Mese: Maggio 2018

La pulènde, prüme t’abbòtte e pò t’allènde

La pulènde, prüme t’abbòtte e pò t’allènde

La polenta, prima ti gonfia, poi ti svuota.

La polenta a Manfredonia era quella preparata col semolino, la summeléte, e non con la farina di mais come si usa al Nord d’Italia.

Era ritenuto di scarso valore nutritivo, che ti dava immediatamente una bella sensazione di sazietà, ma presto, poiché facilmente digeribile, ti svuotava lo stomaco lasciandoti la sgradevole inestinguibile sensazione di fame.

La farina di mais era, ed è usata solo per farne scagghjùzze

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La morte de Crìste, ‘a fèste ‘i Giudüje

La morte di Cristo (diventa) la festa dei Giudei.

È un proverbio dal risvolto amaro. Cioè si evidenzia che la gioia di qualcuno scaturisce dal patimento di qualcun altro.

Esiste anche, con lo stesso significato il Detto: “Spartìrece i veste de Criste”: dividersi le vesti di Cristo, ossia quello che rimane al disgraziato, dei suoi averi

Per estensione si può dire che il frutto del durissimo sacrificio degli ascendenti defunti diventa una ricchezza che si godono, spesso indegnamente, i loro eredi.

Giudüje è il plurale di Giudöje = Giudeo, ebreo, israeliano, sionista.

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A la fìgghja vertevöse

A la fìgghja vertevöse

Tènghe ‘na figghja vertevöse,
ogne büche jì na pertöse.
Oh che fìgghje oh che fìgghje,
ùcchje da före a chi ce la pìgghje!

Ho una figlia virtuosa, (è così una brava sarta che fa di) ogni buco un’asola. Oh che (brava) figlia, oh che figliola, una meraviglia per chi se la piglia.

La mamma vanta le virtù della propria figliola: è bravissima in sartoria. Chi se la prende come moglie resterà con gli occhi sbarrati (alla lettera occhi di fuori dalle orbite) per lo stupore di scoprirne la bravura.

L’aggettivo vertevöse = virtuosa è ormai desueto, e credo che venga usato oggi solo dalle persone molto anziane. Presumo che si usi di più aggarbéte.

Mi viene a mente il suo contrario, cioè sbertuéte o svertuéte = priva di virtù.

Grazie a Enzo Renato per il prezioso apporto, che mi ha consentito la stesura di questo articolo.

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La cumbedènze jì ‘a mamme d’a mala crianze

La cumbedènze jì ‘a mamme d’a mala crianze

La confidenza genera maleducazione.

I genitori e gli educatori in genere devono saper mantenere il distacco dovuto al proprio ruolo. Se un insegnante entra in confidenza con l’allievo, cade il rispetto reciproco, e il giovane non sa distinguere più i limiti entro cui può muoversi.

Mi viene a mente il notissimo mazza e panelle….

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A cöse ammuccéte, nen chéche la mòsche

Traduzione: (sul)la cosa nascosta, non caca la mosca.

È un invito alla discrezione, ad agire senza dare nell’occhio, a non mostrare il fianco a critiche, a nascondere le proprie debolezze.

Diventa facile per gli altri scoccare frecciate, o pugnalate (metaforiche) perché si diventa bersagli viventi (sempre come metafora), soggetti a critiche o a derisioni. Difficilmente a consensi o lodi.

Anche questo, come tutti i proverbi, è improntato alla prudenza.

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A chiómme jéme a chiómme, a levjille jéme a levjille e ‘u palazze ce ne vé stùrte!

A chiómme jéme a chiómme, a levjille jéme a levjille e ‘u palazze ce ne vé stùrte!

Abbiamo lavorato giusto con il filo a piombo, e anche con la livella: tuttavia la costruzione non riesce tanto bene perché il palazzo è un po’ pendente.

Hanno usato gli attrezzi giusti, ma non sono in grado, evidentemente, di usarli nel modo appropriato.

Un simpaticissimo proverbio che evidenza la scarsa abilità degli improvvisatori. In questo caso il muratore nonostante abbia usato il filo a piombo e la livella, strumenti che avrebbero dovuto indicargli la via giusta per edificare, riesce solo ad alzare pareti storte.

Siu usa quando tutti affermano di aver agito correttamente ma il risultato non è quello desiderato.

Grazie a Enzo Renato per il suggeriment

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A chi ruméne zïte nen cercànne cunzìglje e sòlde ‘mbrjiste

A chi ruméne zïte nen cercànne cunzìglje e sòlde ‘mbrjiste

A chi rimane celibe/nubile non chiedere consigli e soldi in prestito.

Si ritiene, forse erroneamente, che una persona rimasta single (per scelta o per sorte), non avendo avuto una propria famiglia, non sia capace di cogliere le necessità, morali e materiali, di un genitore che si rivolga ad essa per chiedere un consiglio o un prestito in denaro.

Perciò il Proverbio ordina – in caso di necessità – di non rivolgersi a costoro perché la risposta sarebbe inesorabilmente negativa o inadatta ai propri bisogni; meglio rivolgersi ad una madre di famiglia, più comprensiva e generosa.

Esiste un altro proverbio molto simile (clicca qui)

Nota linguistica.
Il termine züte , (si può scrivere correttamente anche zïte perché omofono), inteso come aggettivo indica lo stato si celibato /nubilato.
Per esempio: Giuànne jì zïte = Giovanni è scapolo; Cungètte jì zïte = Concetta è nubile.

Inteso invece come sostantivo invariabile, indica la persona promessa o prossima alle nozze (‘u zïte e la zìte = i fidanzati, gli sposi).

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A chi nen töne fìgghje, nen dumannànne fùche e cunzìglje

A chi nen töne fìgghje, nen dumannànne fùche e cunzìglje

A chi non ha figli non chiedere né fuoco, né consigli.

Il proverbio vuole evidenziare l’amore dei genitori pronti a sopportare qualsiasi sacrificio per i propri figli.

Purtroppo, loro malgrado, coloro che non hanno avuto figli, non sanno elargire consigli appropriati né tantomeno solidarietà o generosità perché non riescono a concepire la spinta sublime dell’amore che causa solidarietà protezione verso le creature altrui.

Quando non erano diffusi i termosifoni, si andava a chiedere alla vicina anche un carbone acceso per innescare il fuoco al proprio braciere.

Esiste una variante di questo proverbio (clicca qui)

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A chi dé, a chi combromètte

A chi dé, a chi combromètte

Alla lettera significa: a chi dà (percosse) e a chi coinvolge, compromette.

È la definizione di un tipo gradasso, borioso, smargiasso, presuntuoso, spaccone e rissoso (per oggi basta).

Insomma meglio tenerlo lontano perché facilmente coinvolge gli astanti nelle sua fanfaronate. Vuole essere sempre al centro dell’attenzione, nel bene, ma sopratutto nel male. Vuole sempre avere prepotentemente l’ultima parola perché si ritiene infallibile, il migliore.

In Abruzzo dicono, in versione leggermente diversa accettata anche da noi, che il tizio a chi mena (percosse) e a chi promette (ossia minaccia di bastonare).

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A chése de sunatüre nen ce pòrtene serenéte

A chése de sunatüre nen ce pòrtene serenéte

A casa di suonatori non si portano serenate.

Il proverbio ammonisce i vari opinionisti a non propinarci i loro consigli, di non venire a dare il loro parere proprio a noi che di un certo argomento abbiamo avuto lunga esperienza e sappiamo come agire al meglio.

Come dire: ma lo vieni a dire proprio a me?

Più sinteticamente ho letto da qualche parte:
«Meglio evitare di avventurarci in consigli su un determinato argomento a qualcuno che proprio su quell’argomento è molto preparato.»

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