Categoria: C

Caccé ‘u diàvele 

Caccé ‘u diàvele loc.id. = Esorcizzare

Non si tratta di fare un esorcismo vero e proprio.
Occorre fare un po’ di flash-back, ritornare indietro all’epoca preconciliare, per intenderci prima degli anni ’60.
Allora la Pasqua di Resurrezione veniva celebrata solennemente a mezzogiorno del sabato Santo in Cattedrale.

Al suono delle campane, che erano “legate” nel triduo Pasquale, cioè mute, si “scioglievano” suonando a distesa in tutte le chiese a mezzogiorno in punto.

Allora alcuni monelli, che pazientemente avevano preparato trenini di lattine vuote legati da una funicella, correvano per le strade del paese inseguiti da altri compagni armati di bastoni che colpivano la ferraglia con grande fracasso, gridi ed esortazioni: “vattì, vattìnne da quà” = vattene, vattene da quì. Era un rito liberatorio, era la cacciata del diavolo, una specie di purificazione.
La masnada talvolta terminava la corsa forsennata nel cortile del Palazzo episcopale, forse i attesa di una improbabile “benedizione” al termine di un rito paganeggiante.  Il Presule benevolmente a volte lanciava caramelle ai monelli.

Il Concilio Vaticano II ha riportato il rito di Pasqua a mezzanotte, come quello di Natale. Da allora non si sentono più per le vie le rumorose “cacciate”.

Qualcuno lo fa in privato, senza disturbare i vicini, in ossequio al regolamento condominiale… Non si sa mai, magari scaccia la jella!

Ringrazio Umberto Capurso per avermi fornito il bellissimo scatto di Matteo Losciale ripreso in Via Porto, la discesa che costeggia la Villa, subito dopo la Chiesa Stella.

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Cacchjöle

Cacchjöle s.f. = Asola

Asola, occhiello, alamaro per abbottonare giacche, cappotti, pantaloni, sandali, ecc.

Si chiama cacchjöle anche l’annodatura di un laccio, o di una fettuccia, o di un nastro, che si scioglie tirando uno dei suoi due capi.

Presumo che cacchjöle significhi propriamente “piccolo cappio”

In questo caso c’è un sinonimo simile all’italiano nocca: “la nnòcche”

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Caccialèpre o Caccialèngue

Caccialèpre o Caccialèngue s.f. = Caccialèpre


E’ una pianta commestibile (Reichardia picroides) che cresce in zone sassose nelle balze e zone sabbiose vicino al mare. Si utilizzano le rosette fogliari basali, crude in insalata, sole o accompagnate da altre specie erbacee commestibili

A Roma lo chiamano Caccialepre, in Toscana Terracrepolo o Grattalingua.

Curiosità attinte dal web:

Etimologia del nome scientifico Reichardia picroides:
Il primo termine del binomio è dedicato al medico e naturalista tedesco J. J. Reichard, mentre il secondo deriva dal greco picros = giallo, con riferimento al colore dei fiori.

Etimo del nome volgare:
Il termine Caccialepre ha etimo incerto, sembra tuttavia (DURO, 1986-93); che esso sia composto da un primo elemento alterato: caccia(re) e la lepre; cioè erba utile come esca per cacciare la lepre. Il dialettale Caccialebbre non ha nulla a che vedere con la malattia infettiva; è un meridionalismo; infatti in questo contesto linguistico lebbre significa la lepre, non lebbra.

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Cacciamanjille

Cacciamanjille s.m. = Coprifasce

Era una camicina di cotone finissimo, con abbottonatura posteriore, che si faceva indossare al neonato dopo l’imbracatura con il pannolini di tela e la fascia larga.

Il vocabolo viene da Cacciare le manine.

Il primo indumento indossato dai poppanti.

Marje’, mamme t’ho recaméte ‘nu bèlle caccjamanille p’u uagnöne! = Marietta, la mamma ti ha preparato una bella camiciola per il bambino

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Cacciambére

Cacciambére agg. = detrattore, diffamatore

Altri pronunciano caccianféme o caccianfiéme, cacciambiére.

Un termine ormai desueto derivato dalla combinazione caccia = che emette, che diffonde, e ‘nféme/mbéme  = (cose) infami.

A parer mio la desinenza –mbére evidenzia che  costui commette queste meschinità per natura, quasi per mestiere. Infatti altre lavoratori hanno la stessa desinenza in -ére (che corrisponde all’italiano –aio):  funére, scarpére, cavedarére, marenére, lattére, sellére, ecc.

Difatti si dice caccé ‘na calónnje = diffondere una calunnia, calunniare.

Sono propenso ad allacciarmi all’etimologia di caccia-nféme abbreviato nella parlata in “cacciambéme“, e poi trasmesso di bocca in bocca con le ovvie desinenza storpiate (-éne, -ére, -éle).

Un mio antico informatore mi suggerisce la definizione di “calunniatore” ossia: colui che emette menzogne, che diffonde falsità, che infanga l’altrui onorabilità.
Un termine obsoleto,  conosciuto ormai solo dai più anziani.

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Caccianózzele

Caccianózzele s.f. = Nòcciolo

È la parte più interna, legnosa e non commestibile dell’albicocca (Prunus armeniaca).

Una volta si usavano per giochi fanciulleschi, in mancanza di biglie.

C’era anche il rigattiere Gennarino che comprava i semi amarissimi contenuti all’interno dei nòccioli. Non sono mai riuscito a capire a chi potessero servire….

Qualche nonnina teneva gli stessi semi in acqua per molti giorni per far perdere loro tutto l’amaro. Poi da essi otteneva una specie di sciroppo orzata, detto ‘u latt’amènele, ossia “latte di mandorle”,  non so con quale metodo, per una rinfrescante bevanda estiva.
Occorre specificare che il vero latte di mandorla, ossia ottenuto dalle mandorle, ai nostri tempi era del tutto sconosciuto.

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Cacciüne

Cacciüne s.m. = Gattuccio; cagnolino.

1 – Pesce di mare (Scyliorhinus canicula) appartenente all’ordine degli Squaliformi; è un piccolo squalo dalla pelle maculata che può raggiungere dimensioni di 30-40 cm. La forma è più tondeggiante e meno affusolata degli altri squaliformi. Pur essendo un piccolo pescecane, non è per nulla pericoloso per l’uomo.

Anzi, è ricercato per le sue carni. È usato in cucina, una volta spellato e tagliato a pezzetti, per preparare un’ottima pietanza in umido o semplicemente infarinato e fritto.

In Romagna lo chiamano smeriglio per la caratteristica della sua pelle, rugosa e ruvidissima, come la “tela smeriglia” usata dagli artigiani per levigare il legno o i metalli.

2 – Il termine cacciüne è usato anche per indicare un cane di piccole dimensioni.
Più frequentemente viene adoperato il diminutivo cacciunjille =cagnolino, cucciolo di cane.

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Cacciunjille 

Cacciunjille s.m. = Cagnolino

Per indicare un cane di piccole dimensioni, si usa generalmente il diminutivo cacciüne = cagnetto, cagnolina, quando dal contesto si evince che si parla di cani. Difatti il sostantivo cacciüne indica anche il pesce Gattuccio

Più frequentemente viene adoperato il sostantivo invariabile cacciunjille =cagnolino, che ha un significato univoco, proprio per evitare confusione.

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Caccrjésce!

Caccrjésce! Escl. = Accidenti, maledizione, mannaggia!

Esclamazione di stizza o anche di bonario rimprovero.

Caccrjésce a ttè! Nenzì bbune manghe a ‘nzacché ‘nu chiùve! = Accidenti a te, non sei capace nemmeno a piantare un chiodo!

È una contrazione in forma eufemistica del blasfemo “mannaggia chi ti ha creato”, un improperio lanciato contro Dio.

Prima si è tentata la bestialità e poi si è frenato nell’enunciare l’imprecazione.

Come quando si lancia l’invettiva contro la Madonna, e poi, arginando, la si dirige contro la Maiella!
O, per salvare Cristo, il bersaglio diventa Cristoforo Colombo.
Oppure quando con un innocuo “Perdinci” si evita la sacrilega bestemmia contro Dio.

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Caché au làrje

Caché au làrje loc.id. = Discostarsi, scacciare, espellere

Alla lettera significa: Defecare al largo.

Il simpatico Lino Brunetti, frequentatore di queste pagine mi ha mandato le sue spiegazioni di questa locuzione.

1) – Caché au làrje = Discostarsi.

È l’espressione letterale e sintetica che esprime un profondo concetto, frutto di conoscenza ed esperienza.

Se mentre ti fai il bagno sulla spiaggia ti colpisce una urgenza fisiologica immanente, ti consiglio di nuotare molto al largo, in maniera tale che il frutto dei tuoi sforzi fisiologici venga ghermito dalle correnti marine d’altura e trasportato ancora più lontano dalla riva.

In caso contrario, se invece ti accontenti semplicemente di allontanarti dalla folla dei bagnanti, quel frutto fisiologico che, come si sa, galleggia sempre, viene preso dalla risacca delle onde e, prima o poi, ti troverai a fare il bagno…. nella merda!

2) Caché au làrje = Scacciare, espellere, mandar via.

Usato metaforicamente, può essere l’invito pressante e perentorio che un sapiente rivolge a chi, marito o fidanzato, orienta le proprie attenzioni ad una vicina di casa o, peggio, ad una parente, tipo cognata o cugina che, come si dice, “ce frèchene in prime”.

‘U ggio’, prüma ca te succiöde quacche-cöse, va chéche au làrje, va! = Giovanotto, prima che ti ritrovi in barella, (ti consiglio di) girare al largo. Aria! Smammare!

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