Tag: sostantivo femminile

Caccianózzele

Caccianózzele s.f. = Nòcciolo

È la parte più interna, legnosa e non commestibile dell’albicocca (Prunus armeniaca).

Una volta si usavano per giochi fanciulleschi, in mancanza di biglie.

C’era anche il rigattiere Gennarino che comprava i semi amarissimi contenuti all’interno dei nòccioli. Non sono mai riuscito a capire a chi potessero servire….

Qualche nonnina teneva gli stessi semi in acqua per molti giorni per far perdere loro tutto l’amaro. Poi da essi otteneva una specie di sciroppo orzata, detto ‘u latt’amènele, ossia “latte di mandorle”,  non so con quale metodo, per una rinfrescante bevanda estiva.
Occorre specificare che il vero latte di mandorla, ossia ottenuto dalle mandorle, ai nostri tempi era del tutto sconosciuto.

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Caccialèpre o Caccialèngue

Caccialèpre o Caccialèngue s.f. = Caccialèpre


E’ una pianta commestibile (Reichardia picroides) che cresce in zone sassose nelle balze e zone sabbiose vicino al mare. Si utilizzano le rosette fogliari basali, crude in insalata, sole o accompagnate da altre specie erbacee commestibili

A Roma lo chiamano Caccialepre, in Toscana Terracrepolo o Grattalingua.

Curiosità attinte dal web:

Etimologia del nome scientifico Reichardia picroides:
Il primo termine del binomio è dedicato al medico e naturalista tedesco J. J. Reichard, mentre il secondo deriva dal greco picros = giallo, con riferimento al colore dei fiori.

Etimo del nome volgare:
Il termine Caccialepre ha etimo incerto, sembra tuttavia (DURO, 1986-93); che esso sia composto da un primo elemento alterato: caccia(re) e la lepre; cioè erba utile come esca per cacciare la lepre. Il dialettale Caccialebbre non ha nulla a che vedere con la malattia infettiva; è un meridionalismo; infatti in questo contesto linguistico lebbre significa la lepre, non lebbra.

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Cacchjöle

Cacchjöle s.f. = Asola

Asola, occhiello, alamaro per abbottonare giacche, cappotti, pantaloni, sandali, ecc.

Si chiama cacchjöle anche l’annodatura di un laccio, o di una fettuccia, o di un nastro, che si scioglie tirando uno dei suoi due capi.

Presumo che cacchjöle significhi propriamente “piccolo cappio”

In questo caso c’è un sinonimo simile all’italiano nocca: “la nnòcche”

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Cacàzze 

Cacàzze s.f. = Paura

Paura, spavento, panico, timore, terrore, tremarella, ecc.

Modi di dire:

“Ce sime pigghjéte ‘na cacàzze!…” = Abbiamo preso uno spavento!

Ce n’jì scappéte p’a cacàzza ‘ngüle. = Se n’è fuggito con la coda fra le gambe.

Da non confondere con il termine “scacàzze”

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Cacaròzzele

Cacaròzzele s.f. = Sterco degli ovini

Accettabile anche la forma breve cacaròzze.

Le deiezioni delle pecore e delle capre, essendo ricche di azoto e con una bassa percentuale di potassio, dopo opportune misture con paglia e seguita da lunga “maturazione”, diventano un eccellente concime adatto alle coltivazioni orticole.

Quando, attraversando la città, le greggi di pecore venivano condotte all’ “Acqua di Cristo” per il lavaggio del vello prima della tosatura, disseminavano lungo tutto il loro percorso una lunga traccia di cacaròzze .

Sono di forma tondeggiante e, prima di disseccarsi,  mantengono la dimensione e la lucentezza delle olive.

Con queste “olive” dei farabutti hanno perpretato degli scherzi diabolici e feroci. Non voglio proseguire, altrimenti i deboli di stomaco cominciano a mettersi in subbuglio….

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Majöse

Majöse s.f. = Maggese

Terreno tenuto a riposo, a rotazione, per evitarne l’impoverimento di sostanze minerali utili alle coltivazioni.

Sul terreno a maggese  (←clicca per leggere Wikipedia) si eseguono arature successive, a partire da maggio, da cui deriva il nome di questa tecnica agricola (derivato proprio dal latino Maius = maggio).

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Busciüje

Busciüje s.f. = Bugia

Affermazione, deliberatamente contraria alla verità, detta per celare qcs.

Nen decènne busciüje ca se nò te mètte ‘u fùche mmòcche! = Non dire bugie, altrimenti ti metto il fuoco in bocca!

Una delle tante terrificanti minacce che vanamente i nostri genitori ci facevano per farci rigar dritto.

Nonostante queste non siamo venuti su scioccati.

 

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Burràgge 

Burràgge s.f. = Borragine

È una pianta erbacea annuale (Borago officinalis). Ha foglie ovali ellittiche, picciolate, verdi-scure raccolte a rosetta basale lunghe 10-15 cm e poi di minori dimensioni sullo stelo, che presentano una ruvida peluria. I fiori presentano cinque petali, disposti a stella, di colore blu-viola.

In dialetto è detta anche burràcce.

Nelle altre lingue: Bourrache (F), Borage (GB), Boretsch (D), Borraja (E)

Attualmente l`uso gastronomico della Borragine si è maggiormente diffuso nell`Italia meridionale. Le giovani foglie si consumano crude in insalata, dopo averle tritate e mescolate con altri erbaggi o con pomodori. La rigidità dei peli svanisce per effetto dell`aceto.

Le stesse foglie, come pure le cime, vengono consumate lessate e poi condite con olio e limone oppure saltate al burro, strascicate con olio e limone. La migliore riuscita, almeno nel Tavoliere, è quella di cuocerle come le cime di rape con la pasta.

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Bunazze

Bunazze s.f. = Bonaccia

Calma di vento e di mare.
Bunazza morte indica la calma piatta del mare. “Jogge je bunazza morte”.

La totale assenza di vento durante la navigazione in mare, o durante le battute di pesca, quando le imbarcazioni erano tutte remo-veliche, costringeva gli uomini ad una lunghissima ed estenuante fatica di braccia ai remi per far rientro a casa.

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Bufanüje

Bufanüje s.f. = Epifania

Dal latino epiphanìa, a sua volta derivato dal greco ἐπιϕάνεια, epiphàneja = apparizione, comparsa, manifestazione.
Il nome completo della ricorrenza è “Epifania del Signore”. Più specificamente significa manifestazione agli uomini della divinità di Cristo, riconosciuta per prima dai pastori e dai Magi recanti doni.
Difatti essi riconobbero in Lui il Messia, il Figlio di Dio venuto sulla Terra.
Il Vangelo di Matteo (Mt 2.1,2) è molto stringato:  Alcuni Magi giunsero da oriente a Gerusalemme e domandavano: «Dov’è il re dei Giudei che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua stella, e siamo venuti per adorarlo».

I nostri nonni chiamavano questa Festa Pasqua-Bufanüje per distinguerla dalla Pasqua più solenne, la Pasqua di Resurrezione, nonché dalla Pasque-i-crüce = Pasqua delle croci, che celebrava forse un’altra ricorrenza cristiana della quale, veramente, mi sfugge la collocazione nel calendario cattolico, per quanto abbia frugato nella mia memoria storica.

Le persone ultrasettantenni ricordano che la sera della vigilia, il 5 gennaio, dopo cena, si accendevano dei lumini ad olio davanti ai ritratti dei defunti e si lasciava il desco apparecchiato.

Era credenza che durante la notte passassero le anime degli antenati a farci visita e bisognava spazzare con cura il pavimento per evitare che briciole di pane o noccioli di olive caduti accidentalmente potessero recare disturbi al loro lieve camminare per casa.

Mia nonna, nata nel 1878, dopo il cerimoniale dei lumini, si metteva a letto e annunciava, in modo che noi nipotini potessimo sentire, il Titolo delle sue preghiere: “Cjinde crüce e cjinde Avemmarüje per saluté la Pasqua-Bufanüje” = Cento segni di Croce e cento Ave Maria per salutare la Pasqua-Epifania. E cominciava la sua lunga preghiera.

Sono sicuro che soccombeva stramazzata per il sonno dopo poche poste….

Vuoi vedere che questo rito dei cento segni di Croce abbia dato il nome alla succitata Pàsque-i-crüce, ed era semplicemente un sinonimo di Pasqua-bufanüje?

Qualche sua coetanea più vivace raccontava che esisteva un trucco per rendere visibili le anime dei defunti che in processione scendevano sulla Terra. Ossia bisognava raccogliere nel corso di un anno tutto il cerume secreto dalle orecchie e farne una pallina.  In essa si doveva conficcare un minuscolo lucignolo e dargli fuoco. Alla luce fioca di questa schifezza usata come candela si sarebbero viste le anime vaganti dei propri cari.

Io credo che era questo semplicemente un invito a tenere pulite le orecchie – in assenza di cotton-fioc, inventato decenni dopo – magari “scavando” con uno di quei ferrettini per capelli. Puah

Il lettore Domenico Palmieri, che ringrazio di cuore, mi riferisce che i suoi genitori in questa ricorrenza solevano ripetere: «Tutt’i fèste jèssere e venèssere ma före d’a Pasqua Bufanüje», ossia “tutte le feste andassero e ritornassero, ma all’infuori della Pasqua Epifania”.

Questo lo avrebbero esternato  con rammarico le anime dei defunti, le quali, pur avendo ricevuto il permesso  di rientrare nelle case dei propri cari per questa Festa, non avrebbero potuto restarvi più a lungo, né abbracciarli e parlare con loro.

A proposito di doni vogliamo parlare della amatissima Befana? La gioia dei nostri bimbi!
Il lettore Matteo Borgia 2° ha composto questa graziosa filastrocca:

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