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Caseriande

Caseriande agg. = bighellone, ozioso.

Persona va da una casa all’altra di amici e conoscenti per chiacchierare, o per scroccare cibarie e bevute, o solo a pettegolare e a perdere tempo.
Il sostantivo è strutturato come malazziunande = delinquente, furfante, avvezzo a compiere cattive azioni.

Mariètte jì caseriande assé = Mariella (invece di sbrigare e faccende domestiche) se ne va bighellonando di casa in casa a spettegolare.
Il dialetto sovente è molto sintetico, cioè esprime con un solo termine un intero concetto.

Nota linguistica:
Deriva dal verbo caserié = andar di casa in casa.
Nei paesi garganici tuttora dicono càsere per indiucare il plurale di chése = casa.
Questa voce da noi è ormai scomparsa, perché usiamo chése sia al singolare, sia al plurale, salvo che in questo verbo e i suoi derivati.

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Locche-locche

Locche-locche agg. Lento, adagio. 

Lòcche-lòcche significa lento-lento, senza alcuna fretta, posapiano.

Forse deriva dal latino locus locus.

Sinonimo lanna-lanne, a scherzosa imitazione del dialetto Sangiovannaro, che per dire “lento” usa l’aggettivo lanne.

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Šcaùtte

Šcaùtte (o Šcavùtte o Šcavùrte) s.m., agg. = Tozzo, tarchiato

È un termine ormai desueto. Designava una persona bassa, tarchiata, forzuta, come i cavalli “schiavi”, ossia provenienti dall’antica Slavonia o Schiavonia.
Così era intesa una Regione geografica e storica della Croazia orientale, che aveva stretti rapporti commerciali con la Repubblica di Venezia.
Per estensione erano detti “Schiavoni” o “Schiavi” anche gli abitanti slavi (non latini) provenienti dalla Dalmazia, sotto il dominio della Serenissima, considerati ottimi soldati, chiamati “i fedelissimi di San Marco”.
Ricordo che a Venezia esiste tuttora la “Riva degli Schiavoni”, adiacente Piazza San Marco, così chiamata perché vi approdavano per i loro commerci le navi mercantili slave, ed erigevano le bancarelle per la vendita dei loro prodotti.

Dei “cavalli schiavi”, muscolosi e pieni di forza parlano diversi documenti storici che provengono da Dubrovnich (la bellissima città adriatica detta “Ragusa di Dalmazia” dai tempi della Serenissima).

Sappiamo che quando spira il vento freddo dai Balcani le nevicate arrivano fin sulla costa adriatica.
Anche quel vento dagli antichi abitatori di Puglia e Basilicata era chiamato Šcavenidde”, ossia proveniente dalla Schiavonia.

Ringrazio di cuore il dott.Matteo Rinaldi per avermi fornito tutti i dati utili alla compilazione di questo articolo.
Mi ha fatto venire in mente un compagno di giochi, dalle parti di della Chiesa di S. Francesco, che era detto proprio Šcavùtte (anche Šcavùrte assonante con urte = orto). Ora collego il perché: era nostro coetaneo, ma a differenza di noi mingherlini, costui era grosso, forte e ben piantato!

Nota linguistica.
Vi ricordo che la consonante “s” accentata con il segno diacritico della “pipetta” (tecnicamente detta hacek), usata in alcune lingue straniere slave o nordiche, ossia la “š” si deve leggere come il francese ch o l’inglese sh, o l’italiano “sce” o “sci” (scena, scemo, sciarpa, sciroppo, ecc.).

Un esempio conosciuto anche da noi è il famoso marchio «Škoda» (auto, camion e motori marini).

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Jastematöre

Jastematöre s.m. = Bestemmiatore

Persona che usa sovente bestemmiare senza ragione i Santi, Dio e le cose sacre (clicca->) jastöme, anche come irritante intercalare.

Per estensione si intende con jastematöre anche persona con il vizio del (meno grave) turpiloquio, ossia che usa spesso e volentieri parole oscene, le cosiddette parolacce.
Faccio un solo esempio (di cui mi scuso in anticipo) che riporta una telefonata di rimprovero. La traduzione non è proprio alla lettera:

«Mattö’, strunzelöne, c’jì fatte l’une e mèzze, cazze! Quanne cazze t’arretüre? Sté ‘u piatte alla tàvele ca ce arrefrèdde, e che cazze!» = Matteo, accidenti, siamo arrivati all’una e mezza! Ma tu quando decidi di rincasare per il pranzo?

Mammamöje, Giuànne jì ‘nu jastematöre ca te fé škande! = Mamma mia! Giovanni è un bestemmiatore da far paura.

Al femminile è invariabile, non esiste un termine per bestemmiatrice.
In italiano esiste anche il termine biastematore, sicuramente di origine toscana, molto simile al nostro.

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Furèste

Furèste agg. = Misantropo, orso

Persona persona scontrosa, poco socievole, poco incline a mantenere rapporti di amicizia o anche di parentela.
Non coltiva amicizie né da confidenza a nessuno.

Spesso vede, osserva eventi, ma non degna nessuno del proprio parere. Sarà timidezza? Menefreghismo? Disinteresse?

Mattöje quanne ce sté da parlè, ce ne vé fureste fureste = Matteo, quando c’è da discutere, se ne va via senza dir nulla perché è un asociale.

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Galiöte

Galiöte agg. = Galeotto, degno di galera

Epiteto, ormai in disuso (come bböje = boia o ‘mbüse = appeso, impiccato) che si rivolgeva per iperbole ai ragazzi scavezzacollo, irrequieti, scatenati.

Ah, ‘stu galiöte nen sté ‘nu mumènte fèrme! = Ah, questo discolo, non si sta fermo un momento!

Nel napoletano usano l’aggettivo/sostantivo galioto o calioto con lo stesso significato.

A volte veniva usato in antifrasi, come quando, con una specie di ammirazione, si designava un furbo con appellativo di desgrazzjéte.

Etimologicamente deriva dal tardo latino “galiotus” per indicare il condannato a remare sulle galee, le famose navi da guerra romane dotate di rostro per assalire le imbarcazioni nemiche.

Molti lo pronunciavano jaliöte. È scomparsa anche questa forma, rimasta solo nella memoria di noi anziani!

Nota fonetica:
Una delle “regole” del nostro dialetto riguarda specificamente la consonante “g” dura (in fonologia detta ‘occlusiva velare sonora’), che spesso diventa “j”, o addirittura cade quando è seguita da due vocali:

  • Gamba = jamme
  • Gatto = jatte
  • Gallina = jallüne
  • Galantuomo = jalandöme
  • Guanto = uande
  • Guastare = uasté
  • Guerra = uèrre
  • Guarnizione  = uarnezzjöne
  • Guardiano = uardiéne
  • Gallinaio = jaddenére




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Arrapéte

Arrapéte agg. = Bramoso (di sesso)

Riferito a persona assalita da desiderio sessuale intenso.
Bramosia erotica.
Istinto animalesco irrazionale.
Pulsione sensuale.
Desiderio osceno.

Esiste un sinononimo: arrascéte (<–clicca)

Ho detto tutto?

Ah, no! C’e il derivato arrapande = sexy, conturbante, sessualmente allettante, provocante, attraente che desta “mali pensieri”


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Mangenöse

Mangenöse agg. = Mancino

Persona che usa prevalentemente la mano sinistra.

Fino a pochi decenni fa i bambini che mostravano tendenza al mancinismo, venivano obbligati, in casa e a scuola, ad adoperare la mano destra per usare le posate o la penna. Addirittura si arrivava a legare il braccio sinistro al corpo per obbligare ad usare la mano “giusta”.
Ovviamente, fuori dai severi controlli essi usavano la sinistra ed alla fine diventavano ambidestri!
Si credeva infondatamente, che essere mancini significava essere inferiori.

Fortunatamente ora non è più così!

Leggo sul web:

«L’etimologia stessa della parola “mancino” mostra come ci sia sempre stato un pregiudizio verso il mancinismo: in latino, mancus significa “mutilato”, “storpio”.
Il termine “sinistro”, inoltre, è collegato nella nostra lingua a concetti non certamente positivi: sinonimo di “incidente”, ”sciagura”, è spesso usato come aggettivo per definire qualcosa come avverso, sfavorevole, minaccioso o pauroso.
Invece, riferendoci a personaggi del passato o attuali, sembra che i mancini siano dotati di inventiva, fantasia e creatività.»

Ecco un elenco di mancini illustri: si va da Leonardo e Michelangelo, a Maradona e Messi; da Obama e Ronald Reagan, a Fidel Castro e Valentino Rossi; da Charlie Chaplin e Lady Gaga, a Tom Cruise e Robert De Niro. Senza dimenticare Einstein, Jimi Hendrix, Napoleone, Carlo Magno, la Regina Elisabetta, Platini, McEnroe, Paul McCartney, Bill Gates, ecc. ecc.


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Nghjavechéte

Nghjavechéte agg. = inzaccherato, sporcato.

Dicesi specialmente di persone, oggetti, o indumenti imbrattati.

Possono risultare ‘nghjavechéte dopo l’uso, tute, camici o grembiuli usati nella normale attività lavorativa manuale, come quella di fabbri, tintori, muratori, meccanici, macellai, fuochisti, calafati, spazzacamini, imbianchini, calderai, e chi ne ha più ne metta.

L’aggettivo deriva dal verbo ‘nghjaveché = sporcare, insozzare, imbrattare a sua volta scaturito dal sostantivo (clicca->) chjàveche = fogna, cloaca.


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Recurdèvele

Recurdèvele agg. = Ricordevole, memorabile, indimenticabile

L’aggettivo (è corretta anche la variante arrecurdèvele) da noi ha una valenza negativa, pressocché costante.

Gli avi ce lo hanno tramandato perché si ricordassero le giornate nefaste, disgraziate, tristi, segnate indelebilmente nella memoria collettiva da terremoti, pestilenze, disgrazie, ecc. accadute in tempi remoti.

Quasi sempre l’aggettivo si riferisce a giornate fisse, marcate nel calendario nelle quali bisogna essere prudenti in ogni azione, o meglio evitarle del tutto. Queste sono dette jurnéte arrecurdèvele.

Si usa anche la locuzione (clicca→ qui ) pónte de stèlle = punti di stelle, ossia giorni infausti segnati dalle stelle.

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