Tag: sostantivo maschile

Patraške

Patràške s.m. = Passero

Il passero domestico [o passera europea o passera oltremontana (Passer domesticus, Linnaeus 1758)], chiamato più spesso semplicemente passero, è probabilmente l’uccello più diffuso e noto in Italia e in Europa, sia nelle città, sia nelle campagne (da Wikipedia).

Il termine molto vagamente somiglia all’inglese sparrow ed è del tutto desueto: lo ricordano solo gli ultraottantenni…

Grazie alla lettrice Anna Maria per il suggerimento.

Ora è più diffuso il vezzeggiativo/diminutivo passarjille = passerotto, con cui i più maliziosi identificano il pisellino degli adolescenti, quello in età pre puberale, analogamente a vucjille = uccello.

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Pasùnne

Pasùnne s.m. = Tontolone

Al femminile fa Pasònne

Soggetto tardo a comprendere e ad agire, stupido, intontito, che agisce come fosse sempre assonnato (da cui il nome pasùnne, con un sonno…).

Aspìtte e aspìtte, ‘stu pasùnne nen’arrevöve méje! = Aspetta e aspetta, questo tontolone non arrivava mai!

Quann’jì ca ve speccéte?… Sti doje pasònne! = Quand’è che vi sbrigate? Queste due morte di sonno!

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Pastöre

Pastöre s.f. = Bandana a tracolla, pastoia

1) ‘A pastöre = Striscia di robusta tela olona cucita ad anello che i pescatori adibiti a salpare la sciabica portavano a tracolla. L’anello di tela terminava con una sagola e un grosso sughero.

I pescatori entravano in mare finché il pelo dell’acqua lambiva il ginocchio.

Avvolgevano con un rapido movimento la sagola al tirante della rete e spingendo con la forza muscolare come i muli attaccati all’aratro, portavano la rete della sciabica fino a riva, ripetendo il movimento di andata in acqua a vuoto e ritorno alla battigia sotto sforzo.

2) ‘A pastöre = Pastoia. Corda legata alle zampe degli animali per ternerli frenati.
Si lega alle zampe anteriori degli animali al pascolo, per evitare che si allontanino troppo.
Usata anche per le bestie da latte per tenerle ferme durante la mungitura manuale.

3) ‘U pastöre s.m. = Pastore. Chi custodisce e porta al pascolo il bestiame, spec. ovini e caprini. Comunque questo termine in dialetto manfredoniano è piuttosto desueto. Si preferisce dire più specificamente: pecuréle = pecoraio; crapére = capraio; e vacchére = bovaro, vaccaro.

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Passaméne

Passaméne s.m. = Corrimano

Lunga asta di metallo o legno infissa lungo la parete della scalinata con sostegni distanziati, che serve come appoggio.

È presente anche sui mezzi di trasporto urbani, in forma tubolare, cui si aggrappano i passeggeri per sorreggersi durante la corsa.

Intendiamo con passaméne indicare anche la parte superiore ringhiere, parapetti, perlopiù in ferro, o legno, di balconi, scale, terrazze ecc.

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Paranghele

Paranghéle s.m. = Palàmito, palangaro.

Grande attrezzo adoperato per la pesca d’alto mare, costituito da una lunga cima distesa orizzontalmente, da cui pendono centinaia di lenze (tecnicamente dette palamére = braccioli) distanziate tra loro di 50 cm e terminanti ciascuna con un amo innescato (con esca).

Usato anche come forma simil-italiano palamüte. Non mi piace.

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Paradüse

Paradüse s.m. = Paradiso

In molte religioni, si definisce Paradiso quel luogo in cui sono radunate le anime dei giusti dopo la morte, e sono esaltate in modo eccelso dalla diretta visione di Dio.

Per estensione si definisce ‘nu paradüse un luogo reale della terra bellissimo e incontaminato.

So’ stéte alla Sicìlje: ‘nu paradüse = Sono stato in Sicilia: un vero paradiso.

Per dire “in paradiso” si dice ‘mbaradüse, legando “in” al sostantivo. Qualcuno dice ‘mbaravüse. Per me vanno bene entrambe le versioni.

Ecco un’interessantissima dissertazione di Enzo Renato sulla pronuncia di‘mbaradüse ‘mbaravüse:

 Mbaravüse in realtà lo dicono i Montanari ed i Montagnoli anche se non escludo che anticamente si dicesse così anche da noi.

Difatti, taluni antichi termini manfredoniani, oggi appaiono ai più come termini montanari, ma solo perché in tale dialetto essi si sono meglio conservati.

Il dialetto manfredoniano invece ha subito, negli ultimi decenni, una maggiore italianizzazione.

Tipici esempi:
– da iniziale doppia d si è passati alla doppia (cepòlle in luogo di cepòdde;cavàlle, martjidde diventati cavàlle, martjille. È rimasto códde per dire “quello”.

– da sc si è passati a j. da desciüne, scì dejüne, jì).

A Monte San’Angelo esistono così tuttora, sono rimasti invariati.

Inoltre la convivenza con la popolazione montanara generata, non solo dalla vicinanza, ma anche dai continui e frequenti matrimoni tra questa e quella gente, da sempre attestati nella storia, e maggiormente accentuata a seguito dell’emigrazione di massa, avvenuta nel secolo scorso, da Monte a Manfredonia, hanno creato una tale promiscuità di gente e di dialetti, che oggi è davvero un arduo compito individuare o riconoscere l’appartenenza esclusiva e totale di un certo termine ad uno dei due dialetti.

La mia convinzione è che, in definitiva, anticamente il nostro dialetto non doveva differire poi tanto da quello di Monte Sant’Ant’Angelo, se non nella pronuncia (che è tutt’oggi spiccatamente diversa).”

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Papùnne

Papùnne s.m. = Babau, l’uomo nero.

‘U papùnne (o anche papònne) era un personaggio orribile, evocato dalle mamme per spaventare i figli irrequieti e convincerli a rigar dritto.

Il “mostro” poteva arrivare immediatamente, proprio quando loro facevano i capricci.

Uì, mò vöne ‘u papùnne = Ecco, (lo vedi) ora viene il Babau!

Ai monelli le brave mamme raccontavano addirittura che ‘u papùnne avrebbe afferrato i bambini “cattivi” li avrebbe calati in un sacco per portarseli via nel bosco a mangiarseli! Perciò, zitti e calmi!

Nessuno ci credeva, né la mammina, né i discoli…..ma funzionava, almeno le prime volte.

Ricordo una vecchia canzoncina delle nostre mamme:

Uh Madonne! Uh Madonne!
sott’u ljitte sté ‘u papònne!
Jü lu fazze pe caccé,
e sèmbe a qua ce völe sté!

Traduzione: Oh, Madonna, oh Madonna, sotto il letto sta il babau! Io faccio (agisco) per scacciarlo (ma) sempre qua vuole restare.

Il mio amico Michele Carbonelli, che ringrazio vivamente, fa questa deliziosa descrizione:
«’U papunne.
Aleggiava in ogni casa, prediligeva stare sotto al letto o nello stipo a muro. Lentamente si alzava quando veniva chiamato per incutere paura ai bambini disobbedienti.
Figura d’oltretomba somigliante più ad nube bassa e cupa che ad un fantasma. A modo suo cattivo con vene di bontà: non si ricordano azioni persecutorie ai danni di anime deboli.
Era considerato uno di famiglia, un parente invisibile da temere, sempre presente all’occorrenza. Non attirava folle e non amava alcool e droga [come probabilmente accade con le varie attuali “Samara” in carne e ossa, che compaiono ormai ovunque come una sfida stupida-ndr] Un tipo solitario e tutto sommato pacifico, ma sempre pronto ad intervenire per sedare capricci, pianti e desideri impossibili.»

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Pàppele

Pàppele s.m. = Tonchio

Nome generico di diverse specie di coleotteri della famiglia dei Bruchidi che, allo stato larvale, sono dannosi per molte piante della famiglia delle Papilionacee e per i frutti secchi di tali piante.

Il tonchio della fava è chiamato dagli specialisti Bruchus rufimanus, quello del pisello Bruchus pisorum e quello dei fagioli Acanthoscelides obsoletus.

Mamma mia che nomi! J’ chiù mègghje a düce pàppele = È meglio dire tonchio

Nel napoletano ho sentito pronunciare pàppece.

Il termine nostrano deriva dal greco antico peplos.

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Papagghjöne

Papagghjöne s.m. = Zanzariera

Zanzariera a baldacchino, montata attorno al letto, molto usata nelle campagne per difendersi dalle punture della zanzara anòfele, (che trasmette la malaria).

Ricordiamoci che le campagne del Tavoliere per la presenza di paludi, erano infestate da questi insetti e che i lavoratori della terra che le frequentavano erano inesorabilmente colpiti dalla malaria.  

La zanzariera a baldacchino era confezionata per letti singoli, matrimoniali e anche per culle.

Ovviamente non esistevano né insetticidi e né Autan.

Proteggendosi con questi veli dall’assalto delle zanzare si cercava di prevenire la malaria.
Per combatterla si adoperava il Chinino (‘u Chenüne).

Per evitare speculazioni, alla fine del 1800 la produzione del farmaco fu affidata ai “Monopòli di Stato”.  Il “Chinino di Stato” (←clicca) fu posto in vendita nelle tabaccherie, perché era un prodotto del Monopolio, ma soprattutto perché le rivendite erano diffuse capillarmente anche nei centri rurali, ove le farmacie non erano presenti.

Con la bonifica del lago Salso (←clicca) e delle paludi costiere della Capitanata, avviata a fine ‘800 e accelerata negli anni ’30, oggi nel Tavoliere la malaria può dirsi completamente debellata.   Ora dobbiamo guardarci dalla “zanzara tigre”.

Un tipo di zanzariera “a cupola” è usata dai campeggiatori per proteggersi dalle zanzare e da tutti i tipi di insetti volanti.

Nelle campagne della Daunia con questo nome si designa tutto l’insieme, ossia: la zanzariera, la brandina e  il  giaciglio, formato dal pagliericcio riempito di paglia.

Forse il suo nome deriva proprio da paglia (pagghje).

 

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Pannègge

Pannègge s.m. = Tendina

Il termine italiano panneggio indica l’arte di disporre le pieghe di un tessuto, in partic., la sua rappresentazione artistica.

Da noi invece è proprio il “panno”, la tendina che protegge la nostra privacy.

Tenuto conto che una volta moltissime abitazioni erano collocate a piano terra, specie all’ora di pranzo o di cena, una delle cose da fare prima ancora di apparecchiare il desco, era quella di “mené ‘i pannègge“, ossia di accostare le tendine della vetrata, per proteggerci dagli sguardi indiscreti di tutti i passanti.

Dopo aver pranzato, si discostavano le tendine per consentire alla luce di illuminare meglio la casa. Di sera si lasciavano accostate. Si fissavano ai due montanti della “vetrüne” = uscio a vetro, mediante bacchette e canganjille = ganci a con codolo a vite.

Ovviamente anche ai piani superiori, per arredamento, non potevano mancare le tendine. Le ragazze da marito le confezionavano pazientemente con pizzi e ricami.

La versione moderna ‘i tendüne = le tendine è il risultato di un d.g.m. (dialetto geneticamente modificato).

Posso capire ‘i tènde = le tende, quelle che pendono dal soffitto, con tanto di bastone o di carrello, usate ora anche nelle rare abitazioni al piano terra.

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