Uno è rogna e l’altro è tigna.
Esiste una variante, ossia che in questa compagnia c’è un terzo sciagurato: Jüne jì rógne e l’ate jì tìgne, e l’ate töne ‘u méle all’ogne = Uno è rognoso, l’altro è tignoso e l’altro ancora ha il male all’unghia.
L’uno vale l’altro: sono sempre dei cattivi incontri.
Si cita quando si è di fronte a più problemi da affrontare. Simile al binomio padella-brace. Uno peggio dell’altro.
La rogna è la scabbia, malattia della pelle dovuta ad acari parassiti.
La tigna è dovuta a miceti (funghi parassiti).
L’unghia dolente può avere diverse cause.
L’acque nen assècche = la pioggia non inaridisce (i campi, le colture).
Alcuni pronunciamo l’acque ne ‘nzecche. Il Detto, un po’ più o completo è: add’jì ca chjöve ne’nzècche = dove piove non secca. Il contadino è notoriamente apprensivo per l’andamento meteorologico. Difatti dall’abbondanza o dalla scarsezza delle precipitazioni dipende il suo raccolto. In questo Detto è una constatazione di piogge abbondanti e frequenti. Come per dire: ben vengano, così il mio raccolto sperato non soffrirà della siccità (in dialetto sìccete).
Per contro, quando non piove da molto tempo, per buon auspicio il contadino dice: l’acqua che non piove in cielo sta ( prima o poi cadrà). (clicca qui).
Ringrazio l’amico Nardino Mastroluca per avermi riportato per la preziosa imbeccata, ascoltata da Matteo Borgia, cui sono grato per aver potuto redigere questo articolo.
L’àlèpe d’èstéte nen abbaste a fé ‘na cachéte; l’àlepe de vjirne da Nàpele a Saljirne prov.
È un simpaticissimo proverbio marinaresco in rima. Ecco il significato:
L’alba d’estate dura poco, nemmeno il tempo di fare una cacata (cagata per i settentrionali). Scusate il termine, molto brutto, ma rende molto bene l’idea della brevità….
Invece l’alba d’inverno dura parecchio, quanto il tempo impiegato per andare da Napoli a Salerno, al tempo in cui non esisteva nemmeno l’autostrada.
Ringrazio vivamente il dr.Matteo Rinaldi per il prezioso suggerimento.
La frase in se stessa non chiarisce molto un concetto che pare ovvio.
E’ la risposta ironica al padrone di casa che ci offre da bere dell’acqua.
– Vu’ ‘nu pöche d’acque? = Vuoi un po’ di acqua?
– L’acque fé ‘mbraceté i bastemjinde a mére = L’acqua fa marcire i bastimenti a mare.
Insomma il padrone di casa non l’aveva capito: non avrebbe dovuto offrire l’acqua all’ospite, bensì birra, o vino, liquore, caffé.
Un’altra simpatica risposta è:
– No, l’acque po’ vé alla spalle = No, l’acqua poi va alla spalla.
Qui il discorso è un po’ più serio.
In tempi in cui il riscaldamento nelle case era dato solo da un braciere a carbonella, le persone anziane si ammalavano di pleurite essudativa o di pleurite sierosa.
Questa malattia è un’infiammazione acuta o cronica della pleura con essudazione fibrinosa delle sue superfici e con presenza di essudato nella cavità pleurica, causata dal micobatterio tubercolare. Conseguenza: febbri e difficoltà respiratorie.
E non erano stati inventati ancora gli antibiotici!
Il popolino chiamava questa brutta malattia “l’acque alla spalle“.
Ecco perché era meglio il vino….L’acqua poteva infiltrarsi nella spalla!
Sensazione di chi, trovandosi in un ambiente diverso da quello abituale, prova disagio e si sente smarrito, imbarazzato, spaesato, intruso e sim.
Fé la fjüre de l’àsene ammjizze ‘i sune = Fare la fiigura dell’asino in mezzo ai professori. Figuraccia assicurata.
L’asino si traduce generalmente ciócce, ciucciarjille. Ma qui, facendo una citazione “dotta”, si usa appositamente una voce simil-italiana.
I suoni erano detti i bravi suonatori che si esprimevano con talento, cuore, passione, senza titoli accademici, ma con la modesta tecnica imparata da un insegnante privato di musica, anch’egli senza alcun diploma di Conservatorio ma con tanto ingegno, e genialità artistica.
La busciüje vé ‘nànze e ‘a veretà scappe apprjisse
La bugia va avanti, e la verità corre dietro.
In effetti le bugie, come recita il proverbio italiano, hanno le gambe corte, e non riescono a percorrere molta strada: presto vengono raggiunte dalla verità, decisamente più veloce.
La cambéne ce canosce da cüme söne e l’öme da cüme parle
La campana si riconosce dal suono, l’uomo dal parlare.
Come il suono di una campana può dirci molto sulla qualità del bronzo con cui è realizzata, alla stessa maniera, il modo di parlare, di ragionare e di esprimersi di una persona possono dirci molto sulle sue qualità umane.