Tag: sostantivo femminile

Péle

Péle s.m., s.f. = Palo, seme (di carte da gioco), pala

1) Péle s.m. = legno lungo, appuntito, che si conficca nel terreno, allo scopo di reggere una giovane pianta o sostenere una rete di recinzione, ecc.

2) Péle s.m. = ciascuno dei quattro “semi” o “colori” che contraddistinguono le carte da gioco. In quelle italiane sono: coppe, denari, spade, bastoni per indicare rispettivamente i beoni, i ricchi, i soldati di ventura e i malfattori (quattro categorie di uomini da prendere con le molle). Nelle carte dette “francesi” (o da poker, ormai universali, entrate anche nella nostra cultura) sono: cuori, quadri, fiori, picche.

3) Péle s.f. = pala, arnese da lavoro, formato da una lama d’acciaio fissata a un manico di legno. Viene adoperato per raccogliere ammucchiare terra, pietrisco, ecc. Quella con la lama di legno e il manico molto lungo è usata per porre e ritirare il pane dal forno.

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Pegnéte

Pegnéte s.f. = Pignatta

 La pegnéte ha due significati: uno è un laterizio, una specie di mattone forato usato in edilizia per armare i solai prima della gettata di calcestruzzo.

L’altro è un recipiente di terracotta, di varie dimensioni, dotata di manici, adoperata in passato per cuocere vivande. Ora si usa l’acciaio inox perché lavabile con più facilità.

La pignatta e usata tuttora in tutto il Sud Italia come gioco di Carnevale, non come strumento di cucina.

Da noi la prima Domenica di Quaresima viene detta da anni “La Pentolaccia” proprio da questo gioco antico “della Pignata”.

Si riempivano alcune pentole di terracotta con cenere, bucce di arancia e roba di scarto. Una sola di esse conteneva confetti e dolciumi. Quelli che erano estratti mediante una conta, venivano bendati e con un manico di scopa tentavano di colpire la pentola appesa al soffitto, una per volta. Prima quelle con scarti, e quella “buona” per ultima.

Ecco la descrizione del gioco in dialetto, inviatami dalla lettrice Mariella Prencipe (che qui ringrazio pubblicamente), la quale l’ha raccolta dalla sua mamma.

A Pegnéte

Pìgghje ‘na quartére
pe fé ‘na pegnéte,
ce mitte tanda cöse,
cumbìtte, curiàndele
chelöre de röse.

‘Mbacce a l’ucchje
pò mìtte ‘na pèzze,
strètta strètte
cüm’a ‘na capèzze.

Pe ‘na mazze
pò mjine li botte,
allu scüre
cüme la notte.

Se n’a ncugghje
te sjinte de fòtte,
ma s’a ncugghje
sóbbete fòrte,
tutta ‘a rròbbe
ce ne jèsse
e tu rumjine
cüme nu’ fèsse!

Prendi un orcio, per fare una pignatta, ci metti tante cose: confetti, coriandoli color di rosa. Sugli occhi ci metti una pezza stretta stretta come una cavezza. Con una mazza, poi tira i colpi al buio come la notte. Se non la centri ti senti di rabbia, ma le la prendi subito, forte, tutto il suo contenuto se ne esce, e tu rimani come un fesso!

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Pegnéta püta-püte

Pegnéta püta-püte s.f. = Putipù o caccavella

Tecnicamente è classificato come uno strumento a percussione, più propriamente “tamburo a frizione”.

È quasi sempre di fattura artigianale, ed è formato da un vaso di terracotta, o anche di latta o di altro materiale, chiuso con una membrana di pelle tesa con un foro centrale, attraverso il quale è inserita una cannuccia.

Sfregando questa cannuccia, dall’alto verso il basso con la mano inumidita stretta a pugno, o con una spugnetta bagnata e strizzata, si ottiene un suono grave, umoristico, talora imbarazzante perché simile a uno scorreggione, che funge da contrabbasso nelle melodie popolari folkloristiche.

Tipico strumento, assieme al tamburello, delle tarantelle napoletane, conosciuto anche da noi fino agli anni ’40.

Ad una ‘A pegnéte püta-püte è paragonato un soggetto brontolone, che ha sempre da ridire, che parlotta anche quando è richiesto il silenzio:
Assemègghje ‘na pegnéte püta-püte = Sembra un putipù.

Nel Sud Italia assume diverse denominazioni regionali:
putipù, cupa-cupa, cupiello, caccavella, pernacchione, ecc.

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Pechèsce

Pechèsce s.f. = lembo, orlo

Dicesi di lembo della sottoveste che fuoriesce dal bordo della gonna perché non ben sostenuto in vita.

Al maschile è una camicia che sporge in lunghezza dalla giacca.  È detto anche (clicca→) pèttele.

Aggióste ‘a sottavèste ca ce vöte ‘a pechèsce = Regola la sottana, perché si vede (fuoriesce) l’orlo.

Indice di sciatteria, trascuratezza. Designa anche una persona sciatta, trascurata.

Sorprendentemente ho trovato sul Dizionario Etimologico Italiano il termine Pechesce.
Trascrivo alla lettera:
«Pechesce ted. peketsche: dal polac BEKIESZA, ungh. BEKÈS, che è il nome di una Veste di sopra, di pelliccia, guarnita di alamari e fiocchi.»

Immagino che era una Veste lunga, ben al di sotto di un capporto, e che quindi usciva dall’orlo di quest’ultimo.

Pare che sia anche un abito maschile, tanto che Pascoli ne parla:

Bisogna che mi metta quel pechesce lungo! Oh! che tormento! E dovrei farmi la barba, ma non ne ho punta punta voglia!

In ogni caso è qualcosa di lungo o troppo lungo!

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Pavüre

Pavüre s.f. = Paura

La paura è una intensa emozione derivata dalla percezione di un pericolo, reale o supposto. È una delle emozioni primarie, comune sia alla specie umana, sia a molte specie animali (da Wikipedia)

Come sinonimo popolare abbiamo cacàzze e fìffe (fifa).
Spavjinde più che spavento significa monito o cattiva esperienza.

Tenì pavüre, avì pavüre = temere, aver paura.

Tènghe ‘na pavüre du tarramöte! = Ho una (forte) paura del terremoto!

Agghje pavüre ca ce ne vöne a chjöve = Temo che cominci a piovere.

Simpatica la locuzione: ‘a pavüre fé nuànde = la paura fa novanta. È un’espressione entrata anche nella lingua italiana. Deriva dalla figurazione della “Smorfia napoletana”, ossia di quel libro che intepreta i sogni attribuendo un numero ad ogni oggetto o ad ogni circostanza. I numeri contemplatii sono 90, e le figure corrispondenti sono applicabili al gioco domestico della tombola o a quello “serio” del Lotto.

Qualche esempio?
1 l’Itàlje = l’Italia
8 ‘a bececlètte = la bicicletta (o anche gli occhiali)
14 ‘u mbrjéche = l’ubriaco
16 ‘u cüle = il culo
17 ‘a desgrazzje = la disgrazia
22 ‘u pàcce = il pazzo
47 ‘u mùrte ca pàrle = il morto che parla, ecc. e naturalmente
90 ‘a pavüre = la paura.

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Patòrje

Patòrje s.f. = Raccontini

Il termine, accettabile anche nella forma patòrie, non ha un suo significato specifico, ma si ricorda forse solo per la rima, e va associato a stòrje (nella locuzione “storje e patòrje”)

Sono raccontini o aneddoti brevi e divertenti, spesso improvvisati,  che, erano narrati ai più giovani dalle persone più anziane.

Quante calde serate d’estate, a terra, sul marciapiede dell’uscio delle porte abbiamo ascoltato, dalle nonne sedute sulle “mezzesedie”, questi racconti a volte divertenti e a volte paurosi .

Spesso durante quei racconti poteva uscire dalla bocca del narratore qualche “frecàbbele”, ovvero una simpatica e divertente fesseria.

Ad esempio vi trascrivo una canzoncina abbastanza nota, sul motivo di Giro-giro-tondo:

Stòrje e patòrje
jì morte zia Vettòrje,
jì mòrte senza cammüse
e zia Vettòrje ‘mbaradüse.

Jì mòrte senza mutànde
e böna notte a tutte quànde!

Ho scoperto casualmente che anche in dialetto barese si usa questa espressione:
«Decève Zizì, u frate de mammine, ca iève scegguannàre (giocherellone): «Velite sendì?… Storie e Patòrie, u cule de Vettòrie, Vettòrie se ne scì e u cule arremanì!».

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Paténe

Paténe s.f. = Patata

patateLa patata (Solanum tuberosum) è una pianta erbacea appartenente alla famiglia delle Solanacee.

La parte commestibile della pianta è il suo tubero.

Tra i mille modi di cucinare la patata da noi trova il suo maggior successo nella specialità detta rjanéte(al forno con seppie, o baccalà, o testina di agnello, ecc). Ritenuto cibo di poco valore nutritivo.

Talvolta quando la risposta era negativa, l’interrogato diceva: ” Sì, i paténe“. Qualcuno, in questo caso, sibila una risposta volgare (Sì, ‘stu c****)… ma qui parliamo di patate.

Molto rinomate sono ‘i paténe de Zappunöte = le patate di Zapponeta.

Lo stesso termine è usato in quaso tutta l’Area sud (Campania, Basilicata, Puglia e Calabria)

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Pastunéche

Pastunéche s.f. = Carota

La carota (Daucus carota) è una pianta erbacea appartenente alla famiglia delle ombrellifere; è anche uno dei più comuni ortaggi.

C’è un termine identico anche in spagnolo, portoghese, latino, e molto simile in tedesco e rumeno,(francese panais) che definisce la “pianta con radice carnosa, fusiforme alquanto gialla.

Gli antichi le attribuivano ogni sorta di virtù”. Deriva dal greco Panàkeia (lat. Panacèa) ossia: pan=tutto e àkos=rimedio.

Ho voluto documentarmi consultando il dizionario etimologico italiano.

Siccome come forma sono praticamente identiche, il nome generico “pastinaca” in tutto il Sud Italia, indica solo le carote, quantunque i due ortaggi siano diversi.  Infatti la carote sono commestibili anche crude in insalata, mentre le pastinache – largamente usate in Germania, Francia, Inghilterra – si possono mangiare solo cotte, come le patate, cui si avvicinano come sapore.

In dialetto il sostantivo simile, caröte, indica la barbabietola rossa (Beta vulgaris).

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Pastròzzele

Pastròzzele s.f. = Trasandata

L’aggettivo è rivolto specialmente a certe donne che non curano né la propria persona, né la loro casa.
Sinonimo del notissimo aggettivo muffàrde.

Sono quindi trasandate, malvestite, maleodoranti, arruffone, sporcaccione, ecc.

Credo che derivi da tròzzele, sterco ovino o gran sporco in genere.

Ho sentito pronunciare la forma breve “pastrozze“, un po’ come è accaduto per còzzele che è diventato cozze.

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Pastöre

Pastöre s.f. = Bandana a tracolla, pastoia

1) ‘A pastöre = Striscia di robusta tela olona cucita ad anello che i pescatori adibiti a salpare la sciabica portavano a tracolla. L’anello di tela terminava con una sagola e un grosso sughero.

I pescatori entravano in mare finché il pelo dell’acqua lambiva il ginocchio.

Avvolgevano con un rapido movimento la sagola al tirante della rete e spingendo con la forza muscolare come i muli attaccati all’aratro, portavano la rete della sciabica fino a riva, ripetendo il movimento di andata in acqua a vuoto e ritorno alla battigia sotto sforzo.

2) ‘A pastöre = Pastoia. Corda legata alle zampe degli animali per ternerli frenati.
Si lega alle zampe anteriori degli animali al pascolo, per evitare che si allontanino troppo.
Usata anche per le bestie da latte per tenerle ferme durante la mungitura manuale.

3) ‘U pastöre s.m. = Pastore. Chi custodisce e porta al pascolo il bestiame, spec. ovini e caprini. Comunque questo termine in dialetto manfredoniano è piuttosto desueto. Si preferisce dire più specificamente: pecuréle = pecoraio; crapére = capraio; e vacchére = bovaro, vaccaro.

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