Categoria: Proverbi e Detti

I chjàcchjere d’a söre nen còndene ‘a matüne.

I chjàcchjere d’a söre nen còndene ‘a matüne.

Le chiacchiere della sera precedente non valgono la mattina dopo.

Ancora una constatazione, semmai ce ne fosse bisogno, che verba volant, scripta manent = le parole volano e gli scritti rimangono.

Può essere una constatazione detta in generale o un’accusa indirizzata specificamente a una persona che con la notte ha cambiato opinione, atteggiamento, disponibilità.

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I chjacchjere sò longhe e la cannöle ce strüje

I chjacchjere sò longhe e la cannöle ce strüje

Questo antico proverbio significa, alla lettera: le chiacchiere sono lunghe e la candela si consuma.

Una agrodolce constatazione della mancanza di costrutto in una lunga diatriba. Si parla, si parla, ma non si viene mai a capo di nulla.

L’unico risultato evidente è quello della candela usata per illuminare il luogo, e che si sta consumando inutilmente.

Può essere usato in senso canzonatorio, tra amici, quando si sta per accomiatarsi, e vengono fuori proprio allora argomentazioni che portano il distacco a continui rinvii….
Meh, uagnü, i chjacchjere sò longhe e la cannöle ce strüje! = Beh, ragazzi, è l’ora di smettere!

Con la candela che si consuma esiste un altro Detto similare relativo alla processione

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I chjàcchjere so’ cüme ‘i cerése: jüne türa l’ate 

I chjàcchjere so’ cüme ‘i cerése: jüne türa l’ate prov.

Le chiacchiere sono come le ciliegie, una tira l’altra.

Aggiungo, non me ne vogliano le donzelle, che quando due o più di loro si riuniscono, è vero che il Signore sta in mezzo a loro, ma proprio per questo  dovrebbero stare attente…

Il Signore ha infinita pazienza, ma se le… ciliegie sono troppe può capitare che si trovino la lingua bloccata… 🙂

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I còrne d’i segnüre sò fïche, e còrne d’i cafüne sò nüce

Le corna dei signori sono fichi, le corna dei cafoni sono noci.

È un Detto antico riferito al potere spietato del denaro.

Le corna, i tradimenti coniugali, che si scambiano le persone abbienti non fanno rumore, nel senso che si mettono a tacere, comprando il silenzio e la complicità dei compagni di merende.

Vengono perciò paragonate ai fichi, morbidi cedevoli, che non fanno rumore quando si spostano dal cesto al vassoio.

Quelle degli altri poveracci fanno chiasso come le noci, quando si scaricano dal sacco al cestino, e rimbombano e sono riportate di bocca in bocca.

Sempre corna sono, ma quelle messe in atto dai ricchi sono definite “innocenti scappatelle” conosciute da pochi intimi o addirittura ignorate.

Quelle altre sono oggetto di spietate derisioni.

Il mondo è fatto così, purtroppo.

Ad Altamura il proverbio è simile, ma…cambia il materiale: quelle dei “signori” sono di bambagia, quindi silenziose; quelle dei “cafoni” sono di “amici”, quindi sono a conoscenza tutti quelli del gruppo, tranne ovviamente il povero cornificato. “Li corne d’i vellène sò d’amisce e chidde d’i segnure sò de vammèsce“: C’è anche un’assonanza fra amisce e vammèsce.

Ringrazio sentitamente il sig. Matteo Di Bari per lo spunto e la spiegazione forniti per consentirmi la stesura di questo articolo

Nota ortografica:
io adopero indifferentemente la “i” e la “u” con la dieresi (ï e ü) perché sono omofoni, ossia hanno lo stesso suono.
Infatti il plurale di fichi si può scrivere fïche o füche e – fateci caso – si leggono alla stessa maniera

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I fatte ca nen ce fanne nen ce sàpene…

I fatte ca nen ce fanne nen ce sàpene…

Il Detto completo recita così:

I fatte ca nen ce fanne nen ce sàpene, ma quìdde ca ce fanne, ce sàpene

Le azioni che non si commettono chiaramente non si sanno, ma quelle compiute trapelano e diventano di pubblico dominio.

Ecco un ulteriore invito alla prudenza e a comportarsi correttamente, perché prima o poi tutto viene a galla.

I proverbi quasi sempre si rivelano maestri di vita e, come dicevano gli antichi, saggezza dei popoli.

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I ferrìzze annanze e i sègge addröte

Le ferrìzze avanti e le sedie dietro. Credo che molti sanno che cosa sono le Ferrìzze (←clicca) = sgabello rustico di poco valore.

Il Detto si pronuncia a volte come una domanda: Ch’àmme fàtte  ‘i ferrìzze annànze e i sègge addröte? = Che abbiamo fatto, gli sgabelli avanti e le sedie dietro?

Come per dire: Ma come vi permettete di collocarvi in prima fila voi (che non valete niente = i ferrìzze) e ponete in secondo piano proprio noi (che siamo migliori = ‘i sègge)?

A volte è un risentito rimprovero: Ámme fàtte ‘i ferrìzze annànze e ‘i sègge addröte! = Bella roba! Avete dato importanza a gentaglia  da niente (invece di dare onore a noialtri!).

Orgoglio e suscettibilità a braccetto.

Qlcu cambia l’ordine dei fattori (i sègge addröte e i ferrìzze annànze), tanto il significato non cambia.

Origine del Detto: in tempi non troppo remoti, tutte le manifestazioni liete, matrimoni, prime comunioni, battesimi, feste da ballo carnevalesche (le famose “socie”) si svolgevano in casa previo svuotamento del locale del lettone, tavolini ecc.

Si disponevano le sedie tutte intorno per lasciare lo spazio al centro per ballare. Se i convitati erano molti si poneva in seconda fila un altro giro di sedie, e se queste non bastavano si ricorreva alle ferrìzze.

Era buona norma quindi porre a parete questi sgabelli e sistemare “alla veduta”, in prima fila verso il centro della stanza le sedie “buone”. Tanto là dietro nessuno avrebbe notato la differenza (la mancanza di spalliera o il fondo rustico). Quindi le ferrìzze dovevano stare “dietro”.
Metaforicamente si è passato alle persone, classificate in “sedie” e “ferrìzze”, come ho spiegato all’inizio.

Se non sono stato chiaro replicate

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I jùrne pàssene e la mòrte ce avveciüne

I jùrne pàssene e la mòrte ce avveciüne

I giorni passano e la morte si avvicina.

Questo Detto viene pronunciato diciamo in due parti. Uno degli interlocutori dice la prima parte: “i giorni passano” a qualsiasi proposito, solo per evidenziare ad es. il mancato introito di un credito, la tardiva maturazione dei pomodori, il rinvio di una causa civile, ecc.

Immediatamente un altro dei presenti completa la frase con “e la morte si avvicina”.

Lo sappiamo tutti che la morte un giorno si presenterà a chiederci di saldare il conto della vita. Ma non vogliamo che nessuno ce lo ricordi…. Allora con questa frase attesa/inattesa ci può scappare il sorriso.

Mi viene a mente la mitica Tina Pica, nei film di Totò: fratello, ricordati che devi morire!

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