Autore: tonino

Škattamurte

Škattamurte (šcattamurte) s.m. = Becchino, beccamorto, affossatore

Persona addetta a inumare (‘nfussé= posare nella fossa) i morti, o a riesumarli (sfussé= torgliere dalla fossa) per tumularli nei loculi (nìcchje).

Secondo me questo termine deriva dal fatto che non tutti conoscevano il latino. Al termine della consueta preghiera prima della sepoltura, il sacerdote diceva “requiescat in pacem”, ossia riposi in pace.

All’orecchio del popolino l’imperativo “requiescat” era inteso come duplice invito: “rèquie-e-škatte”. L prima parte, “requie” , veniva capita bene come un’esortazione: “riposa”, ma quel misterioso ”scat” poteva sembrare l’invito finale a deporre il morto sotto terra.

Chi faceva quest’operazione? Ovviamente lo “schiatta-morti….”

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Škattamjinde (a)

Škattamjinde (a) (o a šcattamjinde)s.m. = Dispetto, provocazione, ripicca

Gesto compiuto espressamente per infastidire, per danneggiare qcn. o qlco; sentimento di astio, di contrarietà.

L’agghje ditte de sté cìtte ma ‘sti desgrazzjéte ‘u fanne a škattamjinde = Ho detto loro di stare zitti, ma questi mascalzoni lo fanno a dispetto (a non zittirsi).

Si può dire anche a crepé ‘ngurpe o a škatté ngurpe

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Škatta-vernùcchje

Škatta-vernùcchje šcatta-vernùcchje  soprann. = Schiaccia-bernoccoli

Un’attività insolita.

Ricordo benissimo che per impedire che il bitorzolo di sollevarsi oltre misura, la suora del’Asilo fasciò con una benda la mia testa, e tra le pieghe mise una moneta per fare pressione. Il bernoccolo non si alzo, in compenso le mie occhiaie si annerirono come se avessi la maschera di carnevale.
L’episodio mi è rimasto così ben fissato  in mente (parlo di qualche dbe fa!) che rammento ancora il nome del discolo, Franchino, che mi fece ribaltare dal mio seggiolino e che mi provocò il bernoccolo……..

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Škatàsce

Škatàsce o Scatasces.m. = Sfacelo

Sfacelo, decadimento, crollo, catafascio, rovina, finimondo, trambusto. Anche in senso figurato

‘Nziamé lu vöne a sapì ‘u fréte, uà venì ‘nu şkatasce! = Non sia mai lo viene a sapere il fratello deve succedere un finimondo!

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Škaröle

Škaröle ( o škaróles.f. = Indivia

La verdura si suddivide in due specie principali, entrambe contraddistinte da un buon contenuto di vitamina A: l’indivia liscia e l’indivia riccia.

1 – la škaróle, propriamente detta (Cichorium endivia latifolium) ottima lessata e condita con un filo d’olio: leggera, dolce, decongestionante.
Il prodotto, in entrambe le specie, è costituito dal “cespo” e cioè dalla rosetta di foglie che coronano il brevissimo fusto e che nella fase di accrescimento si sovrappongono e si serrano in un grumolo, detto cuore, più o meno compatto.

 

2 – la škaröla rìcce (Cichorium indivia crispum), usata per lo più cruda, in insalata da sola o assieme a lattuga e ad alti vegetali

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Škardògne

Škardògne (o Šcardògne  sopr. 

Il nomignolo – anche nella sua variante Škardüne Šcardïne  – fu da alcuni bandisti affibbiato affettuosamente al sarto Francesco Paolo (detto Nicola) Scardino, suonatore nella Banda cittadina, acceso antifascista e di idee repubblicane.

In epoca mussoliniana, la Banda era chiamata a rendere solenne qualsiasi ricorrenza “patriottica”: Ogni volta si doveva eseguire obbligatoriamente la “Marcia Reale” e l’inno fascista “Giovinezza”.
Il nostro Nicola,  per coerenza, ogni volta si rifiutò di suonare questi pezzi inneggianti al Re e al Duce, invisi alle sue convinzioni, e per questo dignitosamente ripiegava sotto il braccio il suo flicorno.

Per questo suo atteggiamento incorse nei rigori degli intransigenti gerarchi locali.  Infatti fu più volte ammonito, poi malmenato con altri repubblicani, costretto a ingerire l’olio di ricino (simpatiche usanze dell’epoca), e addirittura mandato al confino come sovversivo.  (Notizie attinte dal libro di Franco Rinaldi “Il Concerto bandistico di Manfredonia”).

L’atteggiamento coerente di quest’uomo deve insegnare qualcosa ai nostri signori politici, che saltano disinvoltamente nei vari schieramenti, ma anche a noi, normali cittadini, uomini della strada.

Per la sua coerenza Scardino mi è estremamente simpatico, non lo nego, al di là di ogni credo politico. Un pensiero di  rispetto e di ammirazione mi sgorga dal cuore quando, andando a visitare i miei cari al cimitero, passo davanti al suo loculo e vedo questa foto sulla sua lapide.

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Škàppe

Škàppe s.f. = Papavero; Scheggia; Goccia

1) = Scheggia. Truciolo tagliente di legno che ferisce le mani di chi maneggia senza protezione oggetti non rifiniti, detta anche škappetèlle.
Può indicare in ebanisteria anche un rialzo di legno usato per livellare una sedia o un mobiletto che zoppica. Anche per chiudere una fessura in fase di restauro o di rifinitura di un mobile.

2) = Goccia. Usato nella locuzione škappe de sedöre = gocciole di sudore, anche figuratamente, per indicare la grande fatica sopportata per ottenere un risultato apprezzabile. Anche škappe de làgreme, per indicare grandi lacrime, nel senso di pianto dirotto o anche grandi pene sofferte in passato.
Equivale a sanghe e sedöre = sangue e sudore, o come disse Churchill: lagrime e sangue.

3) = Papavero. Fiore di papavero rosso selvatico (Papaver rhoeas) della famiglia delle Papaveracee, detto rosolaccio, abbondantissimo nei campi all’epoca della maturazione del frumento.

4) fino agli anni ’50, veniva usato škappe anche per designare una donna di facili costumi.

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Škanüje

Škanüje s.f. = Caldana

Sensazione improvvisa di calore al capo con arrossamento del viso e sudorazione.

Fenomeno fisiologico femminile dovuto alla menopausa.

Si manifesta anche anche ai maschi a seguito di un forte stato emotivo, di ansia, di incertezza, di paura..

Mamme m’ho ‘ccundéte ‘u sùnne ca ho fatte jèsse, e mo’,  škìtte ca pènze, me vènene ‘i  škanüje = Mamma mi ha raccontato il sogno che ha fatto lei, e ora solo che ci penso, mi stanno venendo le caldane

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Škanéte

Škanéte s.f. = Pagnotta

Impastare il pane si dice tembré.
Spezzarne delle parti per dividere la massa cruda dicesi škané ‘u péne (dal latino explanare ), ossia  spianare la pasta lievitata per fare le forme di pane.
Quindi il termine škanéte  significa letteralmente spezzata, tagliata.

Il termine “scanata” è usato anche in Sicilia, in Campania, in Basilicata e in Calabria.

La škanatèlle una una pagnotta di pane più piccola, del peso fino a un chilo. Un po’ per volta si è passati a dire pagnuttèlle.

Quelle “normali” arrivavano a pesare anche fino quattro kg.  In casa si impastava una massa enorme (anche di dieci kg) di farina, perché il pane era la base principale dell’alimentazione delle famiglie numerose.

Dalla pasta si ricavavano le varie pagnotte, 3 o 4. tagliandole, senza usare coltelli, ma mozzandole con le mani. Si riteneva che il freddo della lama potesse bloccare la lievitazione.

Non esistevano forni domestici, e per la cottura – anche di scavetatjille, rjanéte, puperéte, ecc. –  si ricorreva al forno pubblico alimentato a legna (Sfaìlle, Zappetèlle, Grasso, Ze Züje, Gambardella ed altri…)

Mi ricordo che, prima di introdurre il pane,  quando il forno era ancora in fase di riscaldamento, vi si cuocevano il “Tortanello” (una sorta di ciambellone di pasta di pane) e la “Pizza alla vampa” (focaccia semplice con pomodori olio e origano) che richiedevano pochissimo tempo di cottura.

Il rito della panificazione domestica ci permetteva  di gustare queste squisitezze molto prima dell’arrivo del pane .  Era un graditissimo… effetto collaterale.

In alcuni paesi dell’interno garganico, prima di infornare il pane, per provare se il forno era giunto a temperatura giusta, di poneva a cuocere un po’ di pasta lievitata. Si otteneva una specie di panino a ciabatta, detto ‘u perruzze o anche ‘a papòsce.  Questo termine designa ora una specialità offerta nei menu delle pizzerie locali.

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Škànde

Škànde s.m. = Spavento, paura.

Paura intensa e improvvisa provocata dalla consapevolezza o dalla sensazione di un pericolo o di un danno.

Agghje pegghjéte ‘nu škande = Ho preso uno spavento. (similmente si può dire: so’ škandéte, dai verbi škandév.t., škandàrecev.i., spaventare,spaventarsi

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