Categoria: Proverbi e Detti

Alla settandüne o alla candüne o alla sagrestüne

Alla settandüne: o alla candüne o alla sagrestüne

(Arrivato) alla settantina, (l’uomo si orienta) o all’osteria o alla religione (alla sacrestia).

Questo proverbio evidenza la caducità dei sensi dovuta all’avanzare della vecchiaia.

Veramente una cinquantina d’anni fa si citavano i sessantenni. Allora, per la vita logorante che si conduceva, le donne e gli uomini a 50 anni erano già considerati semi-invalidi.

Ora le cinquantenni sembrano ragazzine e i sessantenni sono ancora vitalissimi e galletti. Perciò ho volutamente spostato l’età a settanta.

Questo proverbio è simile a quello che suggerisce di lasciare la moglie per il vino.
Il termine sagrestüne dai giovani di oggi viene reso sagrestüje, più simile all’italiano perché, contrariamente ai propri nonni semi-analfabeti,  tutti hanno frequentato la scuola dell’obbligo.

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Alla settandüne, làsse a megghjèrete e mjinete söpe ‘u vüne

Alla settandüne, làsse a megghjèrete e mjinete söpe ‘u vüne

(Arrivati alla) settantina, lascia perdere tua moglie (perché faresti flop) e trova piacere con un buon bicchiere di vino.

La saggezza popolare dà questo suggerimento bonario al marito che perde colpi.

Non so se il Viagra può modificare questo proverbio. Forse la moglie settantenne, avendo da tempo seppellito certi desideri, troverebbe fastidioso il ringalluzzimento artificale del consorte.

Proverbio simile a quello che pone l’alternativa fra la cantina e la sacrestia.

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Alla squagghjéte de la növe ce pàrene ‘i strónzele

Alla squagghjéte de la növe ce pàrene ‘i strónzele

Allo sciogliersi della neve compaiono gli stronzi.

Al disgelo riaffiorano le porcherie che prima erano celate.

Il discorso è soprattutto figurato: solo quando le difficoltà e le tribolazioni sono ormai cessate, si fanno vedere coloro che avrebbero potuto dare un aiuto, e che invece si erano dileguati al momento del bisogno.

Falsi amici, profittatori, egoisti, menefreghisti: insomma stronzi!

L’amico Giuseppe Tomaiuolo suggerisce, credo a ragione, una ainterpretazion e del Detto:

Quando, col tempo, i fatti si chiariscono, si evidenziano le malefatte.

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Alla vecchjéje ‘i calze ròsse

Alla vecchjéje i calze ròsse

È una manifestazione di sorpresa per un fatto inusuale, strano o innaturale.

Mio padre mugugnava – quando osservava qualche azione inattesa, discordante o sorprendente – questo Detto, che esprimeva una forte valenza negativa:

Insomma sarebbe cosa buona e giusta fulminare, ad esempio, una settantenne che si mostrasse in spiaggia indossando un improbabile tanga, oppure un Gigi D’Alessio qualora manifestasse una inspiegabile passione per la musica jazzistica o per il rap.

Il Detto calza bene (scusate l’involontario calambour sulle calze) anche se non riguarda specificamente una persona fisica, come ad esempio un Carnevale fuori stagione, o le ciliege a dicembre (per quanto ora si possano reperire tutto l’anno) o il capitone a ferragosto….

Nota linguistica:
Le calze in dialetto sono chiamate propriamene cavezètte, ma il Detto è fortemente ironico, e perciò usa il termine simil-italiano càlze.

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Amm’aggiusté ‘i püse e ‘i velànze

Amm’aggiusté ‘i püse e ‘i velànze

Abbiamo da tarare i pesi e le bilance.

Corrisponde al proverbio italiano: mettere i puntini sulle “i”. Chiarire ogni perplessità.

Ossia: esaminare attentamente; cercare il riscontro tra quanto promesso e quanto mantenuto;
verificare ogni cosa prima di prendere una inderogabile decisione tra le controparti.

Valutare il pro e il contro.

Significa anche, in una disputa, che si devono rivedere, valutare e rettificare equamente le argomentazioni di entrambi i contendenti, non di uno solo.

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Ammócce chépe e scuprìsce cüle

Ammócce chépe e scuprìsce cüle

Accettabile anche la versione col verbo sinonimo scummùgghje anzichè il più antico scuprìsce.

Copri la testa e scopri il culo.

Quando la coperta è corta, figuratamente, non puoi coprirti tutto.

Si usa dire questo proverbio quando le possibilità finanziarie non consento di ottenere due vantaggi. Un po’ come quando uno vuole la botte piena e la moglie ubriaca: o l’una o l’altro.

Significa anche: nascondi un difetto e ne scopri un altro.

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Amüce e cumbére ce pàrlene chiére

Amüce e cumbére ce pàrlene chiére

Amici e compari si parlano chiaro.

Un invito a non celare le proprie mire, ad essere aperti e leali, e – come si dice in italiano – giocare a carte scoperte.

Similmente si dice anche fé ‘u patte annànze = condurre una trattativa e definire chiaramente le condizioni prima di cominciare qualsiasi prestazione o transazione commerciale in modo da evitare qualsiasi contenzioso.

Una volta, quando si concludeva un affare, bastava una stretta di mano, che aveva valore di un contratto scritto e registrato.
Una volta definito l’affare, le controparti si sentivano impegnate a rispettare i patti, e ci riuscivano senza ricorrere carte bollate ed a liti giudiziarie, magari anche a costo di rimetterci.

Roba d’altri tempi, quando i veri valori (moralità, onestà, onorabilità, impegno, senso del dovere, del rispetto, della famiglia, ecc.) erano molto sentiti.

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Angöre uà vedì ‘a sèrpe e già chiéme a San Pàvele

Angöre uà vedì ‘a sèrpe e già chiéme a San Pàvele

Non ha ancora visto il serpe e già chiama San Paolo.

Un proverbio che per similitudine richiama quello italiano di “Fasciarsi la testa prima di essersela rotta”.

Occorre chiarire che nella credenza popolare garganica, San Paolo protegge dai morsi delle vipere e protegge dai danni che potrebbero derivare da animali inferociti o imbizzarriti.

Vedi Sanpaulére.(clicca)

Il nome Paolo a volte viene pronunciato Pàule, ed ha le varianti in Paulüne, Pavelócce.

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Arrebbelléje ‘u jaddenére

Arrebbelléje ‘u jaddenére

Scombussolare il pollaio, provocare un trambusto.

Il verbo arrebbellé so può pronunciare nella forma breve: rebbellé.

È un simpatico modo di dire che descrive lo schiamazzo derivante dall’annuncio di un avvenimento inaspettato, o anche atteso, a un uditorio specialmente femminile (chiedo scusa alle donzelle).

Un po’ come succede nel pollaio, quando sembra che tutti i pennuti rimangano tranquilli per ore, e poi d’improvviso si ode una gazzarra corale dopo un primo coccodé di una gallina solista.

Accüme àgghje dìtte ca jöve néte ‘u crjatüre c’jì rebbelléte ‘u jaddenére = Come ho detto che era nato il bambino è iniziato il trambusto.

In italiano si direbbe “sollevare un vespaio” o “sollevare un polverone” ma solo in linguaggio metaforico, ossia suscitare polemiche. In dialetto è proprio causare schiamazzi e proteste, come succede a Montecitorio quando l’opposizione non condivide le affermazioni della maggioranza.

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