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Taratóffe

Taratóffe s.m. = Uovo di mare, o limone di mare

Non credo che abbia un nome specifico in lingua italiana. In dialetto ha un’assonanza con “tartufo”

Si tratta di un’ascidia (Microcosmus sulcatus) ricercata come frutto di mare un po’ speciale.  Si pesca su fondali rocciosi o sabbiosi coperti di detriti, ed è a forma di piccolo otre (max cm. 15), contenente un frutto giallo, con tunica arancione o rossa.

Il sacchettino contentente il frutto del taratóffe non è individuabile a causa della forte ricopertura di organismi epibionti (che vivono sopra altri organismii), come alghe, spugne, antozoi (animali a forma di fiore) o altre ascidie (animali a forma di otre che si nutrono per filtrazione).
….Come sono difficili queste ricerche!….

Il frutto è ritenuto un cibo afrodisiaco. Non tutti lo apprezzano però, perché emana un odore come di acido fenico, un tipo di disinfettante.  Insomma è un frutto di mare tipico, adatto a palati coraggiosi!

Era considerato cibo dei poveri, come i caperrüne = i murici , i mósce = mussoli e i carècchje = canestrelle e alle cozze pelöse

 

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Tarallüne

Tarallüne s.m. = Ciambelline

Tarallüne p’u vüne bianghe = Tarallini con il vino bianco. Dolce pasquale.

In questo impasto, oltre a farina, zucchero e uova, si aggiunge anche un bicchiere di vino bianco, che conferisce all’impasto un profumo particolare.

Si conservano a lungo.

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Taralle

Taralle s.m. = Ciambella 

Qualsiasi tipo di ciambella viene chiamato tarallo.

Intendiamo qui evidenziare i “Taralle pe l’öve” = taralli con le uova, tipico biscotto pasquale.

L’impasto è formato sempre di farina e uova, con meno zuchero delle scarielle. La pezzatura va fino a 10 cm. di diametro.

Le ciambelle vengono spalmate di giulebbe (impasto cremoso di chiare d’uovo montate a neve e abbondantissimo zucchero) e cosparsi di confettini colorati.

Si chiamano taralle ‘ngeleppéte (pieni di giulebbe) o anche alla maniera montanara chialètte s.m.

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Tammaröne

Tammaröne s.m. = Monticello

Accumulo di terra e sassi naturale o artificiale, mucchio elevato di materiale vario (spazzatura, tufina, sabbione, frumento, ecc.)

Quann’ànne scarechéte a frascjüme ànne fatte ‘nu tammaröne qua ‘nnande (o ‘nnanze) 
= Quando hanno scaricato la tufina hanno creato un monticello qua davanti.

Per estensione significa anche una quantità notevole di materiale che può essere raccolto e trasportato fra le braccia in una sola volta.

L’ho sentita al mercatino da un fruttivendolo a suo fratello che doveva pesare due chili di cime di rapa:E mìtte l’ati ciüme de répe jind’a velànze! Quanne uà mètte ‘nu tammaröne e quanne uà mètte a jüne a jüne = Metti le altre cime di rapa nella bilancia! Quando ne mette una bracciata (in peso eccessivo) e quando ne mette ad una ad una (e non raggiungge mai il peso richiesto).

Ho chiesto che cos’è ‘u tammaröne? Quello che si porta con le braccia: una bracciata di erba.

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Taleföne

Taleföne s.m. = Delfino.

Nome comune di varie specie di mammiferi marini, con pinna dorsale ben sviluppata, caratteristico muso a becco, cervello particolarmente voluminoso.
Il delfino era temuto dai pescatori per gli squarci che, se imbrigliato, arrecava alle reti nel tentativo di liberarsi.

Per noi Manfredoniani il delfino per antonomasia era Filippo (Tursiops truncatus) che viveva nello specchio di mare antistante la nostra città, e misteriosamente ucciso nel 2004.

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Tajèrre

Tajèrre s.m. = Tailleur

Abito completo da donna formato da una giacca di taglio piuttosto maschile e da una gonna dello stesso tessuto o di un tessuto coordinato.
In epoca più recente è andato di moda il tajèrre-a- pandalöne = tailleur-pantalone.

Termine intraducibile importato dal francese (pron. tajör) nella lingua italiana e quindi nel dialetto.

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Tagghjatöre

Tagghjatöre s.m. = Tagliolo a codolo

Accettabile anche la versione tagghjatüre.
È un attrezzo dei fabbri.  Si tratta do uno “scalpello passivo” a cuneo,  con il taglio rivolto verso l’alto e munito di codolo che si inserisce in uno dei fori del piano dell’incudine.
Viene usato come base su cui poggiare il ferro arroventato da tagliare, semplicemente martellandolo in corrispondenza e in direzione del suo filo di taglio fino al distacco delle parti da recidere.

Perciò il tagliolo agisce passivamente: non si batte sullo scalpello ma sul ferro da tagliare.

A parte la descrizione tecnica, diciamo che dopo aver eseguito il suo taglio, il fabbro ripone l’attrezzo infilando il suo codolo in un anello fissato al ceppo dell’incudine, per averlo sempre a portata di mano.

Nella foto è quell’oggetto a sezione di triangolo acuto che sporge sull’incudine accanto al martello.

Tagghjatöre viene da tagghjé = tagliare.
Avevo pensato di tradurre  con  “tagliatore” o “tagliatoio”.  Poi ho scoperto, dopo varie ricerche in rete, che il suo nome specifico in italiano è “tagliolo”.

Oltre a quello riponibile dei fabbri, esiste il tagliolo fisso, ben piantato in un ceppo di legno o saldato ad una piastra metallica, e viene usato dai mosaicisti per tagliare le tessere musive nella forma e nella misura voluta.

 
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Tagghjafùrce

Tagghjafùrce s.m. = Forbicina (zool.)

E’ un insetto (Forficula auricularia) fitofago (mangia vegetali), dell’ordine dei Dermatteri, famiglia delle Forficulidae, e può attaccare colture erbacee in pieno campo, ortive, ornamentali e arboree da frutto.

Erroneamente fu ritenuto pericoloso per i bambini. Con l’appendice biforcuta a guisa di forbicetta riescono a infliggere solo leggeri pizzichi, ma sono insetti del tutto innocui.

In casa lo possiamo trovare ospite in qualche frutto, specie nei dolcissimi fichi o nei fioroni, penetrati in essi dal fondo, mai dal picciolo.

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Tàgghja-buàtte

Tàgghja-buàtte soprann.= Apriscatole.

Arnese capace di tagliare il fondo di una scatola metallica. Di uso comune nelle nostre case.

Il termine è composto da tagghjé = tagliare e buàtte = scatole.

Si tratta di un soprannome locale della famiglia La Scala

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Taffe-e-ttàffe

Taffe-e-ttàffe – s.m. = Taffettà

Il termine taftah è di origine persiana, ed è diventato internazionale per l’influenza che la moda francese ha avuto nei secoli in tutto il mondo.

“Uno dei più bei tessuti in seta, con armatura a tela, caratterizzato da una densità di ordito superiore a quella di trama. Ha struttura serrata e quasi rigida, di aspetto lucido e luminoso, mano frusciante a ogni minimo movimento, leggerissimo e brillante. (Da Wikipedia)

I riflessi iride nel taffetà cangiante sono ottenuti usando in trama e in ordito filati di colori diversi.

Esiste anche il taffettà tessuto con fibre artificiali e sintetiche, molto meno pregiato.

Molto utilizzato sia nell’arredamento che nell’abbigliamento da epoche lontane, divenne il tessuto più in voga nel XVIII secolo, usato per confezionare raffinati e fruscianti abiti sia maschili che femminili, secondo il gusto Rococò del tempo.
Oggi è soprattutto usato nella moda femminile per confezionarne gonne, abiti eleganti e sciarpe, fruscianti e lucidi.; e per arredamento in tendaggi.”

Fine della parte seria.
A me piace evidenziare la storpiatura che il dialetto popolare è riuscita a combinare sul nome di questo tessuto. Le sartine lo pronunciavano bene, taffettà, ma le allieve lo hanno deformato forse volutamente in taffe-e-ttaffe, così come ci è sucessivamente pervenuto.

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