Tag: Verbo transitivo

Cazzié 

Cazzié v.t. = Rimproverare aspramente

Sgridare, riprendere qlcu per il suo comportamento scorretto.

Fàmmene jì, non vogghje jèsse cazziéte da pàteme. = Lasciami andare, non voglio essere rimbeccato da mio padre.

Possiamo far derivare questo verbo dalla locuzione italiana “prendere qlcu a pesci in faccia” nella versione volgare, ove – secondo l’uso napoletano – il sostantivo “pesce”, in senso figurato, vuol dire un’altra cosa.

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Cavedjé

Cavedjé v.t. = Arroventare.

Riscaldare un pezzo di ferro nella forgia [‘a fucenètte] per permettere al fabbro, una volta afferratolo con la tenaglia a marre lunghe, di lavorarlo sull’incudine con il martello, per dargli la forma voluta.

Sin. Mètte a càvede [o a cavedjé]= Mettere (il ferro) a caldo, ad arroventare.

Cavedjé biànghe = Arroventare bianco, cioè al massimo possibile. Infatti appena tolto dai carboni il ferro assume un colore vivissimo tendente al bianco. Man mano che si raffredda il colore di affievolisce, assume una colorazione arancione, poi rossastra, poi color mattone. Quando la brillantezza scompare il ferro non è più malleabile perché indurito .

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Carusjille

Carusjille s.m. = Salvadanaio, gruzzoletto

È un sinonimo di puste, salvadanaio.

Ma anche il solo suo contentuto, inteso come gruzzoletto raggranellato, ‘nzumeléte, o ‘u ‘nzumelìcchje

derivato da ‘nzumelé = assommare

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Caruséje

Caruséje v.t. = Tosare

Accettabile anche la versione carusé.

Propriamente il termine significa tosare le pecore, ma per estensione il verbo è passato agli umani, quando vanno dal barbiere a farsi tagliare i capelli, specie se l’operazione precedente risale a molto tempo prima e la capigliatura è cresciuta oltremodo.

Mò véche da ‘u varevjire e me fàzze carusé, acchessì m’jà sènde ‘n’ate e tande! = Ora vado dal barbiere e mi faccio tosare, così mi sentirò rinato.

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Carrié

Carrié v.t. = Caricare, accumulare, trasportare

Mi fa venire in mente l’insegna “Cash & carry” = Paga e carica, porta via, dei grandi magazzini ad uso dei clienti grossisti, quindi forniti di partita IVA.

Stranamente quel “carry” anche se scritto in inglese ha avuto per me manfredoniano un significato chiarissimo.

Il termine più antico era carrescé = “carreggiare”, sistemare o trasportare sul carro a trazione animale. Pensare all’immane lavoro negli anni ’30, quando hanno carriéte blocchi di pietra dalla cava dell’attuale Campo Sportivo Miramare al molo di levante per i lavori di allungamento della banchina, tutto con carrettoni a trazione animale, dalla portata massimo di 20 qli per volta.

Prima dello sfruttamento di questa cava, dal lido sabbioso la costa saliva rocciosa e uniforme fino all’altezza di via S.Giovanni Bosco (che allora non esisteva) con la stessa attuale pendenza di via dell’Arcangelo [ossia dal lido Titta a Tommasino], o di Via Alessandro Volta [dalla baracchetta di Damiano al lido Sirenetta].

Normalmente i carri avevano un uso agricolo per trasportare frumento, legna, concime organico, meloni, ecc.

Carrié i tüfe = Issare i conci di tufo.
Uno dei lavori più massacranti in edilizia, cui erano adibiti i ragazzotti, senza alcuna norma di sicurezza, che si inerpicavano sulle scale a pioli per portare ai “mastri” muratori ai piani superiori i blocchi di tufo appoggiati su una spalla. Una mano reggeva il tufo e l’altra si aggrappava ai pioli nella salita.

Carrié ‘a frasciüne = portare su la tufina, sempre a spalla sulla scala a pioli, in “caldarelle” di ferro.
E se non erano abbastanza veloci, i garzoni rischiavano di prendere una pedata dal capo-mastro così si sarebbero sveltiti!
Tutto vero, chiedete in giro agli anziani.

Abbiamo poi visto negli anni ’50 i “montacarichi” artigianali, funzionanti a mano come una carrucola, fatti con una ruota di bicicletta senza gomma sostenuta da una trave di legno. La fune passava sulla scanalatura del cerchione e issava la malta, i mattoni, ecc.Il lavoro era ugualmente molto faticoso, ma quanto meno evitava cadute letali ai garzoni.

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Capé

Capé (o Capéje) v.t. = Scegliere

Individuare, selezionare tra più cose in base a determinate caratteristiche di utilità per un fine, di convenienza in una circostanza, di idoneità ad un uso.

Generalmente si sceglie nel mercatino, tra i frutti della stessa specie, quelli che all’apparenza sembrano più sani e grossi, con disappunto del venditore che talvolta – come nella foto – esplicitamente vieta questa tendenza.
Tuttavia, ho sentito io stesso un vivace fruttivendolo che imboniva:
“Quande so’ bèlle i manderüne! Capéte, capéte! Jògge putüte capé! . Poi ripeteva in “italiano” per i forestieri che magari non potevano capire il dialetto: “Oggi potete capàre!”  Oggi potete scegliere, ma gli altri giorni no. Evidentemente non c’era bisogno di scegliere, perché i suoi mandarini erano tutti della stessa grossezza.

Te lu si’ capéte da jìnd’u mazze  a ‘stu bèlle jaròfene!= Te lo sei scelto dal mazzo (di fiori) questo  bel “garofano”!
Questa frase figurata, certamente detta in tono sarcastico e di rimprovero, veniva spesso rivolta a quella fanciulla che a suo tempo si era innamorata cotta di un mascalzone, e che ora sta passando delle tribolazioni a causa delle intemperanze di questo “garofano”.

Senza nulla togliere alla bellezza del fiore, credo che in questo caso la valenza negativa del garofano sia derivata dalla sua somiglianza con il cognome Garofalo, il “cattivo”, l’insidiatore di fanciulle ingenue, il ricattatore, il truce, in quei film di amore-gelosia-sangue, quei drammoni che tanto piacevano alle nostre nonne.

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Calé

Calé v.t. = Calare, tingere

1) Calé = calare. Far scendere lentamente, un oggetto sospeso; tramontare del sole; far capitolare le altrui convinzioni, riportare qualche dissidente alle proprie.

Uà calé = deve cambiare opinione, dovrà fare come penso io, capitolerà, non resisterà alla tentazione.

Figuratamente calé ‘a chépe = reclinare la testa significa: morire.

E mò möre Cìcce, uà vedì de chépe caléte! = Non è per ora che muore Ciccio, ne vedrà di teste reclinate!

Ossia vedrà morire tanta altra gente prima che muoia lui, notoriamente pellaccia dura

2) Calé = Tingere tessuti, indumenti.

Per la morte di un familiare si portava il lutto ristretto per anni.

Non tutti avevano la possibilità di comprare maglie, camicie e giacche nere. Allora si ricorreva alla tintura degli indumenti posseduti facendoli bollire in un pentolore assieme ad una polvere acquistata in astucci di castone nei negozi di merceria. Era prodotta dalla “Ditta Super Iride-Prato di Ruggero Benelli”, la stessa che fece la Cera Liù, il Super Faust al DDT.

Insomma i vestiti venivano ‘calati’ in acqua (come si dice in italiano calare la pasta) per la tintura.

Esistevano buste anche per altri colori. Si potevano calare ad es. camicie bianche e maglie chiare per farle diventare verde o arancione.

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Abbucché

Abbucché v.t. = Corrompere, abboccare

Abbucché 1 = Corrompere. Si usa preferibilmente nella locuzione tenì abbucchéte, come per dire far contento qlcn, riempirgli metaforicamente la bocca con regalie, in attesa di futuri favori.

In questi anni si è usato l’eufemismo “bustarella” o “tangente” distribuite generosamente solo con l’intento di ingraziarsi il destinatario per ottenere grossi appalti di opere pubbliche. Il malcostume è purtroppo diffuso tuttora a tutti i livelli della Pubblica Amministrazione, nonostante la crociata di “Mani Pulite”. È cronaca quotidiana dei notiziari televisivi.

Ma questo andazzo si verifica anche nella vita di tutti i giorni, e senza rischi di commettere reati.

Un esempio? Dare una bella mancia al cameriere di un locale di cui si è abituali clienti, in modo che ci possa riservare un buon tavolo e consigliarci un buon piatto.

Entrare nelle grazie di un commesso per evitare la fila e sbrigare più rapidamente un’operazione bancaria.

Abbucché 2 = “abboccare”, che significa come in italiano:
-prendere con la bocca, mordere l’esca
-cadere in inganno, cascarci, farsi fregare
-parlarsi, avere un colloquio, conferire, riunirsi.

Ringrazio il lettore Antonio Sorbo per il prezioso suggerimento fornitomi.

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Abbatte

Abbatte v.t. = Abbattere, demolire; sconfiggere; pulsare

Abbattere, nel senso di eliminare ostacoli:

Stöve ‘una felére d’àreve e l’hanne abbattüte = C’era una fila di alberi e li hanno eliminati.

Hanne abbattute ‘u tramjizze = Hanno demolito il muro divisorio.

Abbattere nel significato di sconfiggere:

Tu m’abbatte a me? = Sei capace di sconfiggermi nella lotta?

Uh, Madonne, ce so accucchjéte jùmene e dònne, vulèvene abbàtte a Mambredònje (canto popolare) = Oh, Madonna, si sono uniti uomini e donne, volevano distruggere Manfredonia.

Tènghe ‘nu delore de dènte: e cume m’abbatte! = Ho un dolore di denti: come mi pulsa! Cioè il dolore si acuisce e diminuisce ritmicamente, ad ogni battito cardiaco.

Abbàtte ‘a fianghètte = Il fianco bussa. Avvertire forti stimoli di fame.

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