Categoria: Proverbi e Detti

Quìnece ajóste, màneche e bóste

Quìnece ajóste, màneche e bóste

Ferragosto, (è tempo di usare) le maniche (lunghe) e il corpetto.

Il Ferragosto era chiamato con il nome dlla data, ossia quìnece ajóste = quindici agosto.

Il termine Ferragosto, seppur molto antico di feriae Augusti, non è entrato nel nostro dialetto se non in epoca recente con un improbabile Ferrajóste o un improponibile simil-italiano Ferragòste.

Add’jì ca jéte ‘u quìnece ajóste? = Dove andate a Ferragosto?

Auànne ‘u quìnece ajóste jéme a Sammarchicchje = Quest’anno a Ferragosto andiamo al Borgo Celano (frz. di S.Marco in Lamis)

Torniamo al nostro antico Detto manfredoniano. esso vuol sottolineare che da metà agosto ormai non si verificherà più il gran caldo sofferto col solleone, e che pertanto bisogna modificare l’abbigliamento estivo. Meglio usare indumenti a maniche lunghe e giacchine.

A Potenza, trattandosi di località montana, c’è un Detto ancora più perentorio: “Ferraùste è capo de viérno” = Ferragosto, inizio dell’inverno. Regolatevi!

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Ròbbe te pòzze dé, ma sorta no.

Ròbbe te pòzze dé, ma sorta no.

Posso donarti dei beni materiali (la roba), ma non una buona fortuna (la sorte), perché darti quelli rientra nelle mie possibilità e capacità, ma darti l’altra no.

Ossia: posso mettere tutta la mia buona volontà per aiutarti, ma oltre un certo limite non posso andare.

Un po’ come ironicamente si dice che “per i miracoli ci stamo attrezzando”.

Ringrazio Enzo Renato per aver fornito questo antico Detto.

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Rósse e cavalle sfaccéte: spàrele ‘mbrònde appene néte

Rósse e cavalle sfaccéte: spàrele ‘mbrònde appene néte

Rossi di capelli e cavalli vivaci, sparagli in fronte appena nati.

Le persone di pelo rosso e i cavalli vivaci, erano ritenuti indomabili.

Una lettrice mi fa notare che c’è anche una variante che dice:

Rósse de püle e cavalle stelléte: spàrele ‘nghépe appene so’ néte = Rossi di pelo e cavalli stellati: sparagli in testa appena son nati.

Sono detti ‘stellati’ (dotati di stella) quei cavalli dal pelo scuro che mostrano una macchia di pelame bianco abbastanza regolare, da sembrare una stella, tra i due occhi. Evidentemente anche questi cavalli avrebbero rappresentato una fonte di preoccupazioni per il loro padrone. Sarebbe stato meglio eliminarli presto, come anche i simpaticissimi umani dal pelo fulvo…

Ovviamente sono tutte sciocchezze.

Aggiungo questa versione. suggeritami da m.pia75, al precedente mio articolo pubblicato nel 2007, datandolo 2009 Questo è il bello del nostro sito. Per le rettifiche non si deve aspettare una “ristampa”: si fa tutto on line.

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Röta-röte ‘i munacèlle

Röta-röte ‘i munacèlle gioco infantile

È un gioco fanciullesco, di solito praticato dalle femminucce, molto semplice, una specie di girotondo.

Tutti le bimbe ruotavano in cerchio tenendosi per mano, e, invece del solito “Giro girotondo…tutti giù per terra”, cantavano:

Röta-röte ‘i munacèlle.
‘i munacèlle pazziöse,
röta-röte Ginetta,’a pàcce!

Facciamo la ruota (del girotondo) come le monachine,
le monachine scherzose (o pazzerelle, a scelta)
ruota su se stessa Ginetta, la pazza…

Il cerchio si fermava e la bimba chiamata in causa, la Ginetta, lasciava le mani alle sue compagne e faceva un rapido dietro-front. Poi si riformava il cerchio, e nel riprendere le mani delle sue amichette, costei si trovava ovviamente a guardare l’esterno del girotondo.

E così via, si riprendeva la cantilena del ritornello nominando ad ogni giro le varie bimbe “pazze” (Nardèlle, Sipònda, Rosètte, Mattüje, Frangèsche, ecc….) fino al completamento del girotondo diciamo “a rovescio!”.

Essendo un gioco praticato solo da femminucce, non riesco a ricordare come si concludeva…..
Chiedo la collaborazione delle lettrici che hanno giocato da bimbette a questo trastullo, lungo e divertente. Grazie!

PS – Mi hanno suggerito il finale del gioco!
Quando tutti le partecipanti al girotondo si trovavano di spalle, stringevano il cerchio e spingevano ritmicamente il bacino all’indieto e sbattendo ognuna le proprie natiche contro quelle del bimba opposta a sé, e pronunciando a tempo e ripetutamente: “Cüle-e-ccüle!, Cüle-e-ccüle!”
Dopo si scioglieva il girotondo e si cominciava un altro gioco.

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Rumanì “Ánema tènde e còsce abbagnéte”

Rumanì “Ánema tènde e còsce abbagnéte”

Sentirsi in uno stato di frustrazione per il mancato soddisfacimento o appagamento dei propri desideri, delle proprie speranze e simili, dopo aver commesso, magari controvoglia, un’atto, un’azione contro i propri principi morali.

Questo Detto raccoglie la delusione di una innammorata che ha assecondato il focoso partner ma che dall’amplesso non ha tratto ciò che si aspettava.

Infatti alla lettera esso significa: ritrovarsi con l’anima tinta e le cosce bagnate. riassume il fatto che la poveretta si è ritrovata al termine del “petting”, con la coscienza sporca per aver commesso la trasgressione, e con le sua parti intime impregnate, ma senza aver provato soverchia eccitazione.

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Rumanì de cüle a chiapparüne

Rumanì de cüle a chiapparüne

Rumanì de cüle a chiapparüne = Restare di culo ai capperi. Praticamente la traduzione letterale non chiarisce nulla.

Nel nostro detto significa : Rimanere senza risorse economiche in situazione di estrema precarietà.

I capperi si raccolgono su balze scoscese, in luoghi impervi e pericolosi da raggiungere.

Se succede un inconveniente mentre si è intenti nella loro raccolta, si rimane in bilico ed è difficilissimo che qlcn venga in soccorso sull’orlo del precipizio.

Insomma significa rimanere senza alcun aiuto, attraversare un momentaccio.
Quelli che parlano bene dicono, descrivendo situazioni difficoltose, di restare col culo per terra.

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Salüte a nüje e ‘mbaradüse a jìsse

Salüte a nüje e ‘mbaradüse a jìsse

Diciamo: salute a noi, e (che lui si trovi) in paradiso.

È chiaramente un invito a guardare avanti, a non lasciarsi abbattere nemmeno da un lutto. La vita va avanti, nonostante tutto.

Come dicono gli Americani? The show must go on = Lo spettacolo deve continuare.

Perciò: lui è morto? Salute a noi e che riposi in pace nel Paradiso.

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Salüte e frasche

Salüte e frasche…

Questa tiritera si ode nelle campagne della Puglia piana, con inflessioni dei paesi garganici o cerignolani o di Bbascja marïne (Margherita, Barletta, Trinitapoli, ecc.).

Salüte e frasche, decètte ‘a crépe!
tutt’li müse vularrüje ca jèssere e venèssere,
ma ‘u möse d’ajóste mé venèsse:
dalla carne fanne l’arróste
e jìnd’a pelle mèttene ‘u móste.

Salute e frasche (cibo gradito alle capre) disse la capra. Tutti i mesi vorrei che andassero e tornassero, ma il mese di agosto non dovrebbe mai arrivare, perché (in quel mese) dalla (mia) carne fanno l’arrosto, e nella  pelle (da cui creano l’otre) mettono il mosto.

Insomma agosto è un mese nefasto per i caprini, ma non per noi…

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San Gesèppe ho passéte ‘u chjanùzze

San Gesèppe ho passéte ‘u chjanùzze

San Giuseppe ha passato la pialla.

Questo detto ironico viene pronunciato per indicare una ragazza con il seno scarsamente sviluppato.

La poverina avvertiva il disagio e arrossiva al solo sentire l’inizio della frase, perfidamente pronunciata sottovoce da qualche mascalzone sfottente, ma ugualmente udibile dall’interessata.

Raramente mostrava spirito e prontezza da spaccargli una borsetta in testa.

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