Nnüh! Che te škoppe Marze!

Nnüh! Che te škoppe Marze!

Ma guarda che ti schiocca (sboccia, fiorisce, ti reca) Marzo!

Si dice, esclamando, per una cosa o un accadimento che ti sorprende,sì, ma che era prevedibile, presagibile, o comunque possibile e immaginabile.

A Marzo uno vede il sole e le belle giornate ed esce tranquillo; poi magari rimane colpito da un tempaccio, un gran freddo o una nevicata … Che vuoi aspettarti dal mese più incostante dell’anno?

Quindi il senso è anche: “Hai visto? dovevi prevederlo!!”

L’interiezione Nnüh è un po’ dauna. A Foggia nicono : Ané, Nel barese dicono Nah, Noi pronunciamo una doppia NN.

Nella lingua parlata ha un’inflessione come di sfida i come per dire: ecco, lo dicevo io! Oppure: Ecco qua, come volevasi dimostrare O anche: Guarda gua’! Che ti dicevo io?

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Nuandanöve e jüna cjinde

Nuandanöve e jüna cjinde

Novantanove e uno cento

Simile per concetto al proverbio in lingua: Abbiamo fatto trenta e facciamo trentuno.

Ossia, se si è fatto un lavoro fino a questo punto, con un altro piccolo sforzo lo si porta a termine.

Qualche impertinente, quando qlcu citava questo proverbio, prontamente gli faceva rima:
Pìgghje ‘u cazze e strìchete i djinde” = Prendi “qualcosa” e strofinati i denti.

Ma era solo questione di rima. C’era uno spirito goliardico in queste uscite. Si scovava una rima indipendentemente dal significato.

Per esempio, a scuola, quando il Maestro chiamava: Novellese! Qualcuno sotto sotto mormorava: mìtte ‘a méne mbacce ‘a grattachése! = Poni la mano sulla grattugia.
Non significa nulla. Ma prevale il gusto irresistibile per la rima, Novellese-grattachése.

Talvolta ci scappava una scazzottata.

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Nu spavjinde véle pe cjinde

Nu spavjinde véle pe cjinde

Uno spavento vale per cento.

Un solo infortunio, centuplica la prudenza. Specie se è accaduto per propria imperizia o imprudenza.

lo spavjinde in questo caso è un monito, una punizione, un rimprovero, per educare i figli a rigare dritto.

Come quel cane che si era scottato una volta e che poi ha paura anche dell’acqua fredda.

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Nu püle de fèmene töne ‘a fòrze de teré i bastemjinde a mére

Nu püle de fèmene töne ‘a fòrze de teré i bastemjinde a mére

Un pelo di donna ha la forza di trainare i bastimenti a mare.

Ovviamente è tutto metafora per indicare l’attrattiva femminile che ha una portata incommensurabile.
Il “pelo” è una “sinèddoche”, cioè una figura retorica del discorso, che indica una parte per il tutto. (Scusate: talvolta delle reminiscenze scolastiche vengono su da sole).

E avete capito tutti che in questo caso “il tutto” è la femminilità.

Se vogliamo rifarci alla storia o alla mitologia o alla letteratura, non abbiamo che l’imbarazzo della scelta: la guerra di Troia scatenata dalla bella Elena; Betsabea che divenne vedova per mano di Davide che mandò il suo valoroso marito Uria a combattere in una zona pericolosissima, certo della sua morte, per poterla impalmare; la Contessa Castiglione inviata da Cavour graziosamente nel letto di Napoleone III per “convincerlo” ad aiutare il Piemonte contro l’Austria; la Pompadour alla corte di Luigi XV, praticamente la donna più potente di Francia; ecc. ecc.

Senza contare gli intrighi dell’era contemporanea….

Ad ogni modo, poiché non sono antifemminista, riconosco che dietro ogni grande uomo c’è sempre una grande donna.
I Francesi usano una frase lapidaria per ogni evento di cronaca o per il successo di qualche uomo in qualsiasi campo (politica/arte/affari/ecc.) per indicarne la radice, l’origine : chechez la femme! = cercate la donna.

Nota fonetica: 
bastemènde = bastimento, intesa al singolare. Al plurale fa bastemjinde, con la “i” pronunciata molto lunga, rappresentato da ji (come carabbenjire = carabiniere) o anche con “ī” (bastemīnde).

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Nu pöche a pe-d-üne nen fé méle a nescjüne

Nu pöche a pe-d-üne nen fé méle a nescjüne

Un poco ciascuno non danneggia nessuno.

Condividere lo sforzo o la fatica non è dannoso perché si può sopportarne meglio il gravame, il carico.

Insomma come dire che l’unione fa la forza.

Anche nella spartizione di qlcs è bene fare le parti uguali, perché se così non fosse, qlcu si avvantaggerebbe a detrimento (vi piace questa parola?) degli altri.

Quel pedüne è l’espressione eufonica di pe üne (pe-d-üne). Un po’ come l’italiano “ad uno” in invece che “a uno”

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Nöre, scjirne e nepüte, quèdde ca féje jì tutte perdüte

Nöre, scjirne e nepüte, quèdde ca féje jì tutte perdüte

Nuore, generi, e nipoti, quello che fai (per loro) è tutto perduto.

Una constatazione dello scarso senso di gratitudine delle “carni aggiunte”, come scherzosamente sono chiamate le parentele acquisite, aggiunte a quelle della propria famiglia.

Nen fé njinde…= Non fa nulla, per amore dei figli si accettano queste piccole amarezze della vita.

L’aggettivo perdüte = perduto. è un po’ forzato, giusto per fare la rima. Ma nel parlato si dice più spesso pèrse = perso

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Nése de chéne e cüle de fèmene sò sèmbe frìdde

Nése de chéne e cüle de fèmene sò sèmbe frìdde

Naso di cane e culo di femmina sono sempre freddi.

Lo stesso proverbio è diffuso anche in Basilicata. È una constatazione di fatto di un fenomeno fisico.

Toccate e verificate! Ma state attenti: il cane e la femmina potrebbero reagire malissimo!

Mi viene a mente un’antica storiella a proposito di culo femminile freddo.

Un buon cristiano andò a confessarsi da un frate, lamentandosi della moglie che lo faceva imprecare e innervosire sempre, per le ragioni più impensate e varie.

Tutt’i söre, jìnd’u ljitte, ce appresènde pe ‘stu cülacchjöne frìdde frìdde e ce azzècche ‘mbàcce a me! Me fé venì ‘i njirve! Che pòzze fé? = Tutte le sere, dentro il letto, si accosta a me con il suo deretano freddo! Mi fa innervosire! Che posso fare?

Il paziente frate gli rispose serafico:
Quèdde jì la gràsce! Vïde a mè, ca nen tènghe né cüle frìdde e né cüle càvete ca ce azzècche a me! = È l’abbondanza che ti fa lamentare! Guarda me che non ho né culo freddo e nemmeno culo caldo che si accosta a me e di cui possa lagnarmi!

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Nescjüne nasce ‘mbaréte

Nescjüne nasce ‘mbaréte

Nessuno nasce colto, o esperto o, come dicevasi anticamente, con le virtù infuse…

In effetti alla nascita siamo tutti perfettamente ignoranti, salvo che per l’istinto di poppare. Questo lo sappiamo fare senza che nessuno ci abbia dato lezioni.

Diciamo questo proverbio allorquando qlcu ci fa notare un errore nell’esecuzione di un lavoro.

Tutti abbiamo bisogno di fare esperienza, Questo sbaglio mi permetterà di non cadere nello stesso errore. Errare humanum est.

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Nescjüna carne ruméne alla vucciarüje

Nescjüna carne ruméne alla vucciarüje

Nessura carne rimane in macelleria.

Come nessuna carne rimane invenduta in macelleria, così nessuna ragazza rimane zitella in casa dei suoi.

Si tratta di un incoraggiamento verso le ragazze da marito che disperano di trovare un bravo giovine per accasarsi. Ma sì, tutte troveranno un marito!

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Nen vògghje jèsse pòlece (mànghe jìnd’a cammüse du Rè)

Nen vògghje jèsse pòlece (mànghe jìnd’a cammüse du Rè)

Non vorrei essere pulce nemmeno nella camicia del re.

Si cita questo proverbio quando si è di fronte ad una situazione terrificante.

Ovviamente si preferisce defilarsi, perché inevitabilmente si soccombe.

Veramente l’ho sentito dire sempre a metà, perché si presume che tutti conoscano il finale. Nen vògghje jèsse manghe pòlece…

Mò ca ce arretüre pàtete, nen vògghje jèsse manghe pòlece… = Ora che rincasa tuo padre non vorrei essere nei tuoi panni…

Rifugiarsi nella camicia del Re sarebbe per la metaforica pulce una pura effimera illusione di scamparla: la sorte sicuramente non cambierebbe, per la pur ridottissima dimensione,  cioè quella di finire come tutte le altre pulci individuata addosso agli umani o alle scimmie: schiacciata tra le unghie dei due pollici.

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