Autore: tonino

Spunde ‘u vrachettöne e jèsse ‘u bambalöne

Spùnde ‘u vrachettöne e jèsse ‘u bambalöne

Sbottoni la patta e compare il battaglio (o il pendaglio, o il dondolo)

Indovinello micidiale che porterebbe ad un’errata soluzione…

Si tratta semplicemente della spiga del mais: infatti per far comparire la pannocchia bisogna aprirsi un varco tra le foglie che la ricoprono. Ricordo ai distratti che una volta sgranata la pannocchia, rimane un totulo legnoso detto in dialetto‘u tòtere.

Dalla serie “non si butta niente” questi totuli, opportunamente tritati e trattati, vengono usati per preparare lettiere destinate ad animali domestici. Le foglie secche, fino all’avvento del materasso a molle, venivano usate per riempire il pagliericcio (‘u saccöne) su cui si posava il materasso di lana o di crine vegetale.

Per i puristi: l’insieme delle ampie brattee che avvolgono la pannocchia del granoturco si chiamano “cartoccio” (Treccani).

Quindi l’indovinello è in corretto italiano: apri il cartoccio e appare la pannocchia.

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Söpe a ‘na mundagnèlle…

L’indovinello completo suona così:
Söpe a ‘na mundagnèlle stöve ‘nu vecchiarjille,
strìtte di cendurèlle e làrje de cappjille

Sopra una montagnola c’era un vecchietto, con una cintura stretta e un cappello largo.

Soluzione: ‘u fònge = il fungo

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Se lu vüde, quande jì brótte!…

Ecco il testo completo della terzina.

Si tratta, come quasi tutti gli indovinelli dialettali, di una definizione ridanciana che si presta a doppi sensi.

Se lu vüde, quande jì brótte!
Se l’addùre, quande föte!
Se l’assagge turne arröte.

Se lo vedi, quant’è brutto!
Se l’annusi, quanto puzza!
Se l’assaggi, torni di nuovo (ad assaggiarlo).

Veramente l’inizio del terzo verso dovrebbe essere: “Se l’assépre” = se l’assaggi, dal verbo assapré = assaporare, assaggiare. I ragazzi di oggi usano il simil-italiano assaggé, che ormai è diventato di uso comune.

Ma loro hanno frequentato tutti obbligatoriamente le scuole medie. La generazione precedente si fermava alla scuola elementare, e perciò tramandava un dialetto meno contaminato.

Difatti se chiedete ad una persona anziana come si traduce il verbo in questione, vi risponderà senza esitare: assapré, assapréte,= assaggiare, assaggiato. Tuttavia anche i giovani di oggi, con la stessa radice, usano l’aggettivo saprüte, saporito, ricco di sapore, gustoso.

Ah, nell’elucubrare la nota etimologica stavo dimenticando di rivelare la soluzione dell’indovinello: il baccalà!

Ringrazio la lettrice Tonia Trimigno per il suo grazioso suggerimento

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Pa vocche ciacche-e-cciàcche…

Ecco l’indovinello completo:
Pa vòcche ciàcche-e-cciàcche, p’i méne ce manjöje, e ‘mmizz’i jamme ce nazzecöje.

Con la bocca in continuo movimento, con le mani si maneggia, tra le gambe pende e si dondola.

A cröne d’u Resàrje = La corona del Rosario

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Nenn’jì Rè ma töne a cröne…

Ecco l’indovinello completo:

Nenn’jì Rè ma töne a cröne,

nen jì cavaljire ma porte i sprüne,

nen jì sagrestène ma söne ‘u mattutüne

Non è re ma ha la corona, non è cavaliere ma ha gli speroni, non è sacrestano ma suona il mattutino.

‘U jallócce = il gallo

La corona è la cresta

gli speroni sono le unghie posteriori, tipiche dei gallinacei (*)

il mattutino è il canto antelucano

 

(*)Gli speroni sono strutture ossee corneificate e fissate alla parte posteroinferiore del tarsometatarso. Sono presenti nei maschi di alcuni gallinacei – gallo, tacchino, parecchi fagiani – che se ne servono per offesa. Mancano nella faraona, nella quaglia e nella pernice. (dal web)

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Murte te tènge, vüve te cöce

Murte te tènge, vüve te cöce

Se è morto ti tinge, se è vivo ti scotta

‘U carevöne, stutéte e appeccéte = Il carbone, spento e acceso.

Esiste una variante:

Murte te tènghe, vüve me cöce

Morto ti reggo, vivo mi scotto, ossia se sei spento ti prendo in mano, mentre se sei acceso e la  bruci.

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La mamma la fé e ‘u pétre ce la fìcche

La mamma la fé e ‘u pétre ce la fìcche

La mamma la fa e il padre se la infila

‘A cavezètte = La calza fatta ai ferri.

Ricordo mia nonna che sferruzzava sempre per creare calze usando il cotone ritorto detto bomméce (da bambagia=cotone in fiocchi, non filato).
Forse per comodità di esecuzione, faceva passare il filo, dal gomitolo tenuto in grembo, attraverso la spilla da balia (appondapètte) fissata sul grembiule, all’altezza del petto.

 

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Jì pèsce e nenn’ jì pèsce…

Ecco l’indovinello completo, in rima:
Jì pèsce e nenn’ jì pèsce,
ma töne ‘i spüne a cümme lù pesce,
töne ‘a chépe da cardenéle,
vè mmocche e nen fé méle

E’ pesce e non è pesce, ma ha le spine come il pesce, ha la testa da cardinale (rossa), va in bocca e non fa male.

‘U fechedègne = Il ficodindia

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