Categoria: Proverbi e Detti

I pèttele ca nen ce màngene a Natéle…

I pèttele ca nen ce màngene a Natéle…

Proverbio completo:
‘I pèttele ca nen ce màngene a Natéle, nen ce màngene chió = Le pèttole che non si mangiano a Natale non si mangiano più.

Ossia afferra l’attimo, il giorno (il famoso Carpe Diem oraziano nella versione manfredoniana). Non lasciar passare il momento propizio perché non potrebbe più ripresentarsi.

Il mio amico Giuseppe Carpano mi ha suggerito una variante e una definizione da manuale:
I pèttele ca nen ge fànne a Natéle nen ge fanne manghe a chépe d’Anne = Le pettole che non si preparano a Natale, non si fanno nemmeno a Capodanno.

Ossia: Quando una determinata azione non viene conclusa nelle circostanze di tempo e di luogo più favorevoli, è difficile che venga portata a termine in altra occasione”.

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I pìsce malamènde ce tròvene de nòtte

I pìsce malamènde ce tròvene de nòtte

Variante I pìsce malamènde camìnene de notte..
Alla lettera si traduce: i pesci cattivi si trovano di notte, o camminano di notte.

Questo Detto è una metafora marinaresca, ripetuta dai nostri genitori, per metterci in guardia da cattivi incontri notturni con malintenzionati.

Col favore delle tenebre agiscono ladri, attentatori, fedifraghi, prostitute, spacciatori, ecc. Insomma i malazziunande, quelli che compiono cattive azioni.

La notte è il simbolo stesso del male. Difatti una cosa lecita si dice che è fatta “alla luce del sole”.
I nottambuli erano malvisti, perché considerati scansafatiche, senza mestiere, viziosi, addirittura pronti al crimine.

Insomma gente che è meglio tenere alla larga.

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I prudüte de cüle ce pàjene

I prudüte de cüle ce pàjene = i pruriti di culo si pagano.

Farsi venire i “prudüte de cüle” (impulso improvviso, voglia irrefrenabile) significa compiere deliberatamente un’azione rischiosa, essere incauti.

Si usa questa impellenza fisiologica, il prurito, per indicare qualsiasi azione rischiosa o avventata o imprudente compiuta per mostrare la propria risolutezza.

Ma gli spericolati spesso pagano a caro prezzo le conseguenze della loro azione scriteriata e senza ponderazione.

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I Sande fessjéte püre vanne ‘mbaravüse

I Sande fessjéte püre vanne ‘mbaravüse

Anche i Santi beffeggiati vanno in Paradiso..

Si cita questo proverbio quando si ci accorge che qlcu ci sta canzonando o tenta di imbrogliarci.

Allora, piuttosto che ricorrere alle mani, si ricorre rassegnati a questo detto.

La lingua parlata talora, sotto l’influenza dell’italiano, dice paradüse, con la ‘d’ anziché paravüse, con la ‘v’.

Per me vanno bene entrambe.

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I solde dell’usuréje ce li mange ‘u sciambregnöne

I solde dell’usuréje ce li mange ‘u sciambregnöne

I denari dell’usuraio se li gode il mangione, l’ubriacone, lo sfaticato…

Ho sentito qualcuno pronunciare usuréle, e credo che il termine sia più genuino, non contaminato dall’italiano.

L’usuraio fa una vita grama, da disgraziato, perché inesorabilmente è anche inguaribile taccagno e non spende mai un soldo per se stesso.

Alla sua morte ci sarà sempre qualcuno che se li godrà al posto suo.

Se vuoi sapere di più su sciambregnöne, clicca qui

Altri sostengono che i soldi dell’usuraio se li goda ‘u sciambagnére, no ‘u sciambregnöne.

L’antico termine sciampagnére (dal francese homme des champs =  uomo dei campi coltivati) definiva quel cafone che, rientrando in paese, scialacquava alla cantina tutta la paga di una giornata di lavoro.

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I sòlde fanne venì ‘a vìste ai cechéte

I sòlde fanne venì ‘a vìste ai cechéte

I soldi fanno ritornare la vista ai ciechi.

Sarà vero? Solo metaforicamente!

Per dire che anche i parenti più stretti mostrano i denti e sono pronti a darsi battaglia con carta bollata appena c’è sentore di denaro da dividere.

Variante del Detto:
I sòlde fanne japrì l’ùcchje ai cechéte = I soldi fanno aprire gli occhi ai ciechi.

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I spéde stanne appöse e i fòdere cumbàttene

Le spade stanno appese e i foderi combattono.

Ovviamente si parla un linguaggio figurato, perché nessuno si sognerebbe di affrontare un combattimento avvalendosi di inoffensivi foderi contro le combattive spade.

Si declama questa frase per evidenziare che. nell’affrontare una situazione difficile, si stanno usano mezzi inadeguati e perciò palesemente non efficaci.

In campo lavorativo talvolta mi è toccato “combattere con i foderi” contro una concorrenza decisamente più agguerrita….ma queste erano strategie aziendali di marketing mirate a un riassetto territoriale che è un po’ ostico da accettare dalle forze di vendita.

L’amico Michele Carbonelli commenta:
«Il riferimento è alle persone al top nel mondo della cultura, delle arti, della scienza, della scuola, dell’imprenditoria, dell’editoria, che declinano la partecipazione attiva alla gestione del Paese, lasciando che siano le mezze tacche ad essere elette e a gestire questa società complessa, multirazziale e sperequata.
I danni conseguenti sono incalcolabili per il bene nazionale e internazionale. Ecco allora persone ambigue, ignoranti, collusi col malaffare e prevaricatrici diventare figure di riferimento di questa nostra società. E come dicevi tu “sciabbele appese, fodere a cumbatte”»

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I uéje de la pegnéte li sépe la cucchjére

I uéje de la pegnéte li sépe la cucchjére

I guai della pignatta li conosce il cucchiaio.

Figuratamente significa che solo noi  – e non un osservatore estraneo – conosciamo fino in fondo i nostri problemi, i nostri guai, cosi come solo la cucchiaia, o il mestolo può sapere il  contenuto della pentola, perché ne è direttamente a contatto.

Nota linguistica:
In questo caso ‘a cucchjére è al femminile perché intende il cucchiaio di legno usato per rimestare la pasta in cottura nel pentolone, come quella più piccola (‘a cucchjarèlle) usata per rigirare gli intingoli nel tegamino.
Sempre al femminile, ‘ a cucchjére = la cucchiaia, indica anche la cazzuola dei muratori.
Ovviamente al maschile  ‘u cucchjére indica la specifica posata, come in italiano.

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I uéje vènene a cavalle e ce na vànne all’appjite

I uéje vènene a cavalle e ce na vànne all’appjite

I guai vengono a cavallo e se ne vanno a piedi.

Ossia i guai fanno presto a venire (velocemente, a cavallo), ma per andarsene, seppure se ne vanno, impiegano un tempo molto maggiore (lentamente, a piedi).

Il proverbio è antico e si riferisce al più veloce mezzo di locomozione conosciuto all’epoca: il cavallo.

Perciò: prudenza! Le mamme non si dimenticavano mai di raccomandarci la maglia di lana al cambio di stagione….

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Jà düce cjinde vòlte “cazze” pe fé ‘nu pecchéte

Jà düce cjinde vòlte “cazze” pe fé ‘nu pecchéte

Devo dire cento volte “cazzo” per fare un solo peccato.

È la giustificazione di chi nel suo intercalare, aggiunge spesso “cazze”. Lo dice meccanicamente quando qlcu glielo fa notare.

In effetti dal punto di vista morale non è una gran mancanza, magari è solo un colorito rafforzativo buttato giù quando è necessario. Come il vino: usato con sobrietà fa bene, ma se usato in gran quantità causa le stragi del sabato sera.

Se è ripetuto due o tre volte in una sola frase allora sì che comincia a diventare turpiloquio.

Ricordate il lamento del cliente del sarto? È un vero e proprio sfottò cazzoso.

Guardate anche Ngiamarüje cazze-cazze!

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