Mese: Maggio 2018

Paliatöne

Paliatöne s.m. = Scarica di percosse

Il sostantivo  «paliatone», usato in tutto il Sud Italia, indica l’atto di picchiare  lungo una persona e in maniera piuttosto violenta.

Deriva dal verbo palià, di origine Gallo-italico  che indica l’azione di separare il grano dalla paglia usando la pala. Il movimento abbassa-alza-abbassa-alza della pala tra le mani è eloquente.
Un’altra origine plausibile è conducibile allo spagnolo apalear che significa proprio randellare, battere, percuotere, passato attraverso il napoletano palià, di cui paliatone è l’accrescitivo..

Se le percosse sono numerose e memorabili, l’azione dicesi Paljatöne a nómere jüne = Botte a numero uno, cioè in cima ad una ipotetica classifica delle sberle.

Sinonimi:

  • Paliéte s.f. = Legnata
  • Pandummüne s.m.= Pestaggio movimentato
  • Mazzjatöne s.m.= Pestaggio con l’ausilio di un bastone, bastonatura
  • Škaffjéte = Schiaffeggiamento
  • Taccariéte = Legnate col bastone da spighe (‘u taccarijlle)
  • Zeghegnéte = Serie di pugni sugli zigomi o sulle arcate sopracciliari.

Circonlocuzioni:

  • Frechéte de mazzéte = Scarica di legnate (mazze  = manico di scopa)
  • Menéte de cazzuttüne = Gragnuola di pugni
  • Mustaccéte de sanghe = Pestaggio facciale. Il sangue colato dalle narici disegna un paio di baffi (mustazze)
  • Scàreche de taccaréte = Gragnuola di bastonate  inferte col taccarjìlle.
  • Abbuttéte de fàcce = Gonfiata di faccia (per i pugni)
  • Stengenéte de cùste = Incrinatura di costole
  • Menéte de škaffe = Serie di schiaffi
  • Menéte de recchjéle = Schiaffoni a mano aperta diretti a colpire guancia e orecchia.

Altri tipi di percosse inflitte, per lo più in ambito domestico a scopo “pedagogico” erano (dico erano perché ora sono cadute in disuso):

  • A botte de chjanjille = a colpi di ciabatta
    Valido mezzo da lancio che serviva per colpire, in genere alla schiena, le simpatiche canaglie in fuga. Il preciso lancio dei chjanjille (ciabatte in genere pesanti) veniva preceduto da urla tipo: ca te vonn’acciüde, ca te vonna sparé. ‘stu bböje, ‘stu malazziunande, ecc.
  • A botte de ratavjille= a colpi di ramazza.
    Il deterrente migliore che usavano le mamme per domare le piccole pesti della famiglia.
    Il rataviello era una specie di spazzolone per lavare a terra. Non era come l’attuale morbido “mocio vileda”, ma aveva attaccato al lungo manico un pesante tocco di legno rettangolare. Usato con abilità, produceva grossi bernoccoli sulla capoccia dei monelli.
  • A botte de zùcchele = a colpi di zoccolo [di legno]
    Questo era un sistema “volante”, ed era davvero sconsigliabile da usare, in quanto, se colpiva il bersaglio, comportava  una successiva corsa in ospedale per mettere i punti di sutura a una testa spaccata.

Questi sono termini molto più immediati ed efficaci dei corrispondenti in lingua! (busse, percosse, botte). Ne esci sempre molto malconcio, ma… vuoi mettere?

Mi piace qui riportare una composizione del mio amico Leonardo Trotta intitolata:

 “NEN DANNE RÈTTE A SUNNE”

Finalmènde ‘i cöse ce so’ aggiustéte!
Finalmènde ‘a gonne
c’jì ngiunecchjéte annanze ‘i vréche!
Finalmènde c’jì capïte
ch’jì ca cumanne ‘nda ‘sta chése!

L’agghje fatte ‘na frechéte de mazzéte!…
Mò, abbaste ca fazze ‘nu cènne,
E sóbbete ce ‘nginocchje e avasce ‘a chépe.
Abbaste ca jàveze ‘nu dïte
e fé tutte quèdde ca jü dïche….

Po’ so škandéte,
e me so respegghjéte!
È fatte pe ‘uardàrme  au spècchje
e tenöve i guance rosse
e n’ucchje ammappéte.

Nóneme bbunàneme deciöve:
“Nepö’,  statte attjinte ai sunne!
Spìsse so tutte ‘u cuntrarje
de cume ti l’ha sunnete!”

Oooh,  ‘u vidì ca stu sunne
l’agghje méle ‘nterpretéte
e ‘u paliatöne nen l’agghje fatte jü
ma me lu so abbuškete?.

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Palettò

Palettò sm = Cappotto, pastrano:

Ora si dice cappòtte, ma fino a pochi lustri fa si usava il termine francese paletot = Cappotto, e si pronuncia senza la t finale.

Talvolta si usava dire in dialetto anche trènce , dal termine inglese trench = cappotto.indumento invernale di stoffa pesante, specificamente usato in divise militari.

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Paléje

Paléje s.f. = Sogliola

La sogliola (Solea vulgaris) è ritenuto un pesce pregiato, dalle carni bianche, magre e molto digeribili. Vive a contatto con fondi sabbiosi e fangosi. Clicca sull’ immagine per ingrandirla.

Ha il corpo ovale e piatto. La testa è piccola ed il muso è arrotondato, in età adulta entrambi gli occhi si posizionano su un solo lato della testa.

A me piàcene cchjù ssé ‘i sparrüne arrustüte. = Io (alle sogliole) preferisco gli spari arrostiti

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Palamére

Palamére s.m. = Bracciolo

Da non confondere con il bracciolo della poltrona….

Si tratta di uno degli innumerevoli fili con amo che pendono dalla cima orizzontale del palàmito (detto in dialetto palanghére) impiegato come sistema di pesca.

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Palaciónne

Palaciónne sopr. = Marino, Pelagico

Ovviamente l’origine dei soprannomi non sempre è documentata. Si tentano ipotesi.

Dal latino Pélagus e dal greco Pelagòs = mare

Tutti i pescatori di Manfredonia raccontanto dell’esistenza di una città sommersa, fra Zapponeta e Torre Rivoli.

La leggenda è sorta nel IV secolo d.C. C’è chi dice che si tratta di una città reale, materia per l’archeologia marina.

Insomma di certo si sa solo che quel tratto di mare, in condizioni di limpidezza, mostra talvolta sui fondali delle porzioni di una pavimentazione basolata.

Recentemente una Rivista di archeologia ha pubblicato un articolo a tale riguardo. Cliccate sulla parola Rivista, che appare più chiara, e leggete!

Torniamo al nostro sprannome. Potrebbe derivare da S.Pelagia il famoso paese scomparso. Quindi significherebbe: proveniente da Santa Pelagia, o ancora: religioso del convento o devoto di questa Santa, come dire francescano.

Se vogliamo si potrebbe scovare un significato un po’ volgare: depilatore di peli dal pube femminile….Mi pare troppo forzato! Difatti dovrebbe cominciare con il verbo spelé o pelé, depilare.

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Pala-möne

Pala-möne s.f. Palo da mina

Asta di acciaio a sezione circolare dal diametro di cm 3.5 e lunga cm 180, terminante con le punte a taglio, come la lama di un gigantesco cacciavite.

Azionato manualmente dal cavamonti, perforava la roccia in profondità, anche per un metro, per ricavarne la nicchia da riempire di polvere pirica.

Si batteva sul punto voluto tantissime volte. Ad ogni battuta il palo veniva fatto ruotare sul proprio asse di un quarto di giro.

Quando dopo centinaia di colpi il palo era penetrato per un palmo nella roccia, si buttava dell’acqua nella fossa per far fuoruscire la polvere sotto forma di poltiglia.

Un lavoro massacrante, specie sotto il sole, il più estenuante dei lavori manuali.

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Pajöse

Pajöse s.m. = Paese

Inteso solo come centro abitato e non come nazione.

Anche se si trattava di una città, era sempre chiamata ‘u pajöse. Il termine “città” pronunciato tale e quale in dialetto è una forzatura introdotta con la scuola dell’obbligo.

Gli abitanti, o meglio i concittadini, vengono detti “pajséne a…”
Giuanne jì pajséne a te = Giovanni è un tuo compaesano.

In Amèreche stanne tanda pajséne = In America vivono tanti nostri concittadini.

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Pagghjùle

Pagghjùle s.m. = Soldi

Ritengo che si tratti di un termine gergale dell’ambiente marinaresco.

I Francesi elegantemente dicono argent de poche = denaro da tasca, ossia a portata di mano, immediatamente utilizzabile.

Generalmente il nostro viene usato al plurale, i pagghjùle = i soldi al posto dell’ottocentesco ternüse = tornesi.

Ce vònne i pagghjùle! = Occorrono i soldi!
Con linguaggio moderno: necessitano risorse finanziare!

Stéche senza pagghjùle = Non ho soldi, sono squattrinato.

Lo siamo un po’ tutti in questo periodo. Speriamo solo momentaneamente!

Tutti i dialetti usano un termine specifico: dané, palanche, franchi, terrise, dindi, bajòci, renàre, pìcciuli, ecc. In manfredoniano ricordo anche: turnüse, sòlde, pèzze (dai pesos rimessi dagli emigrati in Argentina) o anche ‘u pjizze=il pezzo, per un importo pattuito in precedenza con il venditore.

In italiano rammento alcuni: quattrini, pezzi, conquibus, pecunia, grana, baiocchi.

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Pagghjére

Pagghjére s.m. = Pagliaio

In origine era un deposito di paglia dalla quale ha preso il nome.

Generalmente si definisce pagghjére una piccola costruzione rurale a secco, isolata nei campi, adibita a deposito di zappe, vanghe, aratri e altri attrezzi agricoli.
È simile ad un piccolo trullo.
I pagghjére si trovano numerosi nel Salento (detti pajaru, o pagghiaru) e nella Puglia piana.

Fungevano anche da rifugio temporaneo per i braccianti durante i lavori nei campi. Infatti fornivano un eccellente un riparo sia dalla calura estiva nelle ore più calde della giornata, e sia da acquazzoni improvvisi.

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