sepònte = Siponto) ha due significati:

1) Giovane marinaio della Marina Mercantile addetto ai minori servizi di bordo.
2) Parte centrale di una ruota collocata intorno all’asse, da cui si dipartono i raggi.

Troviamo il termine in questione – pronunciato con la “ó” stretta (come in pózze = pozzo) – nella locuzione idiomatica «a mózze»  (meglio se articolato in un’unica emissione, come se dicessimo: ammózze), col significato di “a occhio” oppure “in blocco”  quando si contratta una compravendita senza ricorrere a pesatura o a valutazione del prezzo unitario.

Si cede e si acquista un bene, così come lo si vede, in toto, “visto e piaciuto”, insomma a mózze.
Generalmente in questa specie di trattativa se ne avvantaggia il compratore perché la controparte magari ha premura di ultimare la giornata.

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