Tag: sostantivo femminile

Colocènze

Colocènze s.f. = Tregua

Alla lettera significa “con licenza”.

Veniva pronunciato da uno dei partecipanti ai giochi fanciulleschi, per sospendere una pena, o un inseguimento. Qualche bimbo pronunciava anche calocènze!

Si dichiarava il colocènze ad alta voce, in modo che anche gli altri bimbi potessero sentire la richiesta di scuse per l’errore commesso nello svolgersi del gioco.

Si evidenziava così l’inintenzionalità, la mancanza di dolo.

I bambini stabiliscono le regole e le seguono scrupolosamente. Cosa che i grandi, specie gli uomini politici, non sempre lo fanno.

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Cöla-cöle 

Cöla-cöle s.f. = Gazza
gazzaLa Gazza (Pica pica, o Pica hudsonia) è un uccello comune dal piumaggio nero e bianco, che si nutre di frutti, ragni, insetti, ma anche di uova e nidiacei di altri uccelli.

Viene detta Gazza ladra perché, come molti rapaci, è attratta da oggetti luccicanti e anche per la sua abitudine di depredare i nidi di altri volatili.

Vive in spazi aperti, ma da qualche lustro si spinge anche nei centri abitati alla ricerca di cibo e non è per niente spaventata dalla presenza umana.

Un po’ come fanno i gabbiani che si vedono ora numerosi nelle discariche ubicate molti km all’interno della costa. Evidentemente perché per loro è più facile reperire il cibo nell’immondezzaio, anziché procurarselo, tuffandosi reiteramente in mare, alla ricerca di qualche pesciolino.

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Cógghje

Cógghje s.f. = Scroto

Struttura muscolare e membranosa sacciforme contenente i testicoli, posta nella regione delimitata dal perineo, dal pube e dalla radice delle cosce (De Mauro).

Generalmente oltre al sacco contenitore, si estende il significato di questo termine anche al suo contenuto, specie se c’è una patologia erniaria in atto.

Me döle ‘a cógghje = Sento dolore al basso ventre (a causa del’ernia inguinale).

Non c’entra nulla con il nostro dialetto, ma mi diverte l’espressione napoletana: ‘a uàllera.

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Còffe

Còffe s.f. = Cesto

Cesto a forma tronco-conica, provvista di manici, usata dai muratori per contenere e sollevare pietrame e mattoni.

Per estensione, vista la stessa forma, si è affibbiato questo nome anche alla cavedarèllacaldarella di ferro che contiene la malta.

In termini marinareschi la coffe è una sorta di terrazzino con steccato di protezione, fissato sugli alberi dei velieri, destinato a contenere i marinai addetti alle manovre delle vele o alla vedetta in mare (mitico l’urlo:terra, terra! nei film d’avventura lanciato dagli uomini di vedetta sulla coffa….)

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Còcchje

Còcchje s.f. = Coppia

Insieme costituito da due oggetti dello stesso tipo o da due animali o da due persone spec. che svolgono in modo coordinato la stessa attività.

Còcchja-còcchje dicesi di due persone inseparabili. Due amici, due fidanzatini, due colleghi, due carabinieri.

Tènghe ‘ca còcchje de vìcce = Ho una coppia di tacchini.

‘I vüte a löre, sèmbe còcchia-còcchje = Li vedi, loro stanno sempre assieme.

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Ciüme de répe

Ciüme de répe s.f. = Cime di rapa

Le cime di rapa (Brassica Campestris Cymosa) sono i racemi non ancora fioriti dell’ortaggio, di cui si mangiano le foglie più tenere e le infiorescenze.

È un ortaggio tipicamente italiano ma, introdotta dagli emigranti, ora si coltiva anche negli Stati Uniti e in Australia. In Italia il 95% della superficie coltivata si trova in Lazio, Puglia e Campania.

Nel Nord America è conosciuta con i nomi di “broccoli raab”, “raab”, “rapa”, “rappini o rapini”, “spring broccoli”, “italian turnip” e “taitcat”.

La cima di rapa, in Puglia, che è la regione regina della coltivazione di questo ortaggio, è inserita nell’Elenco dei Prodotti Tradizionali Regionali. Famosissimo il tipico piatto di orecchiette con le cime di rapa, condite con il semplice ùgghje crüde = olio crudo, o con l’agghja suffrìtte = olio,aglio, acciughina e peperoncino. In Basilicata ho visto che aggiungono nel padellino dell’olio che frigge anche del pane sbriciolato.

Nel nord Italia è invece un prodotto meno conosciuto, soprattutto perché non vi sono piatti tipici tradizionali legati alla cima di rapa come avviene nel meridione.

Sono da consumarsi previa cottura ed hanno un sapore molto caratteristico, leggermente amarognolo e piccantino.

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Ciüme 

Ciüme s.f. = Cavolfiore

Il Cavolfiore (Brassica oleracea botrytis) è un ortaggio con infiorescenza carnosa compatta, a forma di palla, di colore bianco–gialliccio

La parte commestibile è costituita da gemme florali ramificate, i cui peduncoli ravvicinati ingrossando formano una grossa palla carnosa detta “corimbo”.

Dim. cemarèlle

Quelli che dicono càvele-a-ffiöre parlano un dialetto addomesticato.

Alla lettera significa: cima, la parte superiore del cavolo che fuoriesce dalle bratte.

Foto fornita da Gigi Lombardozzi.

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Ciüme amarèlle

Ciüme amarèlle s.f. = Cime amarognole

Scusatemi, ma non so il nome corrispondente in lingua italiana. Aspetto qualche suggerimento da esperti botanici.
Cliccate sull’immagine per ingrandirla.

Pianta spontanea (Brassica campestris) apprezzata dai nostri nonni, che le raccoglievano per farne un piatto gustoso, le famose “fogghje meškéte” = verdure miste.

L’occhio esperto le distingue dalle cime dolci (i sìnepe). Il palato anche se inesperto, perché evidentemente queste erbe hanno un retrogusto po’ di amaro, come le cicorie.

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Ciüma dòlce

Ciüma dòlce s.f. = Senape campestre

Pianta annua (Sinapis arvensis‘a sìnepe è conosciuta meglio come ‘a ciüma dolce [femm. plurale ciüme dólce]= la cima dolce, può considerarsi una vera e propria verdura campestre. Si chiamano le “cime dolci” per differenziarle dalle simil “cime amare”, le ciüme amarèlle o ciümamarèlle) (Brassica incana o fruticulosa) = cime amarognole.

Nasce spontanea nei prati, dall’aspetto filiforme e dal gusto simile alle cime di rapa, e cresce in zone a clima temperato/caldo.

Nella nostra zona era apprezzata proprio per il suo sapore dolce, simile alle bietoline di campo. Ora non ne vediamo più, forse per effetto di pesticidi.

Qualche vecchietta oltre al più familiare ciüme dólce li chiama un po’ storpiandone il nome, ‘i sìlepe invece del più corretto sìnepe.

In Sicilia adoperano i piccoli semi tritati per farne una salsa, la famosa senape dal sapore piccante.

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Ciucculatöre 

Ciucculatöre s.f. = Cuccuma

Bricco di rame o di altro metallo usato per contenere il caffè o sim.

Quella in uso da mia nonna era di ferro smaltato, blu all’esterno e bianca all’interno. Aveva un lungo beccuccio e il coperchio incernierato. Capacità mezzo litro.

Si poneva colma di acqua sul fuoco fino all’ebollizione. Poi si mettevano nell’acqua bollente, udite udite, due – dico due – cucchiaini di caffé macinato, e si toglieva dal fuoco e si lasciava riposare qualche minuto.

La brodaglia, opportunamente filtrata con un colino metallico, si versava nelle tazze e veniva chiamata indegnamente “caffè”…

Nel periodo delle Sanzioni Economiche imposte all’Italia dalla “Società delle Nazioni” [perché aveva occupato l’Etiopia]  non si importava caffè, né ferro, cuoio, carbone, baccalà, aringhe, tabacco, frumento, ricambi di macchine agricole inglesi, ecc. ecc.
Insomma vigeva l’embargo internazionale.

Il “caffè” che l’Autarchia [sistema economico di auto sufficienza] proponeva agli Italiani era un misto di chicchi di orzo e cicoria abbrustoliti e macinati.

Si preparava con la cuccuma in casa. Non so se allo stesso modo la servivano ai pochi avventori nei tre bar di Manfredonia (Adolfo Castriotta, Aulisa e Giannino Gatta)

Immaginate che schifezza, anch’essa chiamata pomposamente “caffè”.

A pensarci bene anche i tedeschi e i francesi, per mia constatazione personale, fanno così tuttora il loro orrendo caffè. Credo che si chiami “caffè alla turca”. Puah!

Il nome significa cioccolatiera e deriva da cioccolata, perché in principio serviva a preparare la cioccolata calda.

Qualcuno pronuncia ciucclatöre. Accettabile.

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