Mese: Maggio 2018

Alla settandüne, làsse a megghjèrete e mjinete söpe ‘u vüne

Alla settandüne, làsse a megghjèrete e mjinete söpe ‘u vüne

(Arrivati alla) settantina, lascia perdere tua moglie (perché faresti flop) e trova piacere con un buon bicchiere di vino.

La saggezza popolare dà questo suggerimento bonario al marito che perde colpi.

Non so se il Viagra può modificare questo proverbio. Forse la moglie settantenne, avendo da tempo seppellito certi desideri, troverebbe fastidioso il ringalluzzimento artificale del consorte.

Proverbio simile a quello che pone l’alternativa fra la cantina e la sacrestia.

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Alla settandüne o alla candüne o alla sagrestüne

Alla settandüne: o alla candüne o alla sagrestüne

(Arrivato) alla settantina, (l’uomo si orienta) o all’osteria o alla religione (alla sacrestia).

Questo proverbio evidenza la caducità dei sensi dovuta all’avanzare della vecchiaia.

Veramente una cinquantina d’anni fa si citavano i sessantenni. Allora, per la vita logorante che si conduceva, le donne e gli uomini a 50 anni erano già considerati semi-invalidi.

Ora le cinquantenni sembrano ragazzine e i sessantenni sono ancora vitalissimi e galletti. Perciò ho volutamente spostato l’età a settanta.

Questo proverbio è simile a quello che suggerisce di lasciare la moglie per il vino.
Il termine sagrestüne dai giovani di oggi viene reso sagrestüje, più simile all’italiano perché, contrariamente ai propri nonni semi-analfabeti,  tutti hanno frequentato la scuola dell’obbligo.

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Alla lambe…

Alla lambe…

Per questione di spazio trascrivo qui il detto:

«Alla lambe, alla lambe,
e chi möre, e chi cambe,
e chi cambe alla furcjüne
e ze’ mòneche ‘i Cappuccjüne!
»

= Davanti alla lampada votiva del cimitero, (sta) chi muore e chi vive, (c’è) chi vive (pensando sempre) alla forchetta (come lo) zio frate dei Cappuccini.

Era questa la fase iniziale del gioco dei quattro cantoni che si giocava in cinque all’incrocio di due strade.

Era una specie di sorteggio per stabilire chi doveva andare “sotto”, e cercare di conquistare il cantone mentre gli altri quattro se lo scambiavano.

Dunque, un bambino si metteva al centro del crocevia, con un braccio sollevato e la mano piegata in modo che il palmo fosse rivolto verso terra. Gli altri quattro con l’indice toccavano il palmo della sua mano.

Allora si cantava insieme questa specie di filastrocca, sul motivo di giro-girotondo, al termine della quale ognuno lasciava la “lambe” e cercava di raggiungere velocemente uno dei quattro cantoni.

Chiaramente i concorrenti erano cinque e gli angoli quattro: uno restava necessariamente “fuori” e perciò andava “sotto”.

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Alì caggéne, ‘u pèsce a mére!

Alì caggéne, ‘u pèsce a mére!

Attento, gabbiano, il pesce è in mare!

Dalla riva i bambini gridavano ai gabbiani, modulando due note discendenti (sol-sol, mi-mi): Alì, caggéne, ‘u pèsce a mére! = Attenzione, gabbiano, c’è un pesce a mare, proprio sotto di te!

Insomma indicavano ai volatili che nei paraggi c’era una preda, come se quelli fossero distratti.

Lo scopo era dell’invito era di vederli in azione mentre si tuffavano. Erano convinti che se non avessero gridato, i poveri animali sarebbero rimasti a pancia vuota…

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Ajire chésa-chése, e jògge ammizz’a chése

Ajire chésa-chése, e jògge ammizz’a chése

Ieri gironzolava per casa, oggi giace in mezzo alla casa.

Un Detto che evidenzia la caducità della vita.

Ossia: ieri il soggetto era dedito tranquillamente alle sue incombenze in casa, e nulla ne faceva presagire la morte imminente.
Oggi è disteso sul catafalco in mezzo alla stanza più grande della casa, per la veglia funebre in attesa delle esequie.

Mi fa venire a mente il famoso memorabile distico lapalissiano:

Monsieur de Lapalisse à la bataille de Pavie,
un quart d’heure avant sa mort, c’était encore en vie

Il Signor di Lapalisse, alla battaglia di Pavia, un quarto d’ora prima della sua morte era ancora in vita.

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Addumànne all’acquarüle: l’acque jì frèške?

Addumànne all’acquarüle: l’acque jì frèške?

Chiedi all’acquaiolo se l’acqua è fresca.

È una domanda oziosa, retorica, di cui si conosce già la risposta.

Questo si dice quando qualcuno vanta se stesso o i propri prodotti.

Sarebbe come se qlcn chiedesse a Tarzan se il pesce che ha sul suo banco al mercatino è fresco: che cosa risponderà il nostro simpatico pescivendolo secondo voi?

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Addj’ c’ha fatte staggjöne va fé vjirne

Addj’ c’ha fatte staggjöne va fé vjirne

Dove hai trascorso l’estate vai a passare l’inverno.

Un po’ come la storiella della cicala, che ha cantato spensierata per tutta l’estate, mentre la previdente formica raggranellava scorte nel suo granaio.

Al primo gelo la imprevidente cicala chiese cibo alla formica.

La risposta appare nel titolo.

È un monito ad essere previdenti, a risparmiare, a non sprecare il tempo inutilmente: i tempi di magra sono imminenti e immanenti.

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Addrìzze vignetjille quann’jì angöre tenerjille

Addrìzze vignetjille quann’jì angöre tenerjille

Raddrizza il virgulto quando è ancora tenero.
Alcuni, invece del verbo addrizzé =raddrizzare, usano il verbo (clicca→) chjeché = piegare, ma ciò non cambia minimamente il significato di questo Detto.

Ossia è meglio correggere subito un difetto, altrimenti non si potrà più eliminare. Rimandare la cosa diventa del tutto inutile.

Il che vale per le persone, gli animali domestici, le apparecchiature, ecc.

Questo proverbio si cita, ad esempio, quando ormai un bimbo è grandicello ed evidentemente mostra segni di cattiva educazione. Insomma i figli vanno educati da piccoli.

Il virgulto, specie quello dell’albero di olivo, è chiamato vinghje  o vignetjille (ant. vignetìdde) Si adoperavano per farne cesti, canestri e robusti panieri.

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Addjì ca fé jàrre, addjì ca fé zàrre

Addjì ca fé jàrre, addjì ca fé zàrre

I due termini jarre e zarre non hanno un loro proprio significato, perché sono associati in questo Adagio solo per la rima.

Il Detto si cita per indicare una persona lunatica che a talvolta abbonda e a talaltra scarseggia nelle sue relazioni con il prossimo.

Insomma il soggetto in certe circostanze si mostra  estroverso e in altre è introverso. Ma anche in generosità e grettezza. Insomma ha spesso due atteggiamenti in antitesi.
Sempre in antitesi deve intendersi il comportamento di chi dà importanza alle sciocchezze e non dà peso alle cose importanti.

Per deduzione si può assegnare a jarre il significato di scarso, ed a zarre quello di  eccessivo

Dice il lettore Francio: «Io me lo ricordavo come: “addjì ca fe jarre, allà fé’ zarre…” E’ una mia storpiatura?»

Mi sono informato.
Se dico come appare nel titolo, specifico che lo sciagurato in un luogo fa lo sciupone, e in un altro luogo il taccagno, ossia due cose in antitesi eseguite in due posti diversi.
Simile al Detto: Jàlle de chjàzze e tróvele de chése.(←clicca)

Invece, nel modo in cui lo ricorda Francio – che, a mio avviso, non è nello spirito di questo detto – sembra che le due cose debbano avvenire nello stesso luogo: dove hai scialato là vai a stringere la cinghia.  Un po’ come la cicala e la formica. Dove hai fatto l’estate vai a fare l’inverno.

Grazie per le attenzioni dei lettori. È la finalità di questo lavoro, quello che io cerco sempre!

Non abbiate timori a replicare. Lo ripeto spesso: io esprimo le mie opinioni, che possono essere sempre opinabili.

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