Tag: sostantivo maschile

Giüravüte

Giüravüte s.m. = Cacciavite

È ammessa anche la grafia geravüte, tanto la pronuncia è praticamente uguale.

Deriva da gira, girare (avvita o svita) e da vite. Dovrebbe essere “giravite”, ma in italiano non è ammesso.

Attrezzo del falegname, del meccanico dell’orologiaio ecc. usato per allentare o stringere le viti di qls dimensioni. La dimensione dell’attrezzo è ovviamente proporzionata alla vite da trattare.

È costituito da un’asta di metallo con manico. Può avere l’estremità a lama dritta, detto giüravüte a tàgghje = cacciavite a taglio, e può avere la lama terminante con una croce in rilievo, detto giüravüte a stèlle = cacciavite a stella.

Dice l’hobbista parafrasando Archimede (che certamente lo adoperava anche lui), datemi un cacciavite e vi solleverò il mondo.

Ora esistono gli avvitatori elettrici a batteria ricaricabile. Però la serrata finale conviene sempre darla a mano!

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Giudöje

Giudöje s.m. = Giudeo, Israeliano

Erroneamente, per tradizione cristiana medievale, che riteneva Israele una nazione deicida, Giudeo era sinonimo di soggetto malvagio, scaltro, traditore, usuraio, e chi più ne ha più ne metta.

È più corretto comunque dire Israeliano, essendo la Giudea, come la Samaria, o il Golan, (e la stessa Palestina), solo delle Regioni dello Stato ebraico moderno.

Al plurale suona Giudüje.

Assemègghje a Crìste ammjizze ‘i Giudüje = Mi sembra Cristo in mezzo ai Giudei. Per esempio un imputato nell’Aula del Tribunale, fra due Carabinieri durante lo svolgimento del Processo.

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Giajànde

Giajànde s.m. = Gigante, colosso

Descrive un omone grande e grosso.

Ho sentito dire anche ” ‘U giajànde Maradòsse” per definire un “guappo di cartone” o uno spaccone, uno sbruffone. “Mo’, sinte a jìsse, ’stu giajànde Maradòsse!” = Adesso, sentilo, quest’uomo da niente!

Il “gigante” di Siponto era una figura mitica, costruita dalla nostra fantasia di bambini, a misura delle dimensioni del grande sarcofago di pietra tuttora esistente nella cripta della Basilica di S.Maria Maggiore di Siponto (abbàsce ‘a Sepundüne).

“Mado’ avöv’ a jèsse ‘nu giajànde, ‘nu colosse! Ha vìste quant’jì?” = Madonna aveva da essere un gigante, un colosso! Hai visto quant’è?

Quindi “giajande” significa sì gigante, ma, per estensione, anche: gioiello, coccolino, bambolotto, cöre de mamme, e mille altri modi che le tenerissime madri sanno trovare per vezzeggiare i loro bambini

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Ghjòmmere

Ghjòmmere s.m. = Gomitolo di filo.

Deriva dal latino glomus – glomeris.
Accettabile anche ghjòmere, con una sola “m” e gghjòmere con iniziale semplice o doppia.
Si tratta di una palla di filo dipanato e avvolto a mano.

Si comprava il filo (di cotone o di lana) a matasse (a bomméce). Lo si avvolgeva a gomitolo per avere il filo continuo senza pericolo di aggrovigliamento. E poi si usava per sferruzzare.

Le nostre nonne erano abilissime ai ferri (per farne calzettoni) o all’uncinetto (firracruscé= francese “fer-à-crocher” = ferro da uncinare, da agganciare).

I Napoletani pronunciano gliòmmere (con la ‘gl’ di figli, non di glicine).

Quelli più piccoli sono detti ghjumarjille,
In altre provincie di Puglia e Basilicata questa voce diminutiva (gnumeridde, gnumeriedde, gnimeredde) indica i nostrani torcinelli  (←clicca).

Per le donne che amano lavorare ai ferri, sono in commercio dei gomitoli pronti, preparati industrialmente, che hanno una forma ovoidale, non sferica.
Per distinguere i due formati, questi in dialetto vengono chiamati gumìtele, con voce simil-italiana.

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Gènje

Gènje s.m. = gusto, gradimento.

In italiano si dice che qlcu o qlco o qlc azione va a genio per indicare che è simpatico, gradito.

In dialetto si dice Tenì gènje = Aver genio, piacere, voglia.

Jògge nen tènghe gènje de fé njinde = Oggi non ho voglia di fare niente.

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Gelècche 

Gelècche s.m. = Panciotto

Corpetto senza maniche da portare sotto la giacca.

Termine francese gilet (leggi gilè) passato nel nostro dialetto un po’ storpiato.

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Gattò 

Gattò s.m. = Torta in genere (dolce o salata).

Chiedete alle vostre mamme se conoscono il famoso gattò di patate. Una delizia al forno molto morbida e profumata. Parola derivante dal francese Gateau (pronuncia gatò) = torta, pasticcio.

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Gagarjìlle 

Gagarjìlle s.m. = Elegante

Il termine, che deriva da “gagà” (giovane affettato, che ostenta eleganza e raffinatezza), era molto in voga nella moda degli anni ‘50,

Io lo ricordo bene. Quando avevo 16-17 anni, e mi vestivo con abiti appropriati per andare a ballare sulle terrazze, indossavo:

-il pantalone lungo di makò (cotone egiziano molto fine),
-la camicia bianca di nylon con gli immancabili stecchini per reggere dritto il colletto,
-la cravatta rossa,
-il gilet double-face rosso o nero,
-la giacca “a pioggia” cioè di tessuto sulla cui superficie a vista affioravano, come tanti piccolissimi nodi, tanti punti colorati con svariate gradazioni di beige.

Le ragazzotte dicevano tra di loro (ma io captavo): “Guard’a jìsse, c’jì vestüte accüme a ‘nu gagarille!”… = Guarda lui, si è vestito come un dandy!

Beh, mi faceva proprio piacere sentirlo dire…

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Furbeciöne

Furbeciöne s.m. = Pettegolo

Persona che sparla dei fatti e comportamenti altrui. Di solito è un tale chiacchierone e maldicente.

Generalmente si riferisce a soggetti femminili. Vi assicuro che ci sono anche i maschietti dediti al gossip.

Se poi si mettono in due…(i famosi Furbeciüni, Franco Rinaldi e Lello Castriotta) immaginate quanti panni addosso sono capaci di tagliare!

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Funére

Funére s.m. = Cordaio, funaio

Chi fa spaghi, sagole, cime, corde, funi, e gomene ad uso della marineria locale utilizzando fibre tessili, operando in maniera artigiana.

Un ragazzo manovrava una ruota a tamburo che dava il movimento rapido, mediante una cinghia di trasmissione, a dei mandrini cui si fissava la canapa grezza da torcere e riavvolgere. Il cordaio, indietreggiando, e lasciando attorcigliare la canapa che reggeva intorno alla vita, otteneva uno spago lunghissimo.

Nei successivi passaggi attorcigliando più volte questi spaghi otteneva una fune della grossezza voluta.

Un cordaio operava all’interno dello Stadio Miramare (allora non era recintato) parallelamente al viale. Un altro (o lo stesso?) dov’è ora l’Hotel Gargano. Questo che vediamo nella foto ha montato la sua ruota probabilmente sul “Tratturo di Pulsano”  o nei pressi dell’attuale Zona mercatale, in Zona Scaloria.

Anche colui che vendeva questi prodotti era chiamato ‘u funére.

Io ricordo il negozio di De Gennaro,  proprio di fronte alla Farmacia Centrale Murgo, che vendeva cordame e reti da pesca di sua produzione.

La produzione industriale delle funi, confezionate con fibre sintetiche anziché con la canapa, ha introdotto sul mercato spaghi, sagole, cime e gomene resistenti e  immarcescibili. Di conseguenza ha causato la scomparsa di questo antico mestiere.

Ringrazio l’amico Matteo Borgia per avermi fornito la foto pubblicata in questo articolo.

Vi propongo una poesia del nostro poeta dialettale Lino Nenna, tratta dalla sua raccolta “Pètele de röse” (Petali di rosa), dedicati ad una figura scomparsa dalla nostra Manfredonia.

‘U funére

‘Nnanze e dröte
‘u funére jì jüte
e quanda zöche ho arravugghiète;
pe lu cüle ‘ndröte jöve
e de fàcce sèmbe returnöve.

Da ‘u söle ca l’abbrunzöve
‘na pagliètte nghèpe ce mettöve.

Pe’ sedöre e pe fatüje
matasse e ghiòmmere
ho mìsse ‘nfüle.

‘Mbàcce ‘a röte ‘u uagnöne
ca aggeröve ‘a manuèlle
peccenìnne e tenerjille
au patrüne stöve attjinde.

P’aggeré forte o chiéne
Lu sendöve da lundéne.

Sòtte e söpe ‘u funére jì jüte
C’a matasse de la vüte.

Traduzione per i lettori non locali.:
Avanti e indietro il cordaio è andato e quanta corda ha avvolto; a ritroso indietro andava e di faccia sempre ritornava. (Per ripararsi) dal sole che l’abbronzava, un cappello di paglia in testa si metteva. Con sudore e con fatica matasse e gomitoli ha messo in fila. Di fronte alla ruota il ragazzino che girava la manovella, piccolo e tenero al (comando del) padrone stava attento. Per girare forte o piano lo sentiva da lontano. Sotto e sopra il cordaio è andato con la matassa della vita.

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