Categoria: Proverbi e Detti

Mené ‘a fàcce de Gése Crìste pe’ ‘ndèrre

Mené ‘a fàcce de Gése Crìste pe’ ‘ndèrre

Buttare il volto di Gesù Cristo per terra.

Scartare, eliminare, gettare via qcs. di eccellente, anche figuratamente, in quanto rutenuto inservibile.

Non avere il nimimo segno di rispetto verso un benefattore, essere ingrati, o non apprezzare le proprie condizioni, ritenendole inadeguate alle attese.

E questa sottovalutazione riguarda sia la propria salute, sia la propria agiatezza economica.

Succede infatti che si è portati a lamentarsi del proprio stato senza aver guardato altri che stanno molto, ma molto peggio di sé.

È come se facessero un’empietà, come infangare il volto Cristo buttandolo per terra.

Nen parlànne acchessì, tó mò sté menènne ‘a fàcce de Gese Crìste pe’ ‘ndètte = Non parlare così, tu ora stai mostrando ingratitudine.

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Mène e manuzzèlle…

Mène e manuzzèlle…

Questa filastrocca è la colonna sonora di un giochino che le amorose mamme facevano con il loro bimbetto, accavallando alternativamente una sua mano a quella del figlioletto, allo scopo di farlo familiarizzare con la parlata:

Méne e manuzzèlle
preparéme ‘a zuppetèlle:
mettüme péne e vüne,
facjüme ‘a zóppe a Gesó Bambüne.

Gesó Bambüne anghjéne anghjéne
e vé a sunéje li cambéne.
‘I cambéne so’ stéte sunéte
e tutte lu mónne ce jì salvéte!

Mano e manina, prepariamo la zuppetta: mettiamo pane e vino, facciamo la zuppa a Gesù Bambino. Gesù Bambino sale, sale e va a suonare le campane. Le campane sono state suonate e tutto il mondo si è salvato.

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Mené l’acjüte ‘ngüle ai chéne

Mené l’acjüte ‘ngüle ai chéne

Significato letterale: fare delle perette di aceto ai cani randagi.

Cosa che nessuna persona di buonsenso si sognerebbe mai di fare.

Significato reale: non aver altro da fare, perché si è perditempo, sfaccendati, annoiati, fannulloni.

Ma che mestjire che töne Pasquéle? Uhm, vé menànne l’acjüte ‘ngüle ai chéne! = Ma che mestiere ha Pasquale? Uhm, è un perditempo, un fannullone, che non ha né arte né parte..

Cioè: “Ma, va fatüje, va!” = Ma vai a lavorare

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Mètte ‘u pèsce mocca alla jatte

Mètte ‘u pèsce mocca alla jatte

Mettere il pesce in bocca alla gatta.

Questo simpatico proverbio ci ammonisce di non agire troppo ingenuamente, di non offrire il fianco agli altri che potrebbero colpirti o criticarti. Ovviamente si tratta di linguaggio figurato.

Parlando sempre figuratamente, se metto un pesce in bocca alla gatta non posso certo attendermi che lo sputi fuori. Quella se lo mangia senza indugi perché ne è ghiotta.

Se lascio un’automobile con la chiave nel cruscotto e lo sportello aperto, invito un malintenzionato a farmela rubare.

Se lascio il fornello del gas acceso e me ne vado in un’altra stanza, devo aspettarmi un disastro.

Se in spiaggia mi metto al sole senza protezione vedrò alzarsi le bolle sulla pelle.

Se esco a torso nudo in pieno inverno mi buscherò una polmonite.

I nostri nonni si guardavano bene di lasciare soli in casa i nostri giovani genitori durante il periodo del loro fidanzamento, proprio per evitare sorprese da lì a pochi mesi!

Insomma la prudenza non è mai troppa.

Se non usiamo la prudenza qualcuno potrebbe agire secondo una sua logica non secondo le nostre attese.

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Mètte ‘u zuppe a ballé e ‘u sciàlepe a candé

Mètte ‘u zuppe a ballé e ‘u sciàlepe a candé

Alla lettera significa ordinare allo zoppo di ballare e al bleso di cantare.

Ossia, dare ordini sballati, cervellotici, inopportuni.

Tuttavia mi permetto di dire un paio di cose: i balbuzienti o i blesi, miracolosamente, se li metti a cantare – ammesso che non siano stonati – se la cavano egregiamente. E anche lo zoppo, arrancando, magari dà dei punti a coloro che si sentono normodotati.

Fanno bene, i portatori di handicap, a protestare: “Siamo diversi? Diversi da chi?!”

Non sottovalutate mai nessuno.

Allora è meglio usare la frase: urdené a papòcchje = dare ordini senza discernimento.

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Mètte au lìbbre ‘i mùrte

Mètte au lìbbre ‘i mùrte

Mettere nel libro dei morti

Questa locuzione viene riferita a un oggetto smarrito o a un credito irricuperabile. Ossia non fare più affidamento sul suo ritrovamento o ricupero.

Come se esistesse un libro dove annotare queste perdite (una improbabile contabilità).

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Mettìrece’u völe ‘nanze a l’ucchje.

Mettìrece’u völe ‘nanze a l’ucchje.

Alla lettera significa: mettersi in velo davanti agli occhi.

1 – Metaforicamente indica l’accecamento dovuto alla collera e alla stizza.

Esempio:
M’agghje mìsse ‘u völe ‘nanze a l’ucchje, nen agghje capüte cchjó njinde e l’agghje menéte ‘nu recchjéle
= Mi sono accecato dalla collera, non ho capito più nulla e gli ho mollato un ceffone.

2 – Corrisponde anche, sempre metaforicamente, all’espressione italiana di “turarsi il naso” o “tapparsi le orecchie” nel senso di non voler accettare in cuor proprio di eseguire un’azione ritenuta riprovevole, ma di essere costretti a compierla ugualmente.

I Latini dicevano Obtorto collo = Malvolentieri, a malincuore, forzatamente.

Esempio:
M’agghje mìsse ‘u völe ‘nanze a l’ucchje e l’u so’ jüte a truéje alla chése
 = Mi son coperto gli occhi e sono andato a fargli visita.

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Mìtte ‘u bóste ca la vüte ce aggióste

Mìtte ‘u bóste ca la vüte ce aggióste

Alla lettera: Metti il busto che la vita si aggiusta.

Il bustino migliora l’estetica della vita cioè dei fianchi.

In lingua corrente direi: indossa il “body” così il giro vita si modella meglio. Eh già! Il busto con le stecche. con i cordoncini, con duemila occhielli (una tortura per le povere donne), non si usa più.
Le donzelle di oggi adoperano il pratico body elasticizzato, con solamente due o tre gancetti per unire il davanti con il di dietro.

Un invito a mascherare la scarsa avvenenza (un brutto neologismo parla di inestetismi).

Per ogni donna è un vanto mostrare leggiadria, armonia, grazia e bellezza….. Insomma se c’è un po’ di ciccia, se proprio non si riesce ad eliminarla, bisogna comprimerla!…

Ringrazio Alfredo Rucher per il grazioso suggerimento.

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Mìtte acque e mìtte farüne…

Mìtte acque e mìtte farüne…

Detto completo:

Mìtte acque e mìtte farüne, crìsce, crìsce Sante Martüne
 = Metti acqua e aggiungi farina: cresci, cresci, San Martino.

Un augurio che la massaia faceva a se stessa quando impastava in casa il pane per il fabbisogno settimanale.

Vedi Sante Martüne, e benedüche

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Mìtte na cöse mméne a ‘na möpe, quèdde l’allonghe quande ‘na zöche

Mìtte na cöse mméne a ‘na möpe, quèdde l’allonghe quande ‘na zöche

Alla lettera: metti una faccenda in mano ad una sciocca, quella l’allunga quanto una corda.

Se affidi un compito ad una persona cocciuta o inesperta, inadatta, (o, peggio,  di scarsa intelligenza), quella lo porterà per le lunghe senza concludere nulla.

Come tutti i proverbi, anche questo invita alla cautela, alla prudenza.

Morale:  commetti un’ errore madornale se assegni qualcosa di delicato, importante o pericoloso a persone inesperte.
Perciò affidati sempre a qualcuno competente.

Grazie a Pino Carpano per il suggerimento-

Mi è venuto a mente un proverbio napoletano, attinente all’argomento della competenza:

Miette ‘a mèrde mmane ‘e criature = Metti le feci in mano ai bambini.

Immagina un po’ cosa combinerebbero dei bimbetti di tre anni a pasticciare con la cacca!

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