Tag: Locuzione idiomatica

N’avènne chjacchjere

N’avènne chjacchjere = Non dire sciocchezze

È una locuzione amichevole per interrompere qualcuno che racconta panzane, esagerazioni di gesta inverosimili, ecc.

Il fatto di invitare l’interlocutore a non dire stupidaggini, a non tergiversare, a non ostinarsi in certe idee, è di uso esclusivo ed accettato in un gruppo amicale.

Difatti molti usano un linguaggio meno sofisticato e direttamente in lingua: «Non dire stronzate!»

Non è ammesso rivolgersi con n’avènne chjacchjere a un insegnante, ad un genitore, ad Agente delle Forze dell’Ordine ecc.

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Fàrece quante ‘na quarte de péne

Fàrece quante ‘na quarte de péne loc.id. = imbarazzarsi

Alla lettera significa “farsi [ridursi, diventare] quanto un quarto di pane”

«Provare tanto imbarazzo, farsi piccolo piccolo (metaforicamente), voler diventare invisibile agli occhi dei presenti.»

Mi piace aggiungere che si ha questa sensazione di volersi annullare, trovarsi altrove, quando si è davanti a una minaccia, ad una situazione molto spiacevole.
Difatti si dice anche, per esprimere lo stresso significato: “fàrece ‘na pezzechéte” = ridursi (sempre figuratamente) in minutissime particelle, come il sale fino o il pepe macinato, in modo che possa raccogliere in un pizzico.

In italiano si usa il verbo “sprofondare” nelle espressioni: “mi sarei sprofondato” oppure: “avrei voluto sprofondare”. Insomma, sempre metaforicamente, sottrarsi, preferire l’abisso ad una situazione spiacevole o imbarazzante.

Avevo già trattato i molteplici significati di quarte, al maschile e al femminile. Se volete curiosare cliccate qui.

Ringrazio Enzo Renato per avermi suggerito questa locuzione tipica pugliese e la lettrice Lina Scistri per l’azzeccata definizione sopra riportata fra virgolette.

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Accüme i crestjéne

Accüme i crestjéne loc.id. = a regola d’arte, correttamente

L’espressione è molto versatile ed è particolarmente usata da persone che amano le cose fate a puntino.

Nen me piàcene i cöse acciacciugghjéte. I cose ce hanna fé accüme i crestjéne! = Non mi piacciono le cose fatte alla Carlona! Le cose si devono fare come si deve!

I Francesi usano spesso dire “comme il faut” = come si deve.
Similmente si può dire fé i cöse aggarbéte, = fare le cose per bene (garbate)

Vi rammento che in dialetto il sostantivo crestjéne non ha una connotazione religiosa, nel senso di “seguace di Cristo”
Crestjéne (<–clicca) significa semplicemente “persona”.

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Pére e scummugghje

Pére e scummugghje loc.id. = Gira e rigira, alla fine

L’espressione dialettale vuol evidenziare la scoperta, anche casuale, di una verità nascosta.

Sembra che ci sia una certezza, ma dopo viene fuori una sorpresa, di solito non gradevole.

Giuanne assemegghjöve ca jöve onèste, ma pére e scummugghje püre jìsse avöve fatte ‘mbrugghje. = Giovanni sembrava che era onesto, ma gira e rigira, si è scoperto che anche lui aveva commesso malefatte.

Assemegghjöve tante aggarbéte! Pére e scummugghje jöve ‘nu ‘mbriacöne sfatjéte = Sembrva così ammodo! Alla fine si è rivelato ubriacone e scansafatiche.

Pére significa “pare, sembra, appare”.
Scummugghje significa “scopri”.

Insomma non è tutto oro quello che luccica.
Aveva ragione Andreotti: «A pensar male si fa peccato, ma spesso ci si indovina.»

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Sèggia Manzegnöre

Sèggia manzegnöre loc.id = Seggio episcopale, cattedra vescovile, faldistorio

In questo caso non si fa riferimento alla vera e propria sedia usata dal Vescovo, il monsignore durante la liturgia cui partecipa.

Si intende invece quell’antico gioco fanciullesco che in italiano era detto “gioco del predellino”.
Due bambini si pongono di fronte. Ognuno afferra con la propria destra il polso sinistro e con la mano sinistra il polso destro dell’altro.
Come si vede nella foto, si forma una specie di quadrato sul quale si siede un terzo bambino che viene così trasportato, come su una sedia gestatoria, per un tratto prestabilito, cantilenando:

‘A sèggia manzegnöre e ce assètte lu segnöre…= La sedia gestatoria su cui si siede signore…

Salvo poi a mollarlo a sorpresa, ad un cenno di uno dei “portantini”.
I bambini hanno le ossa di “gomma”, e fortunatamente non riportano conseguenze nel cadere sul pavimento.

Tutti quelli di età prescolare, in mancanza di giocattoli, si sono trastullati con questo giochetto.
Ora si sollazzano con le play-stationiPad o altre diavolerie: tutti giochi individuali. Puah!

Questo sistema “a sedia gestatoria” viene usato dagli adulti (Pompieri, Soccorritori della Protezione Civile, Medici del 118 ecc.)  nei casi di soccorso immediato a feriti da accostare all’autoambulanza, ove non si possa accedere la lettiga.
Ovviamente senza cascata finale!

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Accunté tutt’i püle

Accunté tutt’i püle loc.id. = Pettegolare, spifferare, spiattellare.

Alla lettera questa locuzione un po’ strana significa “raccontare tutti i peli”, ma è certamente più rispondente il significato di “raccontare per filo e per segno”.

Riferire senza riguardo cose riservate o segrete, sia per irresponsabile loquacità sia per malignità.

È spesso detto come un rimprovero verso qualcuno che usa sbandiera ai quattro venti ogni accadimento familiare, grande o piccolo.

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A bböne cónte

A bböne cónte loc.id. = infine, comunque

Si potrebbe tradurre con “ad ogni buon conto”. Ma ritengo che questa locuzione sia troppo letteraria.

Preferisco, nel parlare semplice, tradurre con:
insomma,
alla fin-fine,
tutto sommato,
concludendo,
finalmente, e simili.


A bböne cónte, se nen arrevöve jìsse, nen ce putöve accumenzé = Alla fine, se non arrivava lui, non si poteva cominciare.

A bböne cónte, döpe tanta concorse, ho truéte ‘na fatüje = Finalmente, dopo tanti concorsi, ha trovato un lavoro(*).

(*)Fino agli anni ’60 il termine lavoro era tradotto con fatüje = fatica, perché veniva associato ad attività che richiedevano sforzo fisico, con termine moderno detti “lavori logoranti” (quelli di fabbro, cavamonti, facchino, muratore, mietitore, zappatore, camionista, boscaiolo, ecc.).
Il lavoro intellettuale era ritenuto di second’ordine, perché non richiedeva l’uso di muscoli, quantunque sappiamo quanto sia sfiancante anch’esso.

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Besugne (avì a)

Besugne (avì a) loc.id = necessitare, occorrere, abbisognare

A volte viene pronunciata avì de besùgne = avere bisogno di

La locuzione descrive la necessità o il desiderio di avere qualcosa, di materiale (cibo, vestiti, ecc.) o immateriale (affetto, comprensione, compatimento, ecc.).

Mattöje ne jève a besugne de nesciüne perché ce le sépe sbrugghjé da süle. = Matteo non necessita di nessun aiuto perché sa vedersela da sé.

‘Mbàrete ‘nu mestjire, ca po’ quanne jéve a besùgne te pöte sèrve. = impara un mestiere, perché dopo, quando sarà necessario, ti può servire. Insomma, come dicevano gli antichi: “impara l’arte e mettila da parte”.

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Séne-séne (jèsse)

Séne-séne (jèsse) loc.id. =(Essere) totalmente schietto, senza malizia

Alla lettera vuol dire “sano-sano”. Come per dire ci sei cascato tutto intero alle fandonie che ti hanno propinato. Al femminile fa séna-sene.

Insomma chi è “sano-sano” è uno sprovveduto, candido, senza furbizia.

Ma sì pròpje ‘nu séne-séne! = ma sei proprio un ingenuo!
È un bonario rimprovero che si rivolge a qualcuno che per la sua schiettezza viene spesso raggirato da scaltri furbacchioni.

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A friške a friške

A friške a friške loc. id. = poco per volta

Acquistare generi alimentari di frequente ma in quantità ridotta, poco per volta, secondo la necessità, allo scopo di consumare sempre un prodotto fresco ed evitare gli sprechi..

Anticamente, in mancanza di frigoriferi, era prassi normale non fare grandi scorte di viveri perché si rischiava che andassero a male (guai!)

Oggi mettiamo tanto di quel cibo in frigo che talora ce ne dimentichiamo!

Mègghje accatté a friške a friške = meglio comprare un poco alla volta

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