Categoria: Proverbi e Detti

Jàlle de chjàzze, tróvele de chése

Jàlle de chjàzze, tróvele de chése

Galletto in piazza, torbido in casa.

In piazza, con gli amici, è brillante e pimpante. In casa invece è cupo e taciturno.

Succede spesso che entro le mura domestiche un uomo si trasformi completamente: dr.Jeckyll e Mr.Hide.

Questo Detto ha più di  variante, ma sempre con l’evidente contrapposizione dei due comportamenti.
a) Bbùne de chjàzze, e tróvele de chése!

b) Bèlle ‘n chjazze e tróvele de chése

c) Frìvele de chjàzze, trìvele de chése.
Frìvele, è comprensibile, in quanto simile all’italiano frivolo, ossia brillante, festaiolo, ma trìvele è un termine ormai desueto, che vuol dire violento, rabbioso. Probabilmente qui è stato riesumato per assonanza.
Può destare titubanza ma il termine trìvele rende ugualmente il senso del comportamento contrario, in opposizione a frìvele.


d) Jàlle de chjàzze, magghjėte jínde a chése.
Qui bisogna chiarire: il soggetto che fuori di casa  fa lo splendido, è definito “galletto”,  ma che in casa è remissivo, è ritenuto “cappone” [magghjéte (←clicca)= castrato] perché non capace di sottrarsi all’autorità della moglie!

 

 
 

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Jàveze ‘u cüle e sìrve ‘u patrüne.

Jàveze ‘u cüle e sìrve ‘u patrüne.

Alza il culo e servi il (tuo) padrone.

Esiste una variante:
Jàvezete cüle e sìrvete patrüne = Alzati, culo, e servi il tuo padrone.

È un’espressione amichevole. Non è pensabile che possa essere rivolta al proprio capo….

Se non si ha voglia di eseguire gli ordini impartiti perentoriamente [ad esempio da un commensale maleducato, che dice: “prendi questo, portami quello, chiudi là, apri qui, passami il sale, ecc.”] e senza aver aggiunto “per favore”, gli si risponde con questo detto antico.

Un italiano, per sollecitare un’azione, un lavoro ecc. scherzosamente si dice: alziamo le chiappe nel senso di “muoviamoci e diamoci da fare”.

Il significato è identico.

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Je diche “zà!” e códde còrre alla vesàzze!

Je diche “zà!” e códde còrre alla vesàzze!

Io dico: “pussa via!” e quello (il cane) corre alla bisaccia.

Quando si dice: “pussa via!” il cane dovrebbe fuggire via, e invece quello corre verso la bisaccia a cercare cibo.

Io dico una cosa e tu capisci un’altra!

Ciascuno interpreta a modo suo, secondo il proprio tornaconto, in barba alla logica e all’evidenza.

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Jéme alla Pógghje…

Jéme alla Pógghje…

Una volta le donne anziane per racimolare qualcosa da mettere sotto i denti, dopo l’avvenuta mietitura si avventuravano per i campi a spigolare.

Durante la guerra – allorquando si sentiva maggiormente la necessità di procurarsi cibo – si è verificato qualche episodio di incursione aerea nemica su queste poverette, scambiate per truppe sparse.

Un anonimo poeta nostrano, sulle note della canzone di (clicca→) Lilì Marlène,  di autore tedesco scritta nel 1915, molto in voga all’epoca del conflitto e addirittura cantata dai soldati di TUTTI gli eserciti in guerra, compose questi versi che denotano insofferenza verso il testone Mussolini

Jéme alla Pógghje e jeme a spuchelé
passe l’apparècchje e ce mètte a metraglié!|
Tutte lu gréne ca nüje facjüme
ce lu mangéme a maccarüne
Alla facce de Muselüne
alla facce du capacchjöne

Il nostro poeta ha rispettato rigorosamente la metrica e la cadenza musicale.

Traduzione:
Andiamo alla Puglia piana, andiamo a spigolare: /passa un aereo e comincia a mitragliare!/Ma tutto il grano che noi riusciremo a raccogliere/ ce lo mangeremo trasformato in maccheroni,/alla faccia di Mussolini, alla faccia di quel testone.

Era un po’ un canto di resistenza, stile “Bella ciao”, dopo il ventennio fascista, quando la gente era al colmo della disperazione e degli stenti imposti dalla guerra.

Tutto ciò è venuto da una popolazione tribolata e affamata dalla guerra. E scusate se è poco.

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Jì a Nàpele pe ‘na rapèste

Jì a Nàpele pe ‘na rapèste

Alla lettera significa: Andare a Napoli per (comprare) una rapa selvatica.

Il termine rapesta deriva dal latino rapistrum ed indica proprio la rapa, un ortaggio povero e di poco sapore tanto da esser passato ad indicare una persona sciocca ed incompetente (testa di rapa).

Metaforicamente vuol dire: Affrontare un progetto oneroso e impegnativo e ottenere un risultato del tutto insignificante.

Canzonando l’allievo, il maestro artigiano, visto il risultato scarso alla fine della giornata, gli profferiva questa simpatica locuzione: sì jüte a Nàpele pe ‘na rapèste!. Ossia: hai speso tutto il tuo impegno e alla fine hai ottenuto un risultato irrisorio.

Qualcuno, in maniera simile, afferma che Capacchione jètte a Nàpele pe ‘nu cappjidde (o in maniera meno rozza cappjille) andò da Manfredonia fino a Napoli solo per comprare un cappello.

I Napoletani invece… vanno a Porto! (clicca→) Jì a Puorte pe na rapesta,

Ne valeva la pena?

In  italiano si dice: “il gioco non vale la candela” oppure “la spesa non vale l’impresa”.

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Jì a pegghjé ‘i putténe a cavalle

Jì a pegghjé ‘i putténe a cavalle

Andare a prendere le “lucciole” a cavallo.

Talora veniva usato il verbo “angappé” = acchiappare, catturare.

Può sembrare il programma del Maresciallo dei Carabinieri in procinto di andare con i suoi uomini a fare una retata nei bassifondi.
Mi riferisco all’epoca in cui non c’erano le automobili a disposizione delle forze dell’ordine, e i loro spostamenti avvenivano con i cavalli.

Oppure dei tenutari dei bordelli che andavo a prendere le ‘nuove’ signore da avvicendare quindicinalmente nella loro lucrosa attività: ovviamente non con i mezzi pubblici, ma con i cavalli e la carrozza chiusa (landeau).

Più semplicemente fino agli anni ’60 il detto rappresentava una risposta evasiva a chi avrebbe voluto addentrarsi troppo nella propria privacy.

Addjì ca ve? Véche a pegghjé ‘i putténe a cavalle = Dove vai? Questi non sono fatti che ti riguardano.

Una specie di: quìste nen so’ cazze tüje!

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Jì bèlle e nen abbàlle

Jì bèlle e nen abbàlle

È bello e non balla.

Io credo che questo modo di dire sia stato coniato per l’assonanza di belle e abballe.

Si tratta di una risposta vaga che denota disinteresse alla proposta di qlcu per un acquisto, un affare, un viaggio, un evento, un matrimonio combinato come si usava una volta, ecc.

Insomma il detto, un po’ sprezzantemente, vuole significare: quello che vedo è tutto fumo e niente arrosto.

Talora è il giudizio sintetico e lapidario su un uomo o una donna molto appariscenti…ma vacànde di cervello.

 La vüte a quant’jì bèlle Rusüne?
– Sì, jì bèlle e nen abbàlle!
 = La vedi quanto è bella Rosina? Sì e bella e non balla (ossia: sarà pure bella ma…)

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Jì chjù mègghje a cummanné ca a fotte

Jì chjù mègghje a cummanné ca a fotte

Questo Detto sintetizza il fascino del Potere.

Il Potere non significa solo possedere le leve di comando in ambiente politico, scientifico, militare, giudiziario, ecclesiastico, finanziario, ecc., ma anche semplicemente la facoltà di agire secondo la propria volontà, senza dover assecondare nessuno, possibilmente avvalendosi di sottoposti.

Insomma secondo alcuni il piacere derivante da questo status è superiore a quello sessuale.
De gustibus…

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Jì córte e nen arrüve, jì lunghe e trapàsse

Jì córte e nen arrüve, jì lunghe e trapàsse

È corto e non ci arriva, è lungo e oltrepassa.

Originariamente voleva essere il rammarico di chi non ha gli attrezzi adatti a compiere un certo lavoro.

Poi il Detto assunse un significato canzonatorio rivolto verso qlcu che non è mai soddisfatto del tuo comportamento.
Questo no, quest’altro no. Ma insomma!

Cantava Antoine negli anni ’60: “Se lavori e ti tirano le pietre, non fai niente e ti tirano le pietre, qualunque cosa fai, tu sempre pietre in faccia prenderai”

Mio padre riferiva un’ipotetica conta (‘u tùcche): vòtte düje e vìnge tó, vòtte trè e vìnge sèmbe tó! = Butto due e vinci tu, tiro tre e vinci sempre tu….

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Jì facènne: quante so’ quìste?

Jì facènne: quante so’ quìste?

Andar facendo: quanti sono questi?

Purtroppo è l’effetto della miseria conseguente alla dilapidazione colposa di capitale nel gioco, negli investimenti sbagliati, nella dolce vita dispendiosa con donne, champagne, ecc..

Alla fine ci si trova con una manciata di mosche.

E allora per fare i conti con la realta, quando tutti gli “amici” di merenda gli hanno voltato le spalle, il poveretto, passandosi rapidamente sulla punta del naso il pollice, l’indice e il medio va facendo: quanti sono questi? Cosa mi rimane?

Non riesce più a contare nemmeno fino a tre perché è irrimediabilmente fuori di testa.

Ovviamente è un modo di dire per biasimare qualcuno che ha scialacquato tutti i suoi averi.

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