Categoria: Proverbi e Detti

Né èrve all’ùrte, né pìsce au purte

Né èrve all’ùrte, né pìsce au purte

(Non comprare mai) Né erbe all’orto, né pesci al porto.

Un consiglio dato a coloro che ritengono di poter risparmiare sul prezzo acquistando le vedure direttamente dall’ortolano e i pesci direttamente dai pescatori.

Forse possono ottenere prodotti più freschi, ma certamente più cari di quelli comprati sotto casa.

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Ne jì dumèneche se nen ce sté ‘u züche

Ne jì dumèneche se nen ce sté ‘u züche = Non è domenica se non c’è il sugo.
Ovviamente per “sugo” noi intendiamo il ragù di carne mista e passata di pomodoro, usato per condire le orecchiette o gli ziti spezzati (o anche i rigatoni…).

La tradizione meridionale è sacra. Non è ammesso altro “primo” al pranzo della domenica. In tempi più recenti si è passati alla pasta al forno (cannelloni, lasagna) ma sempre condita col rituale züche domenicale.

In Emilia-Romagna per esempio di domenica usano spesso i tortellini o i passatelli in brodo. Buonissimi, per carità, ma io sono di quelli che di domenica vogliono «‘U pranze de Pulcenèlle», ossia i maccarüne p’u züche d’a dumèneche! Se no che domenica è?

Nei tempi difficili del dopo-guerra ricordo che di domenica, invece della carne, le nostre mamme usavano la cotica o la ventresca di maiale per preparare ‘u züche fìnte = il sugo “finto”, perché privo di brasciöle, savezìcchje, castréte, pulpètte….
Sì, finto, ma era pur sempre sugo, ed era ugualmente buono, vi assicuro!

Ringrazio il lettore Alfredo Rucher per il suo grazioso suggerimento.

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Nen ce capisce a pèzz’u scitére.

Nen ce capisce  a pèzz’u scitére.

È un Detto antico quando si constatava, con costernazione, lo stato di povertà di una persona o di un qualsiasi dimora.

In pratica, alla lettera, significa che non si riesce a comprendere quale sia il tessuto originale, perché tante volte rattoppato con pezze differenti per specie o colore.

Ringrazio gli amici Rinaldi e Caratù, autori del pregevole “Vocabolario di Manfredonia” i quali mi hanno inviato un grazioso commento, ove spiegano anche l’etimologia di scitére, sinonimo ormai desueto del già vetusto (clicca→) pannazzére.

«Dal  proverbio si deduce che il nostro dialetto raccoglie anche termini arabi, oltre a immagini del tempo passato: la gente povera (ma laboriosa!) che indossava vestiti rattoppati mille volte (tanto da non poter capire quale fosse il tessuto originario!).
Ricordo ‘gli sciabbicaioli’ in mutandoni multicolori, quando tiravano a riva la sciabica,
Shitan,  in arabo (scritto con una sorta di disegno, come si esprimono gli arabi) vuol dire ‘tessuto, panno’, per cui l’attinenza è chiara. Il sinonimo è il noto ‘pannazzére‘ (voce dialettale adottata fino a mezzo secolo fa)».

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Nen ce facjüme a canòsce

Nen ce facjüme a canòsce

Non ci facciamo conoscere

Suggerimento del più prudente di una combriccola di giovinastri che, fuori dal proprio ambiente, comincia a fare intemperanze, consapevole del temperamento esuberante del gruppo.

Invito ad agire con correttezza ed educazione.

Spesso si completa la frase con …pe’ quìdde ca süme! = per quelli che siamo!

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Nen ce sté chjó ‘nu pàlme de tèrra nètte.

Nen ce sté chjó ‘nu pàlme de tèrra nètte.

Non esiste più nemmeno un palmo di terra “pulita”.

In questo caso netta significa che nel mondo non c’è nemmeno un palmo di terra emersa risparmiato dalla disonestà dilagante.

Nen esistono più “mani pulite”. È tutto un vero sfacelo: immoralità, inquinamenti, magna-magna, malcostume, droga, rapine, stupri, prostituzione, pedofilia, mafia, concussione, malversazione, lavoro nero, disoccupazione, mobbing e tante ‘belle’ schifezze attuate per fare denaro.

Il detto è molto pessimista. Dicono i Romani: pensa male che ci azzecchi. Tuttavia mi rifiuto di pensare che siamo tutti disonesti, che non esista un luogo dove la totalità è dedita a questo genere di “attività”….

Grazie alla lettrice Apple per il suggerimento.

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Nen ce sté nè cjile da vedì nè tèrra da camené

Nen ce sté nè cjile da vedì nè tèrra da camené

Non c’è né cielo da vedere, né terra da camminare.

Difficoltà assommate.

Si usa dire quando le circostanze non sono per nulla favorevoli.

Véche truànne fatüje, ma nen ce sté nè cjile da vedì, nè tèrre da camené = Sto cercando lavoro, ma non si riesce a trovare nulla di nulla.

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Nen ce sté spusalìzzje ca nen ce chjange e funeréle ca nen ce rüre

Nen ce sté spusalìzzje ca nen ce chjange e funeréle ca nen ce rüre

Non c’è matrimonio ove non si pianga e funerale ove non si rida.

Lacrime e risate forse rispettivamente fuori luogo.

Le lacrime ad un matrimonio possono derivare dalla forte emozione, o anche da diverbi nati fra i parenti degli sposi, per questioni futili (come la collocazione degli stessi ai tavoli in sala o nel luogo ove si è celebrata la cerimonia nuziale)  o, peggio, da litigi per motivi  di interesse.

Alle interminabili  veglie funebri, specie fra ragazzini, per superare emozioni e stress, serpeggiano risate liberatorie, incontenibili proprio perché “proibite”.

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Nen chiamanne p’a manózze, ca nen vöne p’u pedózze.

Nen chiamanne p’a manózze, ca nen vöne p’u pedózze.

Non chiamare con la manina, (così) lui non viene con il piedino.

È il costante monito della mamma verso la sua avvenente figliola. Come per dire, non fare alcun cenno al giovinotto, così lui non si sente incoraggiato a venirti a ronzare attorno.

Le mamme, almeno una volta, erano preoccupate per il futuro delle proprie procaci figliole.

Se tu stai al posto tuo, non potrà mai accaderti nulla di spiacevole.

La prudenza era il primo precetto da seguire! Certe mamme di oggi, cosidette “emancipate”, per “prudenza” intendono il condom nella borsetta della figlia.

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Nen dànne rètte a sùnne, ca ‘u sunne jì ‘ngannatöre

Nen dànne rètte a sùnne, ca ‘u sunne jì ‘ngannatöre

Non dar retta al sogno, perché il sogno è ingannatore.

Il verbo “dar retta” si traduce anche in “dé avedènze“.

Quindi il proverbio si può citare anche cosi: “Nen danne avedènze a sunne, ca ‘u sunne jì ‘ngannatöre” .

La saggezza popolare consiglia di tenere i piedi ben piantati per terra, di non volare troppo con la fantasia. Essere pragmatici spesso evita cocenti disillusioni.

Questo Detto serve a consolare anche qualcuno turbato da un brutto sogno. Capita, ad per esempio, di sognare la morte propria o di qualche parente. Quando, turbati, si racconta il brutto sogno, si trova subito chi ordina di non dar peso all’episodio, perché il sogno, si sa, è fallace, menzognero, non è mai attendibile.

Forse il dott. Freud non sarebbe molto d’accordo….Ma lui aveva la chiave di lettura dei sogni, noi no.

Grazie al lettore Enzo Renato per il suggerimento.
Enzo mi ha dato anche una variante del proverbio:
‘U sunne jì ‘ngannatöre. Quèdde, ‘a vècchje, quèdde ca vulöve, ‘nzunne li jöve =  = Il sogno è ingannevole. Alla vecchia andava in sogno tutto quello che avrebbe voluto.
La traduzione non è letterale ma per rendere il concetto in italiano decente ho dovuto rispettare  grammatica e sintassi….

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Nen jì scugghje ca cacce lambe.

Nen jì scugghje ca cacce lambe.

Non è scoglio che produce patelle.

Si usa citare questo proverbio riferendosi a qlcu che è tirchio, taccagno, che non concede favori a nessuno.
Quindi da costui non ci si aspetti che faccia favori di alcun genere.

Un po’ come la morale del proverbio italiano: Cavar sangue da una rapa
Pretendere da qualcuno ciò che non può dare.

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