Pigghjé ‘a mmiéte loc.id. = Prendere la rincorsa
Fare una breve corsa per slanciarsi in un tuffo, un salto, un assalto ecc.
Avventarsi, slanciarsi, piombare addosso a qualcuno o per scavalcare un ostacolo.
Pigghjé ‘a mmiéte loc.id. = Prendere la rincorsa
Fare una breve corsa per slanciarsi in un tuffo, un salto, un assalto ecc.
Avventarsi, slanciarsi, piombare addosso a qualcuno o per scavalcare un ostacolo.
Scìgne ‘n palazze (‘a) loc.id. = Scimmia in palazzo (la)
Questa locuzione idiomatica definisce una donna che ritiene di essere diventata una vera signora solo perché non abita più al piano terra, come nel secolo scorso avveniva per il popolino.
Difatti i piani più alti erano dimora dei più abbienti, che ostentavano anche così il loro status sociale..
Il corrispondente maschile era definito pezzènte revenüte = pezzente rinvenuto, come per dire che fino a poco tempo prima era un poveraccio…
Il grande Totò spesso ci ricordava che “signori” (nel senso più alto del termine) si nasce, non si diventa.
Ringrazio l’inesauribile dott. Enzo Renato per l’imbeccata.
Jèsse ‘u mègghje vöve d’a caravéne prov. = Essere il miglior bue della carovana.
Figuratamente si immagina un tiro di buoi a trainare l’aratro o il carro, tra cui spicca uno particolarmente possente.
È un complimento rivolto a quella persona che si distingue in un gruppo di amici perché trainante, disponibile, attivo, carismatico. In effetti quando quando lui è assente la comitiva sembra un mortorio…
Amme pèrse ‘u mègghje vöve d’a caravéne! = Abbiamo perduto il più valido del gruppo.
Si usa anche, con lo stesso significato, jèsse ‘u pjirne prengepéle = essere il perno principale, il caposaldo, il cardine.
Ovviamente la frase può avere un significato canzonatorio per sfottere amichevolmente una persona presa di mira dal gruppo.
Rumanì tra vèspre e mezzjurne loc.id. = Restare fra il Vespro e il Mezzogiorno
Da tempi immemorabili gli ecclesiastici scandiscono la loro giornata col preghiere secondo le cosiddette Ore Canoniche (Mattutino, Lodi, Vespri, Compieta).
Il Vespro, linguisticamente, significa sera.
Insomma dal vespro al mezzogiorno successivo intercorre un lasso di tempo molto lungo, immagino noioso o carico di tensione.
La locuzione descrive figuratamente uno stato di disagio, di incertezza, di titubanza nel prendere una decisione importante, temendo di sbagliare.
Ringrazio Umberto Capurso por il suo suggerimento, che mi ha permesso la stesura di questo articolo.
Ecco la locuzione idiomatica completa:
Nen lu pùte dïce manghe: « che bell’ùcchje tjine ‘mbacce!» = Non gli posso dire nemmeno: che begli occhi e hai in viso!
È la definizione di un soggetto irritabile o permaloso.
Qualsiasi apprezzamento viene recepito da questo soggetto con sospetto. Oppure reagisce con veemenza, in modo sproporzionato, a qualsiasi critica o consiglio.
Cì’, cì’, nen te pozze düce manghe “che bell’ucchje ca tjine ‘mbacce!” = Zitto, smettila, non è il caso di inveirmi contro solo per aver espresso un mio parere sul tuo discutibile comportamento.
Vatte lu frjiche! loc.id. = Vattelapesca
Somiglia, come costruzione verbale, a quello che la inesauribile Enciclopedia Treccani spiega sulla locuzione vattelappésca, cioè :
«[da vàttelo (imperat. di andare, rafforzato dalle particelle ti e lo) a pesca (pop. per «a pescare»)]. – Propr., «va’ a trovarlo, a indovinarlo; va’ a saperlo.»
Come dire chissà dov’è finito!
Nel nostro caso, alla lettera, caso corrisponde “vattelo a frecare”, nel senso che è ormai impossibile acchiappare, catturare, bloccare un ipotetico fuggitivo, scappato via fulmineamente di fronte alla prima avvisaglia di pericolo.
Ad esempio un gattino che sfugge al tuo tentativo di presa. O un monello che ha compiuto una birichinata e teme la tua reazione o la tua minaccia.
Nota fonetica:
Vatte lu frjiche! si pronuncia tutto d’un fiato appoggiando e prolungando l’accento tonico sulla penultima sillaba. come fosse scritto vattelufriiiiche! (ascolta cliccando sul triangolino bianco qui sotto).
A bòtte carröre loc.id. = Velocemente
La lingua italiana in questo senso è ricca di locuzioni similari:
-di gran carriera,
-precipitosamente,
-a gambe levate,
-in tutta fretta,
-celermente,
-frettolosamente
-rapidamente,
-a rompicollo
-a precipizio
-di corsa,
-a tutta birra,
-repentinamente,
-a spron battuto,
-a briglia sciolta, ecc.
Stèmme tanda belle nanz’a chése, quànne, tutte ‘na vòlte, jì’rrevéte Giuànne a botte carröre = Stavamo tanto bene davanti casa, quando, ad un tratto, è arrivato Giovanni di gran carriera.
Stèmme ‘ncambagne e au prüme trùne, ce ne süme scappéte a botte carröre… = Eravamo all’aperto, e al primo tuono ce ne siamo scappati di gran carriera (verso un riparo).
Pegghjiàrece velöne loc.id. = Crucciarsi, affliggersi
Alla lettera Pegghjiàrece velöne si tradurrebbe “prendersi del veleno”. Si può dire pegghiàrece ‘na velenéte = prendersi una avvelenata.
Da noi velöne non significa solo veleno, ma anche cruccio, indignazione, afflizione.
Sdegnarsi, irritarsi per un evento o una circostanza sfavorevole.
A sente tanta zingramjinte me so pegghjéte ‘na velenéte = Nel
sentire tante falsità mi sono molto amareggiato.
Meh, nen facènne pegghjé velöne a màmete
= Beh, non fare amareggiare tua madre.
Quanne sente parlé de pulìteche me
pìgghje ‘nu sacche de velöne =
Quando sento parlare di politica mi assale una grossa indignazione.
Nen te pegghjànne velöne, ca nen jì
njinte = Non ti affliggere, ché non è niente di grave..
Accucchjé ‘a settande loc.id. = Fare primiera, raggiungere un eccellente risultato.
La locuzione traspone, nel linguaggio figurato, un elemento del punteggio nel gioco popolare chiamato “Scopa”
La Scopa, al termine di ogni mano, prevede il raggiungimento di quattro punti, che possono essere divisi o patteggiati, secondo l’andamento della partita, tra i due giocatori (quattro se si gioca in coppia).
Si conteggia un punto per ciascuna delle seguenti voci:
– Carte-a-llonghe = Carte, numero di carte raccolte da ciascun giocatore. Si conteggia il numero maggiore di carte raccolte da ciascun giocatore durante la manche; sul mazzo di 40 carte napoletane, vince chi ne ha almeno ventuno.
– Carte-a-ddenére = Denari, numero di carte con seme di “denari”. Si conteggia il numero maggiore di carte “denari” raccolte da ciascun giocatore durante la manche;vince chi ne ha almeno sei.
– Sètte barjille = Settebello, Il punto va al giocatore che ha raccolto il sette di denari nel corso della mano; il settebello è chiamato – chissà perché – anche Sètte Gerjille, diminutivo di Ciro
– Settande = Primiera o Settanta. Quattro carte dello stesso seme con valore decrescente che si raffrontano con le quattro di altro seme in mano all’antagonista.
Ecco Wikipedia che mi facilita la descrizione della Settande:
Il termine “Primiera”, che deriva dal francese prime, significa letteralmente “premio”.
Il suo utilizzo italiano nell’ambito di alcuni giochi di carte è relativo proprio al suo etimo: chi riesce ad ottenere una certa combinazione con le carte riceve un premio che, nella maggior parte dei casi, equivale ad un punto.
Nome alternativo della Primiera è “Settanta” nel caso in cui si entra in possesso di tutti e quattro i 7 (Denari, Coppe, Bastoni, Spade).
Conclusione: accucchjé ‘a settànde vale guadagnare un premio, raggiungere un risultato eccezionale.
Scherzosamente si pronuncia quando si raggiunge un bel numero di amici, magari inaspettati, allegri o musoni non fa differenza, come per dire: “ti aspettavamo, mancavi solo tu!”.
Quann’jüne düce... loc id. = Chi l’avrebbe mai detto?
Alla lettera significa “quando uno/qualcuno dice..”
Ossia quando qualcuno prevede una cosa e poi magari accade il contrario.
Un’espressione quasi di incredulità per manifestare l’evolversi positivamente di una situazione, di una circostanza che stava prendendo una piega sfavorevole.
Ovviamente si declama a posteriori, per constatare l’insperato colpo di culo (scusate il francesismo, ma mi pare appropriato).