Tag: sostantivo maschile

Rascialètte

Rascialètte (o anche rascéle s.m. = capocollo

Si tratta di un taglio di carne suina o ovina staccato dalla nuca alla spalla, per ricavarne bistecche.
Quella di maiale può essere rifinita e venduta senz’osso. ed è ottima alla brace o anche in padella.
Quella di agnellone o di capra è eccellente in umido.

‘U rascialètte è un taglio molto apprezzato sia dalle nostre massaie, perché di facile preparazione, e sia dai familiari, perché si rivela una pietanza molto gustosa e tenera.

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Peperjille

Peperjille s.m. = granello

Questo sostantivo, quantunque descriva qualcosa di piccolo e granulare, si presta a diverse utilizzazioni.

1) Peperjille 1 – Pallina di lana che si autoproduce sulla maglieria, dovuta a sfaldamento della fibra di lana o di quella artificiale. Dimensioni minime da uno o due millimetri. Con linguaggio tecnico queste palline sono chiamati “pills” e il fenomeno della loro comparsa è detto “pilling”.

2) Peperjille 2 – Piccolissima escrescenza cutanea che si può manifestare su tutta l’epidermide, dalle palpebre alla fronte, al torso, agli inguini ecc. Di solito è di natura benigna.

3) Carne peperjille peperjille – locuzione tipica che descrive la pelle accapponata, la cosiddetta pelle d’oca, che si manifesta per il freddo oppure a causa di una forte emozione.

Da non confondere con pepernjille. Questo, al maschile, è un nappa a filo che troneggia sulla sommità del copricapo prevalentemente maschile o militare detto “basco”.

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Scacchjatille

Scacchjiatille s.m. = sbarbatello

Giovane ancora immaturo e privo di esperienze di vita.

Il termine è spesso usato in tono spregiativo o scherzoso.

In italiano deriva da barba (sbarbatello, imberbe) del designare il ragazzotto in età puberale quando cominciano a spuntargli i primi peli della barba. In quell’età ingrata non si è né più fanciulli, né adulti sviluppati.
Eppure molti ragazzotti si sentono gradassi, capaci di spaccare il mondo e rifarlo…. ma sono sempre scacchjiatille imprudenti e brufolosi, scacchjéte, cioè disgiunti, divisi fra realtà e fantasia.

Avete notato che ho parlato solo al maschile? Le pulzelle non hanno queste velleità perché fin dall’adolescenza sono molto più mature di noialtri maschietti pasticcioni e lambascioni.

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Ammucciacöne

Ammucciacöne s.m. = Nascondino, rimpiattino, nasconderella

Ringrazio il lettore “Il Proletario” che mi ha mandato pari pari questa definizione del gioco fanciullesco che divertiva tanto i maschietti quanto le femminucce in età scolare.

«È un gioco di bambini che consiste nel nascondersi rispetto a uno di loro, scelto a caso, che si copre il viso e gli occhi, di faccia al muro, contando fino a cinquanta, per voltarsi al cinquantuno gridando Trombone, ed infatti il gioco viene anche chiamato “Cinquantuno trombone”.

Il gioco si risolve quando colui che ha contato riesce a trovare o vedere il nascondino degli altri giocatori; il primo scoperto diventa il prossimo contatore.»

Aggiungo che esiste una variante al gioco per i più grandicelli.
Meglio se il gioco si svolge all’aperto, ove c’è maggior spazio di manovra.
Possono essere scovati anche più bambini, che man mano devono restare fermi alla “tana” mentre continua la caccia agli imboscati. Se il “cacciatore” si allontana troppo dalla tana, può sbucare un bimbo non visto che batte con la mano la parete gridando “liberi tutti!” e il gioco ricomincia. Se arriva il “cacciatore” a battere la parete prima del “liberatore” si rilasciano tutti ma quello che ha fatto il tentativo di liberazione andrà “sotto” a contare il fatidico 51 per ricominciare tutto daccapo.

Va bene anche scritto Mucciacöne.
Ovviamente deriva dal verbo (clicca→) ammuccé = nascondere


Jean Verhas (1834-1896) – À cache-cache
Foto di dominio pubblico.

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Vestemènte

Vestemènte s.m. = Vestimento

In dialetto viene usato questo termine non per indicare un indumento, un vestito, un abito maschile o femminile, bensì l’abbigliamento di Carnevale.
Sissignori, di Carnevale! Per assonanza, quasi quasi tradurrei vestemènte con “travestimento”, assolutamente lecito in quei giorni di baldoria.

Vestemènte da Pièrò = Abito da Pierrot.

Tenöve ‘nu vestemènte da Zorro = Indossava un abito da Zorro.

Necöle ce ho ‘ffettéte ‘nu vestemènte da Arleccüne = Nicola ha noleggiato un abito da Arlecchino.

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Campanjille

Campanjille s.m. = Campanello

Va bene anche scritto cambanjille, assecondando la pronuncia meridionale con addolcimento della “t” in “d” (sò cundènde).

La traduzione è semplice perché indica il campanello, sia quello metallico, di varie misure, munito di manico e battaglio ad uso liturgico, sia quello elettrico a pulsante, usato per bussare.

È nota la locuzione sapì a campanjille = a campanello, cioè sapere a memoria; imparare e ripetere a menadito una lezione o un brano di poesia o di musica.
Alle elementari ci veniva chiesto di imparare a memoria le “tabelline” (la tavola pitagorica).
L’insegnante faceva domande improvvise, tipo “9 x 7?” e pretendeva risposta immediata!
Un ottimo esercizio mentale.

Da non confondere con il campanile, che da noi si dice campanére o cambanére che designa anche la persona addetta a suonare le campane.

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Paprecchjöne

Paprecchjöne agg., s.m. = Sciocco, fessacchiotto

Generalmente è riferito a persona insulsa, facilmente raggirabile, un po’ ingenua, tarda nell’agire.

‘Stu paprecchjöne pe ‘nzacché ‘nu chjuve ce mètte mezza jurnéte! = Questo sciocco per piantare un chiodo impiega mezza giornata.

Probabilmente derivato da papero.
Per il femminile l’italiano similmente usa “oca” per dire sciocca.

Credo che per definire in dialetto le stesse “qualità” al femminile basti un semnplice “pàpre” = papera, oca.

Angöre mò ce arretüre ‘sta pàpre = Solo adesso rientra, questa sciocca.

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Fresüle

Fresüle s.m. = Intestino retto

Questo termine anatomico, ormai è desueto. Tuttavia l’ho inserito – dietro suggerimento del dott. Matteo Rinaldi – perché resti memoria.
L’issüte ‘u fresüle da före = gli è uscito l’intestino di fuori. In termini medici: avuto un prolasso del retto.

Questo può avvenire per un immane sforzo fisico.

Gli sportivi sollevatori di pesi, durante le loro prestazioni spesso si lasciano sfuggire una semplice scorreggia…. Ma questo è il meno!

Collegato a questo sostantivo, sempre il dottor Rinaldi mi ha graziosamente imbeccato il verbo sbreselàrece, ossia sforzarsi all’inverosimile, tanto da riportare come conseguenza un vistoso prolasso intestinale.

Nota linguistica:
Quasi sempre, fateci caso, il gruppo consonantico “nfr”, viene mutato in dialetto in mbr. Esempi:
Manfredonia = Mambredònje,
In fronte = mbronte,
Infracidito = mbracetéte.
Lo stesso dicasi con il nostro fresüle che nel teorico “sfrisolarsi” diventa sbreselàrece.

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Capìzze

Capízze s.m. = capo, bandolo, inizio, parte estrema.

Ringrazio sentitamente l’amico Matteo Borgia jr per l’intera stesura del sottostante articolo, esempi compresi.

***

«È l’estremità libera di una matassa, di un gomitolo, di un rocchetto o di un rotolo, in italiano il bandolo. Deriva da “capo”, o meglio ancora dal latino capĭtium «estremità», e non va confuso con (clicca–>) capícchje , il capezzolo del seno, con cui condivide l’etimo, né con (clicca–>) capèzze, cavezza, briglia.

A volte è molto complicato riuscire a trovarlo, così scovare il bandolo o sbrogliare la matassa significa risolvere un problema, superare una difficoltà.

Analogamente, in dialetto capízze assume il significato di soluzione (di un problema), rimedio.
Nge sté capízze pe ‘stu mbrugghje =non c’è rimedio per questo imbroglio.
N’arrevéme a truué capízze =non arriviamo/non riusciamo a trovare il bandolo, a raccapezzarci.
Da notare che anche il verbo italiano “raccapezzarsi” ha lo stesso etimo.

A volte il rimedio può essere buono o cattivo.

Ricordo il mio maestro elettricista, Tonino Paravùzze Rinaldi che – quando le matasse di filo si imbrogliavano e diventava difficile trovare il capo giusto – diceva: pe truué u capízze bbùne ‘ma chjamé ‘u nucchìre! = per trovare il bandolo buono dobbiamo chiamare il nocchiere) .

Oggi il termine è in disuso, tranne forse tra i sarti o nella marineria.»
(Matteo Borgia)

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Pannazzére

Pannazzére s.m. = Venditore di stoffe

Il venditore di “panni”, cioè tessuti, stoffe e fodere per abiti, ecc.

Una volta il commercio era prevalentemente svolto da venditori ambulanti, con un carrettino tirato da un ciuchino o spinto da un ragazzino.

Ricordo diverse categorie di ambulanti: fruttivendoli, lattai, carbonai, piattai, arrotini, stagnini, fornai, merciai (bottoni, candele, lucido per scarpe, spilli, elastico per mutande, aghi e ditali, ecc.) e lavoranti a domicilio, chiamati al bisogno (lavandaie, materassai, pettinatrici, pseudo-infermieri per le iniezioni).

C’era addirittura un “dentista” ambulante, un praticone cavadenti, detto türa-jagnéle = tira-molari.

Nel nostro caso il pannazzére era il fornitore specifico per sartorie da donna e da uomo.
Anche richiesto da casalinghe per confezionare in casa lenzuola, federe, mutande e sottovesti.
Addirittura le nostre mamme erano così brave da confezionare camicie da uomo e tovaglie ricamate.

Con la scomparsa della figura dell’ambulante, il termine pannazzére è ormai fuori uso, come il più antico sinonimo (clicca→) scitére (dall’arabo shitan)= panno, tessuto, stoffa.

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