Screscendàrece

Screscendàrece v.i. = Lievitare oltre misura

Verbo riferito all’impasto del pane che, non infornato al tempo giusto, per effetto dell’azione continua del lievito, cresce oltre misura.
Se si cuoce una pasta screscendéte (aggettivo) il pane, al contrario di quello azzimo, può risultare troppo alto e probabilmente di sapore alterato.

Il verbo deriva dal latino extra-criscitare dal significato intuibile.

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A friške a friške

A friške a friške loc. id. = poco per volta

Acquistare generi alimentari di frequente ma in quantità ridotta, poco per volta, secondo la necessità, allo scopo di consumare sempre un prodotto fresco ed evitare gli sprechi..

Anticamente, in mancanza di frigoriferi, era prassi normale non fare grandi scorte di viveri perché si rischiava che andassero a male (guai!)

Oggi mettiamo tanto di quel cibo in frigo che talora ce ne dimentichiamo!

Mègghje accatté a friške a friške = meglio comprare un poco alla volta

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Avedènze

Avedènze s.f. = Retta, udienza, ascolto, credito

Ber brevità a volte viene pronunciata adènze più aderente al latino audentiam da cui sicuramente deriva.

Infatti nel Sud Italia, con tutte le sua varianti e inflessioni (adenze, arenze, addenza, addenzia) si diffuse la locuzione  audentiam orationi facio, ovvero “gestire l’attenzione degli uditori a un discorso”, dalla quale si pensa derivi nel suo senso principale di attenzione.

Generalmente si usa nella locuzione negativa nen dé avedènze = non dar retta, non dar ascolto.

Nota linguistica.
Voglio evidenziare una particolarità del nostro dialetto: nel coniugare un verbo all’imperativo negativo, si usa una costruzione molto particolare. Cioè si usa la negazione + il verbo al participio passato.

FORMA POSITIVA FORMA NEGATIVO
Parle = parla nen parlanne =non parlare
Mange = mangia nen mangianne = non mangiare
Dà avedènze = dai retta nen danne avedènze = Non dar retta

Insomma quel non parlanne, alla lettera si tradurrebbe «non (essere) parlante» Infatti i Baresi dicono nen si parlanne.

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Affaréte

Affaréte agg. = indaffarato, affaccendato

L’aggettivo deriva direttamente dal francese affairé, ed è usato in gran parte della Daunia.
L’italiano “indaffarato” rende meglio l’idea della persona che ha sempre poco tempo da dedicare agli altri.
Fa tutto di fretta e sembra che le sue attenzioni siano rivolte ad eventi molto più importanti dello scambiare due chiacchiere con gli amici.

Si ritiene unico titolare del ruolo di salvatore del mondo, perché senza di lui tutto andrebbe in malora.

Viene un po’ deriso dai conoscenti che lo individuano senza nemmeno nominarlo:
Sté affaréte ‘na persöne! = Qualcuno è oltremodo affaccendato…



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Appuppacüle

Appuppacüle agg. = insolvente

Va bene anche scritto appuppa-cüle.

L’aggettivo è specifico per descrivere una persona indebitata, di dubbia moralità che spesso non fa fede ai suoi impegni.
Insomma uno che molla spesso una fregatura ai creditori.

Un cattivo soggetto che è bene tenere alla larga.

Vi consiglio di leggere l’articolo che dà origine a questo termine, cioè puppéte o appuppéte cliccando qui.

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Chjatte

Chjatte agg. = piatto

Oggetto che ha la superficie piana, non concava né convessa.
Si definisce piatto anche come contrario di rotondo, come ad esempio certe viti “a testa piatta” ben diverse da quelle “a testa tonda”, che sporgono dal supporto per ottenere effetti estetici o funzionali.

Non parliamo dei «terrapiattisti», per i quali il nostro mondo fisicamente, come corpo celeste, non è un globo terracqueo, ma una strana superficie rotonda e piatta, come una pizza napoletana, con tanto di bordi.

Attenzione:
“piatto”, inteso come sostantivo, è una stoviglia di uso quotidiano per contenere il cibo e si pronuncia pjatte, non chjatte.
Questi piatti si distinguono in pjatte cuppüte e pjatte spése e ossia piatto fondo destinato a contenere la minestra, e il piatto piano usato per accogliere la pietanza.

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Pagghjòsche

 

Pagghjosche s.f. = pagliuzza, nullità, esiguità, inezia,

Si tratta di un materiale di scarto nella lavorazione dei cereali: praticamente lo stelo sminuzzato del frumento eliminato dopo la trebbiatura.

Viene usato nella locuzione pegghjé pagghjosche (prendere pagliuzze), che significa raccogliere o ricavare un bel nulla.

A volte figuratamente il termine è utilizzato per descrivere una persona di scarso valore culturale, economico, morale. Per questo i vicini Cerignolani usano il termine pagghiouse, ossia uomo di paglia, senza valore, uomo da poco, una nullità, inaffidabile.

Apprjisse a códde crestjéne nen ce pöte pegghjé pagghjòsche = Su quella persona non si può fare alcun affidamento.

A volte assume un senso di incertezza, di timore:
Ne nzàcce che pagghjòsche agghja pegghjé…= Non so quale decisione devo prendere. Come faccio a uscire da queste difficoltà?

 

 

Il lettore Silvio Simone Pellico suggerisce: «È un modo di dire che indica chi non ha raccolto nulla /ottenuto nulla / concluso nulla. A pagghiòsche è un materiale di scarso valore , ecco perché viene associato a chi non ha concluso o ottenuto nulla . Si usa dire anche nen dicènne pagghiòsche , cioè non dire fesserie.»

 

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Botte

Botte s.f. = colpo

Questo sostantivo possiede una miriade di sfaccettature. Dargli un significato univoco è molto riduttivo.
Infatti ne ho trovato alcuni, grazie alla fattiva collaborazione dell’amico Matteo Borgia, provo a elencarli qui di seguito.

*Bòtte1 = Colpa
Dé ‘a bòtte =dare la colpa.
Ci’ho pegghjéte a bòtte pe salvé u fígghje = si è addossata la colpa per salvare il figlio).

*Bòtte2 = Colpo, anche in senso figurato
Ho ‘vüte ‘na bòtte de sìnze = ha avuto un mancamento, oppure ha
perso il controllo dei sensi o della ragione.
Ho ‘vüte ‘na bòtte de cüle = ha avuto un colpo di culo, nel senso
di fortuna.

*Botte3 = Segno, ferita, cicatrice, livido, oppure operazione svolta rapidamente (in un
colpo, in un tempo breve)
‘Na bòtte de pennìlle = un segno lasciato dal pennello, oppure
una rapida rinfrescata ai muri.
‘Na bòtte de rasüle = un segno lasciato dal rasoio sul viso o
anche una sbarbata veloce.
‘Ho bbušchéte nu cazzòtte sòtte a l’ùcchje,  jì rumàste (anche jì
rumése) a bòtte
  = ha preso un pugno sotto l’occhio, è restato il
livido.

*Botte 4 = Entità piccola o frazionata
Na bòtte e ‘na bòtte  = un po’ e un po’
A botte a botte = lavoro svolto in maniera discontinua o imprecisa.

*Botte 5 = Attimo
Sìnde ‘na bòtte, mandìne na bòtte, aspìtte na bòtte = ascolta un
attimo, mantieni un po’, aspetta un attimo, ecc.)

*Botte 6 = Colpo, in senso materiale
Ho déte ‘na bòtte mbàcce ‘u müre = ha dato un colpo sul muro.
L’ho cciacchéte a bòtte de martìlle = l’ha schiacciato a colpi di
martello.
Se nge vìne mò, te pìgghje a bòtte de battepànne = Se non vieni
adesso, ti prendo a colpi di battipanni).

*Botte7 = Rumore
C’jí sendüte ‘na bòtte ca mànghe i calecàsse alla fèsta Madònne
= si è sentito un rumore (talmente forte) che neanche i mortaretti della festa Madonna avrebbero avuto un effetto così dirompente.
‘Na volte ce vennèvene trik-trak e botte a müre = Una volta si vendevano petardi a miccia e botti a muro (bastava scaraventarli con forza contro una parete per ottenere la deflagrazione).

*BotteAtto sessuale consumato velocemente
Mudù decètte alla cumbagne ca se jöve fiurére, l’avrüje déte ‘nu fiore, ma seccöme jöve sparapìzze dumannatte se la putöve dé ‘na botta = Mudù disse alla sua amica che se fosse stato un fioraio le avrebbe dato un fiore, ma siccome era pirotecnico le chiese se poteva “darle una botta” (per evitare il doppio senso avrebbe dovuto dire se poteva “donarle un botto”)

Ho già trattato a parte:

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Criatüre

Criatüre s.m = Neonato, bambino

Con l’aggiunta dell’articolo, il sostantivo può essere femminile o plurale.
‘U criatüre = il bambino
‘A criatüre = la bambina
‘I criatüre = I bambini o le bambine.

Spesso se la nidiata era numerosa, si usava al plurale (credo che ormai il termine sia andato in disuso), il diminutivo (clicca→) i criócce, a mio parere derivante da criatüre + la desinenza -ócce, come il diminutivo dei nomi di persona Mengócce (Domenicuccio) ‘Nteniócce (Antoniuccio), ecc.

Un paio di esempi.

-di commiserazione:
Povera Mariètte, pe tutte quìddi criócce... = Povera Marietta, con tutti quei bambini…

-di ammirazione:
Sacce accüme fé pe tutte quìddi criócce.. = Non so come fa, con tutti quei bambini… (io al suo posto sarei stramazzata)

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Affurteché

Affurteché v.t. = rimboccare (le maniche)

Rimboccare le maniche della camicia, o di un altro indumento che copre le braccia, prima di iniziare un lavoro manuale impegnativo, per evitare di bagnarle o di insozzarle.

Questo verbo è molto diffuso nella Daunia e in Terra di Bari.

Il caro Prof. Michele Ciliberti (che di cuore ringrazio pubblicamente) mi ha fornito una dotta etimologia del verbo affurteché:
«Deriva dal verbo latino adfulcio con l’assimilazione della d alla f, il cui significato base è “puntellare”, “fermare”. Nel tardo latino il verbo è diventato affulticare col significato di “arrotolare”

Essendo un verbo transitivo può riferire un’azione diretta: affurtechè i màneche au uagnöne = rimboccare le maniche al (grembiule del) bambino.

È spesso usato nella forma riflessiva: affurtecàrece ‘i màneche = rimboccarsi le maniche.

I pescatori anziani di Manfredonia ce affurtecàvene anche i mutandoni fino alla coscia per non bagnarli quando entravano in acqua per alare a riva la sciabica o per portare in secca una barca.

Viene usata anche in senso figurato quale esortazione ad impegnarsi collettivamente per affrontare una situazione impegnativa:
Meh, uagnü, affurtecàmece i màneche e dàmece da fé! = Allora, ragazzi, rimbocchiamoci le maniche e diamoci da fare!

Nei film comici di Charlot l’azione di tirarsi su le maniche precedeva sempre un tafferuglio, come se le sberle scambiate a braccio nudo fossero più spettacolari ai fini della ripresa cinematografica.

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