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Turcenjille

Turcenjille s.m. = Involtino

Piatto tipico molto rustico, da cucina povera di pastori.

Sono degli involtini confezionati con le stigghjöle, ossia con le frattaglie dell’agnello (trachea, polmoni, fegato, cuore) spezzettati e avvolti nel reticolo adiposo e stretti con il budello come un gomitolino.

Un piatto simile appartiene anche alla cucina greca, il kokoretsi (κοκορέτσι) (da Wikipedia)

In Abruzzo e in Molise sono chiamati in modo quasi uguale: le turcinelle. C’è la secolare transumanza che lega la Daunia a queste due Regioni, specie per i prodotti della pastorizia. Sono chiamati più o meno allo stesso modo nel Beneventano. Anche in Salento usano un termine molto simile: li turcinieddhi . In Terra di Bari ed in Basilicata vengono chiamati differentemente, ossia gnumerjiedde = gomitoletti.

Un “gomitolo” molto grande assume in tutta la Puglia il nome di cazzemarre  (←clicca) Si mangiano preferibilmente arrostiti sulla brace e in second’ordine con le patate al forno, o anche a ragù.

turcenjille si preparano anche con le interiora del maiale, ma sono meno gustosi, più grassi e indigesti

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Trepjite

Trepjite s.m. = Treppiedi

Era un arnese usato dalle massaie che –  quando non c’era il gas e si cucinava a legna o a carbone –  si poneva sul fuoco del braciere, infisso nella carbonella, a sostegno della “tièlle” = tegame di terracotta nella quale si cuocevano i legumi, il ragù con i turcenjille, la ciambotte, ecc.
Consisteva in un anello fatto con vergella di ferro battuto (cioè a sezione piatta) dal quale partivano tre piedini terminanti a “L”.

I treppiedi avevano varie dimensioni, adatte al diametro delle pentole che dovevano reggere.

Si annerivano con il fuoco, e si riponevano, dal più piccolo al più grande, appesi “ind’u fucarile” = dentro il vano del focolaio, insieme alla rarìchele = graticola per gli sparroni e alla fresöle = padella

Esistevano quelli di forma triangolare con piedini più corti, da usare nel camino.

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Stigghjöle

Stigghjöle s.f. = Minugia

Va bene anche pronunciato stegghjöle. Come sinonimo si usa anche curatèlle = corata.

Budella; in partic. quelle degli ovini usate nella confezione degli involtini pugliesi (i turcenjille oppure i cazzemàrre).

Esiste un piatto tipico palermitano chiamato stigghiuole simile al nostro, considerato un piatto da strada, preparato dai stigghjulari. I budelli sono avvolti però intorno a una stecca di lardo. Per un mese non andate a controllare i livelli del colesterolo altrimenti vi viene un colpo!

Anticamente si usavano i budelli anche per la fabbricazione di corde per gli strumenti musicali ad arco. Ai tempi di Mozart, e di Paganini, e fino agli inizi del ‘900 le corde dei violini erano di budello.

Io, ex contrabbassista, negli anni ’60 usavo solo corde di budello sul mio strumento, anche perché non esistevano corde di altro tipo. Ora per il contrabbasso si usano corde forse di plastica, ma rivestite con una spirale di metallo.   Scusate parlo ogni tanto della mia storia personale, ma essa rispecchia l’evoluzione dei tempi e della tecnica.

Io comunque, scusate se torno a parlare di me, preferisco pensare alle nostre stegghjöle come base per la preparazione dei succulenti turcenjille (←clicca) da cuocere alla brace!
La plastica e il metallo sanno troppo di tecnologico…e non si possono mettere sotto i denti!

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Rjanéte

 

Rjanéte s.f. = “Reganata” Pietanza tipica

In Sicilia con questo nome indicano una gustosa focaccia con pomodori, aglio, acciughe, pecorino e origano.

Da noi rjanéte,  che l’origano proprio non lo vede, nonostante il nome (rìjene o rìnje da cui forse potrebbe derivare), è una gustosa pietanza di carne o pesce.

È diffusa in tutta la Capitanata, e viene cotta al forno con tante patate a contorno.

Quella per eccellenza, ‘a rjanéte p’a sìccia chjöne, ha per protagonista la seppia, ripiena di un impasto composto principalmente da mollica di pane sbriciolata, uovo e pecorino grattugiato.   Una volta adagiata nella teglia, intorno alla seppia si dispongono patate a tocchetti, olio, sale, pomodori tagliati a pezzi, aglio e prezzemolo. Durante la cottura nel forno sprigiona un profumo che investe la cucina e si spande addirittura all’esterno della casa.

Quando non esistevano i forni domestici, si mandavano a cuocere al forno pubblico, e il tragitto di ritorno all’ora di pranzo, provocava l’invidia dei passanti golosi.

Altri protagonisti della rjanéte erano il baccalà, la testina di agnello (Clicca→ capuzzèlle), gli involtini (Clicca→ cazzemarre e turcenjille) o anche, come ultima risorsa, il polpettone di carne bovina tritata.

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Rèzze

Rèzze s.f. = Rezza, pannicolo adiposo

Strato di tessuto connettivo o membrana che avvolge un organo o che riveste una cavità interna del corpo umano e animale.

Mi piace parlare di quello animale….

Specialmente di quello dgli agnelli: la rezza, assieme alle interiora dell’agnello, serve a preparare i gustosissimi turcenjille (vedi: turcenjille e cazzemarre).

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Ndurcegghjé

Ndurcegghjé v.t. = Attorcigliare

Specificamente deriva da tòrce, torcere, strizzare . Durante la fase di lavaggio a mano di biancheria, torcere i panni per strizzarne l’acqua al massimo prima di porli a sciorinare sullo stenditoio.

L’atto si estende anche ad altre applicazione. come ad es. fanno i carpentieri che attorcigliano il fil di ferro per fissare le bacchette del tondino di ferro da armatura dei plinti o dei pilastri prima della gettata del calcestruzzo.

Il verbo ndurcegghjàrece è riferito ai panni stesi che, per effetto della ventilazione, si attorcigliano alla cordicella e si accavallano tra di loro.

Va bene anche per descrivere cavi elettrici ammassati. Ne so qualcosa quando vedo il cablaggio ndurcegghjéte dietro il computer.!…un inestricabile groviglio di fili: quello del mouse, degli altoparlanti, della videocamera, della tastiera, del monitor, del modem. della stampante, dello scanner. Meno male che io non ho il dolby-surround (si scrive così?).

E non parliamo del cavo a spirale della cornetta del telefono che ce ndurcegghjöje molto spesso. Benvenuto sia il cordless !

Chissà se i ndurce e i turcenjille etimologicamente derivano da questo verbo….

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La pèchere pe giustìzzje e l’agnjille pe desgrazzje

La pèchere pe giustìzzje e l’agnjille pe desgrazzje

Alla lettera significa: la pecora per giustizia e l’agnello per disgrazia.

Va chiarito che si tratta di linguaggio figurato, come avviene in quasi tutti i proverbi. La pecora e l’agnello simboleggiano gli esseri umani, gli anziani e i giovani.

Il tema è la morte.
Se essa ghermisce una persona avanti negli anni, è in qualche modo giustificata (giustìzzje = è giusto), ma se raggiunge una persona giovane è sicuramente una sciagura (desgrazzje = è sventura)..

Il proverbio è chiaramente un po’ consolatorio come per dire che se muore una persona adulta, l’evento è, diciamo, assimilato, metabolizzato come una svolta naturale e attendibile: la sua vita l’ha vissuta ormai…

Se invece muore un individuo giovane in dolore è straziante e inconsolabile.

Insomma se muore un genitore, i figli si rassegnano in tempi relativamente brevi . Se invece muore un figlio i genitori non si rassegnano mai. Vero?

Nostro Signore stesso è presentato come l’Agnello sacrificale.

Scusate se sono scivolato su un argomento un po’ triste. La vita stessa è questa.

Io penso che convenga a questo punto pensare piuttosto all’agnello cotto alla brace con numerosi turcenjille

Il proverbio mi è stato riferito e spiegato dalla signora Nella Riccardo, ultra-ottantenne, che voglio ringraziare qui pubblicamente.

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Ghjòmmere

Ghjòmmere s.m. = Gomitolo di filo.

Deriva dal latino glomerem.

Palla di filo dipanato

Si comprava il filo di cotone a matasse (a bomméce). Lo si passava a gomitolo per avere il filo continuo senza pericolo di aggrovigliamento. E poi si usava per sferruzzare.

Le nostre nonne erano abilissime ai ferri (per farne calzettoni) o all’uncinetto (firracruscé= francese “fer-à-crocher” = ferro da uncinare, da agganciare).

I Napoletani pronunciano gliòmmere (con la ‘gl’ di figli, non di glicine).

Quelli piccoli, i gomitolini diconsi ghjiumarjille,
In altre provincie (gnumeridde, gnumeriedde, gnimeredde) indicano i nostrani torcinelli  (←clicca)

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Fèdeche

Premetto che il termine esposto è stato usato fino alla mia generazione. Ora i ragazzi che hanno frequentato la scuola dell’obbligo hanno un po’ snaturato il dialetto e dicono fèghete, quasi come il corrispondente lemma italiano.

Il fegatoè una ghiandola interna molto importante per il metabolismo degli appartenenti alla fauna terrestre, marina, umani compresi. Non voglio fare una disquisizione scientifica…

Preferisco guardare il fegato dal punto di vista gastronomico. Infatti viene usato a fette cotto alla piastra, o in umido con la cipolla. Usato a pezzettini nella confezione dei turcenjille pugliesi.

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Curatèlle

Curatèlle s.f. = Corata

Si intende la corata di agnello o di capretto, ossia la trachea, il cuore, i polmoni, la milza e il fegato. Con un sinonimo si chiamava ‘u cambanere = il campanile, perchè tutto l’apparato veniva appesa con un gancio all’interno delle macellerie a far bella mostra di sè.

Nella foto i vari organi sono stati separati per la preparazione di un delizioso soffritto, o di un gustoso cazzemàrre o di molteplici turcenjille.

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