Categoria: F

Furce

Furce s.f. = Forbice

Strumento per tagliare formato da due lame d’acciaio, incrociate e fermate al centro da un perno, lame che hanno all’estremità due anelli in cui si infilano il pollice e un altro dito della mano.

Mentre in italiano per alcuni sostantivi si usa prevalentemente il plurale (gli occhiali, le brache,  le forbici, le tenaglie, le pinze…) in dialetto si adopera sempre il singolare: ‘a fùrce.

Generalmente con ‘a fòrbece si intendeva quella da sarto o quella da barbiere, con le lame lunghe.

L’uso  italianizzato del termine fòrbece, ormai prevale sull’antica  versione furce

Si distinguono quelle particolari, secondo l’uso specifico:
fòrbece da stagnére = da lattoniere, in italiano dette cesoie, a lame larghe e dagli ampi occhielli
forbece da lettrecìste = da elettricista, a lama corta adatte anche come spelacavi
fòrbece pe puté = per potare, con una lama larga e una stretta
fòrbece pe tusé = per tosare, pervenuteci tali e quali dall’antichità, le cui lame non sono imperniate ma unite ad arco flessibile al termine dei loro manici.

Le forbicine usate nei lavori di ricamo per recidere i fili e per intagliare i centrini, o quelle per tagliare le unghie e i peli nel naso, sono chiamate in dialetto, al singolare: ‘a furbecètte.

Ricordo vivamente, quando ero in età pre-scolare, e frequentavo l’Asilo Infantile “Stella Maris”, la sorridente Suor Vincenza, che portava sempre con sé le sue forbicine, appese con una catenella al cordone che le cingeva la vita. 
Un flash-back che mi ritorna puntualmente in mente quando cerco le mie forbicine e non le trovo al loro posto

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Furbeciöne

Furbeciöne s.m. = Pettegolo

Persona che sparla dei fatti e comportamenti altrui. Di solito è un tale chiacchierone e maldicente.

Generalmente si riferisce a soggetti femminili. Vi assicuro che ci sono anche i maschietti dediti al gossip.

Se poi si mettono in due…(i famosi Furbeciüni, Franco Rinaldi e Lello Castriotta) immaginate quanti panni addosso sono capaci di tagliare!

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Funére

Funére s.m. = Cordaio, funaio

Chi fa spaghi, sagole, cime, corde, funi, e gomene ad uso della marineria locale utilizzando fibre tessili, operando in maniera artigiana.

Un ragazzo manovrava una ruota a tamburo che dava il movimento rapido, mediante una cinghia di trasmissione, a dei mandrini cui si fissava la canapa grezza da torcere e riavvolgere. Il cordaio, indietreggiando, e lasciando attorcigliare la canapa che reggeva intorno alla vita, otteneva uno spago lunghissimo.

Nei successivi passaggi attorcigliando più volte questi spaghi otteneva una fune della grossezza voluta.

Un cordaio operava all’interno dello Stadio Miramare (allora non era recintato) parallelamente al viale. Un altro (o lo stesso?) dov’è ora l’Hotel Gargano. Questo che vediamo nella foto ha montato la sua ruota probabilmente sul “Tratturo di Pulsano”  o nei pressi dell’attuale Zona mercatale, in Zona Scaloria.

Anche colui che vendeva questi prodotti era chiamato ‘u funére.

Io ricordo il negozio di De Gennaro,  proprio di fronte alla Farmacia Centrale Murgo, che vendeva cordame e reti da pesca di sua produzione.

La produzione industriale delle funi, confezionate con fibre sintetiche anziché con la canapa, ha introdotto sul mercato spaghi, sagole, cime e gomene resistenti e  immarcescibili. Di conseguenza ha causato la scomparsa di questo antico mestiere.

Ringrazio l’amico Matteo Borgia per avermi fornito la foto pubblicata in questo articolo.

Vi propongo una poesia del nostro poeta dialettale Lino Nenna, tratta dalla sua raccolta “Pètele de röse” (Petali di rosa), dedicati ad una figura scomparsa dalla nostra Manfredonia.

‘U funére

‘Nnanze e dröte
‘u funére jì jüte
e quanda zöche ho arravugghiète;
pe lu cüle ‘ndröte jöve
e de fàcce sèmbe returnöve.

Da ‘u söle ca l’abbrunzöve
‘na pagliètte nghèpe ce mettöve.

Pe’ sedöre e pe fatüje
matasse e ghiòmmere
ho mìsse ‘nfüle.

‘Mbàcce ‘a röte ‘u uagnöne
ca aggeröve ‘a manuèlle
peccenìnne e tenerjille
au patrüne stöve attjinde.

P’aggeré forte o chiéne
Lu sendöve da lundéne.

Sòtte e söpe ‘u funére jì jüte
C’a matasse de la vüte.

Traduzione per i lettori non locali.:
Avanti e indietro il cordaio è andato e quanta corda ha avvolto; a ritroso indietro andava e di faccia sempre ritornava. (Per ripararsi) dal sole che l’abbronzava, un cappello di paglia in testa si metteva. Con sudore e con fatica matasse e gomitoli ha messo in fila. Di fronte alla ruota il ragazzino che girava la manovella, piccolo e tenero al (comando del) padrone stava attento. Per girare forte o piano lo sentiva da lontano. Sotto e sopra il cordaio è andato con la matassa della vita.

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Fundénaröse

Fundénaröse top. = Fonte Rosa

Borgo rurale sorta nel dopoguerra ad opera dell’Ente Riforma Fondiaria.

Ubicato verso Ortanova, nella Puglia piana.

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Fumjìre

Fumjìre sm = Letame.

Concime di natura organica formato da strame ed escrementi di animali che fermentano e si decompongono. Viene usato per concimare gli orti.

Termine derivato dal francese Fumier = letame

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Fumjìre

Fumjìre sm = Letame.

Concime di natura organica formato da strame ed escrementi di animali che fermentano e si decompongono. Viene usato per concimare gli orti.

Termine derivato dal francese Fumier = letame

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Fulmenànde

Fulmenànde s.m. = Zolfanello, fiammifero da cucina

Antica denominazione dei fiammiferi che hanno come couadiuvante all’accensione un bagno di zolfo sulla punta; è una definizione desueta.

Erano venduti dai tabaccai assieme ai generi di Monopolio di Stato (Chinino, sale e tabacchi).

Il nome fulmenànde probabilmente deriva da un’antica denominazione commerciale, perché lo ritrovo anche nei dialetti liguri, piemontesi, lombardi, emil-romagnoli, triveneti, toscani, umbri, marchigiani, laziali, abruzzesi, calabresi e sardi.

In epoca più recente, ossia fintantoché era usato il colletto di zolfo sotto la testa di fosforo, era chiamato anche zuffarjille, zolfanello.

Poi, credo dopo il 1970, hanno messo in commercio quelli che evitano il nauseabondo odore di zolfo, e sono tuttora usati in cucina o dai fumatori di pipa.

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Fuffé

Fuffé v.t. = Soffiare.

Un verbo entrato nelle orechie osservando i giocatori di Dama.

Quando un giocatore, avendone la possibilità, non mangia una pedina, per calcolo o per distrazione, dava al giocatore avversario il diritto di eliminarla dalla scacchiera.

Questi la prendeva con tre dita, l’avvicinava alla sua bocca e pronunciava “soffio” alitandovi sopra come per spegnere un’immaginaria candela.

“Soffio” nel corso degli anni è diventato foffio e poi fòffe fuffé.

Il vero regolamento del gioco della Dama non contempla la possibilità di fuffare.

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Fucenètte

Fucenètte s.f. = Forgia

Forgia: fornello a carbone fossile, munito di mantice o di ventilatore, utilizzato dal fabbro per la arroventare e poi lavorare col martello sull’incudine un pezzo metallico

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Fucarüle

Fucarüle s.m. = Focolare

Parte del camino su cui si accende il fuoco per cuocere le vivande o per riscaldare l’ambiente.

Nelle case a pianterreno, era ricavato in una rientranza della parete interna di circa 50 cm, con apertura larga cm 100, alta circa cm 200, e collocata su uno dei lati accanto all’uscio. Era dotato di una breve condotta verticale per mandare i fumi all’esterno, direttamente sul tetto.

La parte adibita a focolaio era suddivisa orizzontalmente da un “piano di cottura” in muratura di mattoni pieni, situato a cm 85 dal pavimento. La parte sottostante, protetta da due sportellini, veniva usata per contenere la legna da ardere, e/o il sacchetto dei carboni,la paletta, l’attizzatoio, il ventaglio di piume di tacchino.

Quando ’u fucarüle non si usava, veniva chiuso dalle due porticine superiori, in sua dotazione.

Una rientranza delle stese misure era ricavata all’altro lato della porta d’ingresso, ed era utilizzata come stipo a muro, a più ripiani, anch’esso dotato di sportellini, talora a vetri, in cui venivano riposti stoviglie, e provviste  varie.

Con l’avvento del gas in bombole (detto Pipigas = “BPgas”, Butangas, Liquigas) nel 1951 tutti in massa passarono a sostituire la legna con nuovo combustibile che non faceva fumo, non anneriva le pentola, si accendeva immediatamente, cuoceva rapidamente.

La bombola trovò alloggiamento nella nicchia sottostante il piano ex di fuoco, dove ora faceva bella mostra di sé la classica bianca cucina di ferro smaltata bassa a tre fornelli, detta “da campeggio”.

Ricordo che la prima marca apparsa sulla piazza fu la Zoppas, e bisognava prenotarla con un’attesa presunta di qualche mese! Nessuno pensava di andare a comprarla a Foggia, ove certamente era più reperibile, perché nessuno possedeva l’automobile e poi…chi avrebbe potuto dare le istruzioni per l’uso del gas?

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