Pèsce-stèlle

Pèsce-stèlle s.m. = Leccia stellata

Pesce di mare (Trachinotus ovatus) diffuso in tutti il Mediterraneo e nell’Oceano Atlantico, dalla Manica all’Africa equatoriale. Vive a ridosso della costa.

Per il suo corpo affusolato senza squame, viene scambiato con la simile ricciola, da cui si distingue per la coda molto falcata.
In piena maturità può raggiungere la lunghezza su 50 cm.
In gastronomia è apprezzata per le sue carni, specie se preparate in umido.

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N’avènne chjacchjere

N’avènne chjacchjere = Non dire sciocchezze

È una locuzione amichevole per interrompere qualcuno che racconta panzane, esagerazioni di gesta inverosimili, ecc.

Il fatto di invitare l’interlocutore a non dire stupidaggini, a non tergiversare, a non ostinarsi in certe idee, è di uso esclusivo ed accettato in un gruppo amicale.

Difatti molti usano un linguaggio meno sofisticato e direttamente in lingua: «Non dire stronzate!»

Non è ammesso rivolgersi con n’avènne chjacchjere a un insegnante, ad un genitore, ad Agente delle Forze dell’Ordine ecc.

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Pisciarjille

Pisciarjille s.m. = fiotto

Questo termine designa una fuoruscita di liquido dalla sua sede naturale.

Ovviamente deriva dal verbo pescé = pisciare, urinare per la forma che assume il gettito urinario durante la minzione.

Dalla tubbazziöne jèsse l’acque a pisciarjille = dalla tubazione (rotta) fuoriesce l’acqua a fiotto.

Ovviamente pisciarjille può riferirsi anche alla perdita di liquidi con intensità meno prorompente dell’acqua dei tubi.

Jèsse ‘u sanghe da ‘u nése a pisciarjille = Esce il sangue dl naso a fiotto. Epistassi traumatica o da fragilità capillare.

Quando la perdita non è evidente, cioè non è ben visibile, si dice che il recipiente sgorre =perde, non è a tenuta

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Jìntrechése

Jìntrechése agg. = casereccio, nostrano

Un aggettivo riferito per lo più a preparati alimentari, fatti in casa, a mano, talvolta destinati alla vendita, decisamente più genuini degli analoghi prodotti industriali, perché preparati senza coloranti e senza conservanti per lo più con materie prime di origine biologica.

Parlo di biscotti, pasta fresca, scaldatelli, mostaccioli, salsicce, limoncello, passata di pomodoro, ecc.

Alla lettera jìntrechése significa (fatto) in casa, dentro casa.

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Ngurparé

Ngurparé v.t. = sopportare, covare sentimenti di riscatto

Il verbo è simile all’italiano “incorporare”, usato in cucina quando man mano si aggiungono altri ingredienti durante la preparazione di un impasto, o di una vivanda, o di un dolce.

Figuratamente il significato è lo stesso: aggiungere anche questa contrarietà alle precedenti, fino a quando si sarà in grado di sopportare. Poi sarà quel che sarà!

Similmente si usa dire “ca pò, jüne mantöne e mantöne” = che poi uno mantiene e mantiene, nel senso che un soggetto regge fintantoché non ce la fa più.
Un po’ per burla si diceva:
ca jü mantènghe e mantènghe
e pò te fazze vedì quante lu tènghe = attento che arrivo al punto di rottura.

Con un verbo in voga un po’ abusato, questo atteggiamento umano è detto “resilienza”

Nel linguaggio marinaresco il verbo ha un significato meteorologico: ‘u tjimpe ‘ngurparöje. Ossia le nuvole si stanno inglobando e appesantendo, quindi a breve ci sarà temporale.

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Ceccantònje

Cèccantònje o Cèccantògne s.f. = Pera giugnolina, pera S.Giovanni

La pöre Ceccantònje = pera giugnolina è parte di un Gruppo varietale di pera (Pyrus communis),
Questa pera locale, dalla polpe soda e succosa, matura già a metà giugno. È di dimensione piuttosto piccola, ma soddisfa pienamente il mercato locale. Ha la buccia sottile ed il torsolo morbido. Molti la mangiano tutta, escludendo solo il picciolo e la parte opposta. Dopo qualche giorno la polpa diventa più morbida e di color marroncino per eccessiva maturazione. Tuttavia è ancora edibile.

Per questo non viene coltivata su larga scala, proprio perché facilmente deperibile e perciò non adatta alla grande distribuzione, la cui filiera richiede giorni e giorni prima che giunga al consumatore.

Il nome strano significa “Ceccantonio”, come dire Francescantonio.
Forse perché compare sulle bancarelle verso la metà di Giugno (il giorno 13 cade la ricorrenza di Sant’Antonio da Padova). In Sicilia, probabilmente perché più tardiva, questa pera è chiamata Pera San Giovanni (24 giugno) o anche Pera San Pietro e Paolo (29 giugno).

Gli antichi Romani le chiamavano Pyra Hordaceus , cioè “pera dell’orzo”, perché maturava in corrispondenza della mietitura di questo cereale. (dal web).

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Rascialètte

Rascialètte (o anche rascéle s.m. = capocollo

Si tratta di un taglio di carne suina o ovina staccato dalla nuca alla spalla, per ricavarne bistecche.
Quella di maiale può essere rifinita e venduta senz’osso. ed è ottima alla brace o anche in padella.
Quella di agnellone o di capra è eccellente in umido.

‘U rascialètte è un taglio molto apprezzato sia dalle nostre massaie, perché di facile preparazione, e sia dai familiari, perché si rivela una pietanza molto gustosa e tenera.

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Peperjille

Peperjille s.m. = granello

Questo sostantivo, quantunque descriva qualcosa di piccolo e granulare, si presta a diverse utilizzazioni.

1) Peperjille 1 – Pallina di lana che si autoproduce sulla maglieria, dovuta a sfaldamento della fibra di lana o di quella artificiale. Dimensioni minime da uno o due millimetri. Con linguaggio tecnico queste palline sono chiamati “pills” e il fenomeno della loro comparsa è detto “pilling”.

2) Peperjille 2 – Piccolissima escrescenza cutanea che si può manifestare su tutta l’epidermide, dalle palpebre alla fronte, al torso, agli inguini ecc. Di solito è di natura benigna.

3) Carne peperjille peperjille – locuzione tipica che descrive la pelle accapponata, la cosiddetta pelle d’oca, che si manifesta per il freddo oppure a causa di una forte emozione.

Da non confondere con pepernjille. Questo, al maschile, è un nappa a filo che troneggia sulla sommità del copricapo prevalentemente maschile o militare detto “basco”.

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Fàrece quante ‘na quarte de péne

Fàrece quante ‘na quarte de péne loc.id. = imbarazzarsi

Alla lettera significa “farsi [ridursi, diventare] quanto un quarto di pane”

«Provare tanto imbarazzo, farsi piccolo piccolo (metaforicamente), voler diventare invisibile agli occhi dei presenti.»

Mi piace aggiungere che si ha questa sensazione di volersi annullare, trovarsi altrove, quando si è davanti a una minaccia, ad una situazione molto spiacevole.
Difatti si dice anche, per esprimere lo stresso significato: “fàrece ‘na pezzechéte” = ridursi (sempre figuratamente) in minutissime particelle, come il sale fino o il pepe macinato, in modo che possa raccogliere in un pizzico.

In italiano si usa il verbo “sprofondare” nelle espressioni: “mi sarei sprofondato” oppure: “avrei voluto sprofondare”. Insomma, sempre metaforicamente, sottrarsi, preferire l’abisso ad una situazione spiacevole o imbarazzante.

Avevo già trattato i molteplici significati di quarte, al maschile e al femminile. Se volete curiosare cliccate qui.

Ringrazio Enzo Renato per avermi suggerito questa locuzione tipica pugliese e la lettrice Lina Scistri per l’azzeccata definizione sopra riportata fra virgolette.

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Nen

Nen avv. = Non

Avverbio di negazione. È sempre usato nelle frasi in cui si nega o si esclude il significato del verbo successivo.
In italiano questa costruzione linguistica dicesi “coniugazione negativa”.

L’esempio, come al solito, chiarisce il concetto:

Jògge chjöve = oggi piove (affermativo);
jògge nen chjöve = oggi non piove (negativo)

Spesso il nen, davanti a certi verbi, viene scomposto in ne-n, accorpando la seconda “n” al verbo successivo.
Ecco l’esempio:
Invece di scrivere nen sacce = non so, si può scrivere ne nzacce, più vicino alla reale pronuncia.

Un’altra particolarità riscontrabile in quasi tutta la Puglia risalta nella coniugazione dell’imperativo negativo.

In questo modo verbale, in italiano si usa anteporre la negazione “non” davanti all’infinito (non parlare, non bere, non fischiare ecc.).
In dialetto invece si pone davanti al participio presente: ne mparlanne, ne mbevènne, ne nfrišcanne. Come dire: “ non (sii) parlante, bevente, fischiante”. 
Probabilmente anticamente si esprimevano così, ma nel corso dei secoli ha prevalso l’uso dell’attuale declinazione.
Ho sentito da ragazzino un ordine un po’ strano: nen te jènne cutulanne = rimani immobile [alla lettera: ”non ti andare muovente”]. Ormai anche questa costruzione verbale è andata in disuso.

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