Mese: Maggio 2018

Addjì ca arrevéme, chjandéme ‘u zìppere

Addjì ca arrevéme, chjandéme ‘u zìppere

Dove arriviamo piantiamo uno  stecco, uno zìpolo  (←clicca)

Ossia per oggi basta così.

Si usa citare questo detto per evidenziare che ogni cosa richiede il suo tempo per essere ultimata. Arriviamo dove possiamo. Poi pausa.

Credo che il Detto tragga origine dal mondo rurale. Nei lavori sui campi, se si prevede di non terminare l’opera in corso di esecuzione, figuratamente, si pianta uno stecco, in modo che l’indomani si possa riprendere esattamente da quel medesimo punto.

Si pronuncia questo Detto anche quando uno onestamente mostra i propri limiti, come dire “queste sono le mie forze” o “faccio quello che posso”. Insomma ci si ferma quando le possibilità – fisiche, economiche, intellettuali – non permettono di andare oltre.

In dialetto barese la frase è molto stringata: «Addò arrive, chiande ‘u zippe»

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Adda sènde lu škattüsce!

Adda sènde lu škattüsce!

Sentirai lo scoppiettio!

Significato: A breve avrai una spiacevole sorpresa!

È un modo di dire che si comprende appieno solo se si conosce il frecàbbele da cui deriva.

Bisogna riassumerlo qui in poche parole.

Un commerciante disonesto vendeva alla fiera dell’olio alimentare adulterato e un po’ annacquato a poco prezzo.

Un altro losco individuo girava per acquisti nella stessa fiera cercando di spacciare soldi falsi.

Si incontrarono, conclusero presto la trattativa e la compravendita.

Il falsario si compiaceva del suo successo e rivolgendosi mentalmente al venditore gabbato pensò:

“Quanne scange, a da sènde ‘u chjanda-chjande!”= Quando andrai a scambiare i soldi sentirai lo sconforto, perché solo allora ti accorgerai che io ti ho rifilato moneta falsa!

A sua volta il venditore di olio, credendo di essere stato furbo, pensò alle spalle del cliente truffato: “Quanne  früje, a da sènde lu škattüsce!” = Quando andrai a friggere sentirai lo scoppiettio!

Difatti l’olio in padella, se contiene parti di acqua, sfriggola, crepita, scoppietta. Il rapido evaporare dell’acqua a causa delle alte temperature raggiunte dall’olio, provoca pericolosi schizzi e scoppiettii.

Insomma, la morale del detto è: Chi la fa l’aspetti.

Qlcu pronuncia škattüje ritenendo škattüsce un po’ rozzo.

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Add’jì ca stanne i cambéne, stanne i putténe

Add’jì ca stanne i cambéne, stanne i putténe.

Dove stanne le campane, stanno (anche) le puttane
Qualcuno ha aggiunto una variante:
Decètte ‘a vècchje abbascia-mére: «Add’jì ca stanne i cambéne, stanne i putténe» = Disse la vecchia giù alla marina: “Dove stanno le campane, là ci sono le prostitute.”

Questo antico proverbio non vuole  proprio indicare il campanile quale ricettacolo di prostitute, perché il significato va inteso ovviamente in senso figurato.

Infatti il Detto vuole sottolineare quello che la vita ci mostra ogni giorno. All’interno di qualsiasi comunità, si può trovare il bene e il male. In essa c’è tanta brava gente, ma inevitabilmente anche qualche cattivo soggetto.

In italiano esiste un Adagio che recita: “ogni mondo è paese” per dire che le stesse cose tipiche della natura umana, virtù e nefandezze si trovano dovunque.

Vogliamo elencarle? Laboriosità, onestà, moralità, talento, moderazione, ecc.,   Ma anche: spirito di sopraffazione, ingordigia di denaro, scaltrezza, meschinità,  spregiudicatezza nelle trattative sempre a discapito altri, codardia, egoismo, venalità, ecc. ecc.

Coraggio!…. “Io, speriamo che me la cavo” (cit. Marcello D’Orta, 1992)

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Acque ca nen chjöve ‘ngjile ce tröve.

Acque ca nen chjöve ‘ngjile ce tröve.

Acqua che non piove in cielo si trova.

Variante sempre in  rima: Acque ca nen fé ‘ngjile sté = acqua che non piove in cielo sta.

Il proverbio è un po’ consolatorio quando i contadini si lamentano per le scarse precipitazioni che potrebbero compromettere i loro raccolti.

Citando il proverbio è come se sperassero in cuor loro: se l’acqua si trova il cielo, quindi, presto o tardi cadrà sui nostri campi.

Una volta, quando la Fede era più sentita, si facevano novene e processioni per auspicare la pioggia: vi assicuro che funzionava.

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Accunté ‘a storje ‘u Cecerètte

Accunté ‘a storje ‘u Cecerètte loc.id. = Raccontare le peripezie di Ceceretto.

Accunté ‘a storje d’u Cecerètte viene citato come modo di dire.

Significa raccontare per filo e per segno una lunga vicenda fin dal principio, e ricca di particolari a qualcuno che magari non le vuole nemmeno ascoltare.

Jì venüte m’ho cuntéte tutte la storje d’u Cecerètte. Nen la fenöve cchió! = E’ venuto e mi ha raccontato tutte le sue peripezie. Non la smetteva più!

Vüje nen sapüte tutte ‘i fàtte: mo’ ve l’accònde jüje tutt’a storje ‘u Cecerètte! = Voi non conoscete completamente come si sono svolti i fatti: ora vi racconto io tutta la vicenda dettagliatamente, così come si è svolta.

Cecerètte chi era costui? Era il protagonista di una interminabile e ingarbugliata fiaba per bambini.

Non la ricordo più nemmeno io, che per le cose della mia infanzia ho il buzzo buono, perché mi addormentavo sempre prima della fine…

In mio soccorso è intervenuta la lettrice MariaPia – che ringrazio di cuore – narrandomi la lunga storia di Cecerètte:

«Era una filastrocca montanara, me la raccontava mia nonna,che era originaria di Monte Sant’Angelo.
In poche parole un uomo, povero, aveva solo un cece per mangiare (il ciceretto ) e, dovendo andare a Messa, non voleva portarselo per paura che glielo rubassero; così lo volle lasciare ad una donna, che lo rassicurò del fatto che, al ritorno dalla messa, glielo avrebbe restituito.
Senonché, quando l’uomo fa per riprendersi il ciceretto, la donna, tutta addolorata, gli confessa che il suo gallo aveva trovato il ciceretto e l’aveva mangiato. L’uomo, annusato l’affare, chiede alla donna: “o mi dai il ciceretto, o mi dai il tuo galletto!” (detto a mò di cantilena); la donna alla fine gli dà il galletto per scusarsi e l’uomo va via.
L’uomo si fa furbo e continua la storia, lasciando il galletto da un’altra donna con la scusa della Messa, ne ricava un maialetto, che aveva ucciso a pedate il galletto.   Lascia il maialetto e ricava una mucca che aveva preso a cornate il maialetto;  lascia la mucca a casa di due poveri coniugi con le figlie malate (erano solo affamate), che tagliano due fette di carne dalla zampa della mucca (viva!).   Quando l’uomo fa per riprendersi la mucca,si accorge che zoppica. Torna dalla famiglia e chiede o la mucca indietro o una delle figlie. Dopo un po’ di battibecchi, il padre acconsente allo scambio, ma propone di mettere la figlia in un sacco, perché altrimenti non sarebbe mai andata di sua volontà. L’uomo è d’accordo e così si prende questo sacco. Mentre se ne va, contento degli affari della giornata, il sacco inizia a muoversi sempre più forte, costringendo l’uomo a fermarsi e ad aprirlo. Appena aperto, salta fuori un cagnaccio che gli strappa via il naso a morsi e scappa via. L’uomo lo rincorre e propone uno scambio: ”tè,tè pane e caso (cacio) e dammi il mio naso!”…»

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Accüme me sùne, acchessì te cànde.

Accüme me sùne, acchessì te cànde.

Alla lettera significa: come mi suoni, così ti canto.

Simpaticissimo proverbio dal significato molto chiaro: Come tu tratti me, così io tratto te.

Mi usi gentilezza? Gentilezza avrai.

Ti comporti da mascalzone? Ti rendo – con il noto proverbio italiano – pan per focaccia.

Intendi spendere poco? Ti darò un prodotto scadente. Con la cifra che intendi spendere non puoi pretendere un oggetto o una prestazione d’opera di valore. Ecc.

Simile all’0altro proverbio: accüme me pajàbbe, acchessì te pettàbbe.

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Abbìtue ‘u cüle quànne sté süle

Abbìtue ‘u cüle quànne sté süle

Abitua il (tuo) culo (a controllarsi, anche) quando sei solo.

Veramente si dovrebbe dire, come modo imperativo, abbetujije (tu devi abituare), altrimenti potrebbe sembrare che è qualcun altro che avvezza il suo culo a controllarsi quando sta da solo.

Anche questo Detto, sebbene in modo volgarotto, è un consiglio di buona creanza. Si deve controllarei lo sfintere anale anche se sta da soli, altrimenti può scappare un sonoro e incontrollato peto in presenza altrui, e si fa una solenne figuraccia di m….(preconizzata dall’odore emanato)

L’amico Sator aggiunge una variante:

Nzìgnete ‘u cüle quànne sté süle, ca quanne sté accumbagnéte sì chiaméte scrianzéte = Addestrati il culo quando sei da solo, ché quando sei in compagnia dei additato come screanzato.

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A vucjille jìnd’a caggiöle nen cànde p’amöre ma pe ràgge

A vucjille jìnd’a caggiöle nen cànde p’amöre ma pe ràgge

L’uccello in gabbia non canta per amore, ma canta per rabbia.

Questo proverbio vuole constatare, con ammirazione, la forza d’animo di qlcn che, a dispetto delle avversità della vita, riesce a trovare un po’ di serenità, magari dedicandosi ad altre attività.

Ve lo immaginate un essere umano obbligto a vivere in carcere, o in ospedale, o fuori dell sua famiglia, che canta tutto il giorno? Costui se ne è fatta una ragione, e cerca di superare al meglio il suo stato d’animo, di sollevare il morale, nonostante le avverse circostanze.

Ripeto, si pronuncia questo Proverbio con un forte senso di ammirazione e apprezzamento verso colui che ha avuto delle avversità, e in qualche modo sta reagendo alla malasorte.

Ringrazio il lettore Michele Muscatiello per il suo suggerimento.

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A strigghjé ‘a chépe au ciócce ce pèrde tjimbe, acque e sapóne

A strigghjé ‘a chépe au ciócce ce pèrde tjimbe, acque e sapóne

A lavar la testa all’asino, si perde tempo, acqua e sapone.

Povero ciuchino, lo fanno passare per un maiale sozzone.

Il proverbio mette in guardia dall’iniziare un’impresa tanto ardua quanto inutile.

Si cita anche quando tutti gli sforzi profusi per insegnare qualcosa ad un alunno o ad un aprendista artigiano non hanno sortito alcun risultato apprezzabile.

Il maestro, con la sottolineatura di un simpatico scappellotto, citava il proverbio con l’intento di educare e formare il discepolo, che però ne usciva demoralizzato!

Non era proprio il metodo didattico alla Montessori, ma era accettato e incoraggiato dagli stessi genitori dell’allievo.

Ora se un/una insegnante si permette di rimproverare solo verbalmente un allievo per lo scarso profitto, viene aggredito proprio fisicamente dai genitori dello studente negligente. È purtroppo cronaca quotidiana.

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